Curiosità

1° settembre 1358: Bonifacio Rotario d’Asti compie la più antica impresa alpinistica documentata

Il 1° settembre 1358 il notabile astigiano Bonifacio Rotario d’Asti saliva sulla cima del monte Rocciamelone (Rociamlon in piemontese e Rochemelon in francese), a 3538 metri d’altitudine, guadagnandosi il primato d’aver compiuto la più antica scalata documentata a una vetta della catena alpina1.

Compiendo l’impresa, Bonifacio, che apparteneva all’illustre lignaggio astigiano dei Rotari, in seguito denominati Roero, collocò sulla vetta del monte, all’interno di una piccola grotta utilizzata come riparo, il celebre trittico in bronzo dorato, inciso a bulino, conosciuto come la “Madonna del Rocciamelone”, oggi conservato a Susa presso la sede centrale del Museo Diocesano di Arte Sacra nella chiesa della Madonna del Ponte.

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Il trittico del Rocciamelone conservato nel Museo Diocesano di Susa.

L’ardito e devoto nobile astigiano, che aveva progettato la salita sulla vetta (considerata, a quel tempo, la più alta delle Alpi) in adempimento d’un voto religioso, probabilmente legato alla liberazione della sua città dal dominio visconteo2, aveva effettuato un primo tentativo di conquistare la cima del Rocciamelone negli ultimi giorni di agosto, fermandosi però, per ragioni di forza maggiore, a una quota di 2.800 metri. In questo punto, dove il Roero e i suoi accompagnatori s’erano accampati, sorse, più tardi, il primo rifugio delle Alpi, chiamato in suo onore “Ca’ d’Asti”.

Il trittico della Madonna del Rocciamelone è definito dal materiale informativo del Museo Diocesano come “artarolo portatile”: si tratta di un’opera mirabile, di fattura franco-fiamminga (Enrico Castelnuovo e Giovanni Romano), forse realizzata a Bruges nelle Fiandre, dove ricerche compiute in tempi recenti hanno appurato la presenza, proprio nell’anno 1358 (nel mese di aprile), di Bonifacio Rotario, che aveva ottenuto il permesso di stabilirsi in città insieme con altri componenti della famiglia.

Il manufatto reca, nella parte centrale, la rappresentazione della Madonna assisa su un trono a cassapanca con il Bambino in braccio, e sugli sportelli laterali (uniti da cerniere richiudibili in modo da permetterne il trasporto) la figura di San Giorgio che uccide il drago e un santo barbuto (forse San Giovanni Battista) nell’atto di presentare il committente (Bonifacio Rotario) alla Vergine (sullo scudo di Bonfacio si può ancora leggere, per quanto rovinata, l’arme dei Roero). Nella fascia inferiore delle lastre, è incisa la scritta in latino in caratteri gotici che ricorda l’impresa di Bonifacio (Hic me aportavit Bonifacius Rotarius civis astensis…) accompagnata dalla data, 1° settembre 1358.

L’opera, di eccezionale qualità e fattura, viene collegata dagli studiosi all’importante produzione di lastre funerarie in metallo che fiorì presso le botteghe fiamminghe tra XIV e XV secolo. Accettando questa ipotesi, l’altarolo di Susa sembrerebbe configurarsi come “l’unico caso giunto fino a noi di opera concepita per l’arredo liturgico tra quelle uscite dalle botteghe dei fabbricanti di lastre” (Cristina Maritano).

Anche dal punto di vista stilistico e iconografico, il trittico presenta elementi di analogia sia con le monumentali lastre funerarie fiamminghe, di cui si è detto, sia con gli ornati delle vetrate normanne (Giovanni Romano), che risulterebbero evidenti, ad esempio, nella decorazione a racemi del fondo e nel tipo di inquadramento architettonico delle scene (arcate trilobate e traforate).

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La vetta del Rocciamelone vista dal Pian del Frais.

Collocato per mano di Bonifacio Rotario sulle rocce di vetta del Rocciamelone, il trittico venne, secoli più tardi, prelevato e trasportato prima nel castello di Rivoli e poi nella città di Susa. Questo avvenne nel 1673, quando un contadino di Novaretto in Valle di Susa, Giacomo Gagnor, conosciuto per le sue stranezze, salì in cima al monte per prendere il trittico e portarlo a Rivoli, alla corte del duca di Savoia, Carlo Emanuele II. Forse il Gagnor, con la sua impresa, che sbalordì tutti, intendeva compiacere il duca, che aveva manifestato in più occasioni una fervente devozione verso la Madonna del Rocciamelone, risparmiandogli la fatica di una nuova arrampicata sulla vetta (il duca vi era già salito il 5 agosto 1659, in giovane età, come riportato da carteggi e cronache del tempo, suscitando la viva ammirazione della corte pontificia).

Dopo l’episodio del Gagnor, il trittico non venne più riportato sulla cima del Rocciamelone, ma fu collocato a Susa, prima nella chiesa di San Paolo (oggi soppressa) e poi nell’antica chiesa abbaziale di San Giusto, che dal 1772 sarebbe divenuta Cattedrale segusina. Dall’anno 2000 si trova esposto nel Museo Diocesano presso la chiesa della Madonna del Ponte.  

A titolo di curiosità, ricordiamo che, nella stessa collezione museale, è presente un esemplare di forchetta in ferro e ottone, di raffinata lavorazione, fatta risalire al XIV/XV secolo, che, essendo stata rinvenuta lungo il sentiero che conduce alla vetta del Rocciamelone, a circa 3.200 metri di quota, attesta la precocità delle ascese escursionistiche alla cima del monte dopo la grandiosa impresa di Bonifacio.

Note

  1. Per quanto impresa più modesta, ci sarebbe anche da menzionare, come esempio di “proto-alpinismo”, la salita di Francesco Petrarca sul Mont Ventoux in Provenza, compiuta nel 1336. ↩︎
  2. Secondo un’altra tradizione, il voto era invece connesso a una spedizione in Terra Santa, da cui Bonifacio Rotario era tornato indenne (liberato da una situazione di prigionia). ↩︎

Paolo Barosso

Giornalista pubblicista, laureato in giurisprudenza, si occupa da anni di uffici stampa legati al settore culturale e all’ambito dell’enogastronomia. Collabora e ha collaborato, scrivendo di curiosità storiche e culturali legate al Piemonte, con testate e siti internet tra cui piemontenews.it, torinocuriosa.it e Il Torinese, oltre che con il mensile cartaceo “Panorami”. Sul blog kiteinnepal cura una rubrica dedicata al Piemonte che viene tradotta in lingua piemontese ed è tra i promotori del progetto piemonteis.org.

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