125 kakemono, tradizionali pitture verticali giapponesi, esposti al MAO di Torino
Fanno parte della Collezione Perino. Si potranno ammirare fino al 25 aprile 2022
TORINO. Centoventicinque affascinanti kakemono ‒ realizzati tra il Seicento e il Novecento da noti artisti nipponici e appartenenti alla collezione privata “Claudio Perino” ‒ dal 12 Novembre 2021 e fino al 25 Aprile 2022, resteranno esposti al MAO di Torino, uno tra i più prestigiosi Musei Europei d’Arte Orientale.
Per chi non sapesse cosa sono i kakemono, diciamo subito che questa musicale parola giapponese significa, più o meno, “cosa da appendere”. Conoscerne il significato letterale aiuta molto, ma forse non basta. E allora sveliamo il mistero, peraltro conosciuto dai più. I kakemono sono dei rotoli di carta o di tessuto (generalmente di seta) su cui, secondo un’usanza che si perde nei secoli, in Oriente (in Giappone, ma anche in Cina, Corea e Vietnam) decorati con dei raffinati dipinti e testi calligrafati, ispirati a suggestivi paesaggi orientali e scenari diversi della natura, mutevoli a seconda dell’alternanza delle stagioni. Ma anche fiori e uccelli (ibis, usignoli, anatre mandarine), animali (scimmie, cagnolini), fiumi, monti e vulcani, e talora anche esseri umani colti in azioni e atteggiamenti vari.
La cultura dei kakemono è antichissima: pare siano nati in Cina, ed introdotti in Giappone nel cosiddetto periodo Helan (794-1185).
Ma dove si appendono queste tradizionali opere d’arte dipinte su rotoli verticali? Di solito ai soffitti dei tokonoma (le tipiche alcove delle abitazioni giapponesi) soprattutto quando si ricevono gli ospiti, in segno benaugurale e di benvenuto, per poi riavvolgerli con cura e deporli nuovamente negli armadi dopo la loro partenza. Oppure si lasciano oscillare sulle pareti delle alcove per una notte speciale, e li si contempla stando seduti sui tatami. Talora si appendono ai rami fioriti dei pruni nei giardini, lasciando che la brezza li accarezzi e li lasci dolcemente ondeggiare.
La Mostra, il cui percorso espositivo è stato curato da Matthi Forrer, docente di Cultura materiale del Giappone pre-moderno all’Università di Leida, è stata organizzata suddividendo i kakemoto per classi tematiche, cioè a seconda dei soggetti rappresentati. I dipinti in genere sono policromi, con colori sfumati e mai troppo accesi, ma non mancano quelli monocromi, realizzati con inchiostro nero di China, che l’artista sfuma magistralmente in una pluralità di toni che spesso diventano evanescenti quando toccano i grigi più chiari.
Ma ci sono anche ventagli decorati, scatole in miniatura con decori avvincenti, e splendidi oggetti laccati. Tutto è meraviglia. Tutto è bellezza.
Il Museo organizza anche visite guidate con degustazioni (Arte e the in oriente), seminari di haiku (i kakemoto in effetti non sono che una forma di poesia figurativa e il loro legame con haiku, tanka e altre forme di poesia breve sono strettissimi), conferenze sull’arte dei bonsai ed altre interessanti attività didattiche per le scuole e le famiglie.
Insomma, un’occasione davvero da non perdere per godersi con gli occhi e con la mente queste meraviglie.
Sergio Donna