Alla Saint Louis University, il “prof” Simone Bregni insegna l’italiano sfruttando i videogiochi
«Prima di tutto, perché studiare lingue? Le lingue sono cultura. E perché studiare l’italiano? Noi abbiamo un gran numero di studenti interessati all’arte, alla musica, teologia, storia, filosofia e, come ben sapete, l’Italia ha contribuito in maniera importante alla nascita ed allo sviluppo di questi campi. Molti dei nostri studenti sono laureati in Business Administration e l’italia fa parte del G8, insomma, uno degli otto paesi più industrializzati». Inizia così il discorso di Simone Bregni, astigiano di nascita e professore associato d’Italiano e coordinatore del programma di studi del Dipartimento di Lingue e Letterature e Culture alla Saint Louis University, negli Stati Uniti. L’obiettivo del “prof”? L’introduzione del videogioco come mezzo didattico per insegnare l’italiano ai suoi studenti. Non parliamo, ovviamente, di una “semplice” sostituzione del libro: il nuovo modello d’apprendimento ideato da Bregni segue il modello SAMR (Substitution, Augmentation, Re-definition and Modification o, per i nostrani, Sostituzione, Sviluppo, Modifica e Ridefinizione), sviluppato nel 2010 da Ruben Puentedura e costruito attorno ad una nuova idea d’integrazione didattica, capace di sviluppare ambienti di apprendimento e percorsi di studio non solo più efficaci, ma del tutto inediti rispetto a quelli tradizionali. Un nuovo modello, come ci spiega lo stesso Bregni, che riprende a piene mani dalle idee pedagogiche di Morgan McCall e dalla Game-Based Learning, teoria che, a differenza degli Edugames, esplicitamente disegnati con finalità educative, vede prodotti, nati inizialmente per l’intrattenimento, diventare strumento della didattica. Insomma, lo stesso principio alla base del progetto di alfabetizzazione digitale che, con l’utilizzo di Minecraft, celebre videogioco “a cubetti”, ha preso piede in alcune scuole italiane.
Il corso, “Intensive Italian for Gamers”, ha una struttura simile agli altri corsi di lingua della Saint Louis University: tre lezioni di cinquanta minuti ed un laboratorio ogni settimana. La particolarità di questo innovativo programma è proprio l’anima della “lectio”: i primi trenta minuti sono “tradizionali” con spiegazione frontale di grammatica, esercizi collettivi o a coppie; l’ultima parte, invece, porta in campo il Game-Based Learning.
Un processo didattico che, come spiega il professore nell’intervista alla “Voce di New York”, ruota attorno ai tre momenti dell’identificazione, della acquisizione e della creazione: «Identificare nella narrativa vocabolario e strutture già noti, e notarne di nuovi grazie al contesto; acquisirli tramite una serie di esercizi finalizzati a scopi specifici; e, infine, creare un discorso orale e scritto in cui si applica ciò che si è appreso e reinforzato». Un momento in cui l’interattività del videogioco diventa stimolo nella ricerca del vocabolo, della frase e della comprensione che, avanzando di livello in livello, ci porta sempre più addentro alla profondità di una lingua e di una cultura.