Quando a Stupinigi la grande attrattiva era l’elefante Fritz
Giunse in Piemonte nel 1827, omaggio del vicerè di Egitto: Carlo Felice ricambiò con 50 pecore merinos. Dopo 25 anni accadde l’irreparabile. Il guardiano lo colpì con un tridente e fu a sua volta schiacciato. Nessuno da quel momento riuscì più ad avvicinare l’animale che ancor oggi è conservato nel Museo Regionale di Scienze Naturali
NICHELINO. È automatico, quando parliamo di Stupinigi pensiamo al cervo: quello che svetta sulla cupola della palazzina di caccia. Ma tra i cervi e i fagiani che affollavano la riserva vi era anche Fritz, un elefante indiano… Va detto che non era il solo tra gli animali esotici della ménagerie di Stupinigi – ricavata nelle stalle – ma di certo è quello che ha lasciato una traccia profonda nelle memorie, soprattutto per la storia che ne caratterizzò la cattività. Giunse in Piemonte nel 1827, inviato dal vicerè d’Egitto Mohamed Alì: non fu un regalo, poiché Carlo Felice a sua volta inviò al sovrano egiziano cento pecore merinos.
L’arrivo del pachiderma venne accolto come un evento importantissimo: ne abbiamo conferma dalla nutrita iconografia (pittura, incisioni, fotografie) che lo ritrae come una grande star. E come tutte le star era circondato da mille attenzioni, soprattutto per quanto riguardava la dieta: “50 pani al giorno di 3 libre genovesi cadauno… 24 cavoli lombardi… o invece 4 libbre di butiro con 16 di riso cotto, zuccaro nell’acqua di libre 5, vino pinte una, due al giorno”. Non sdegnava anche qualche sigaro, naturalmente spento, che mangiava con piacere. Era comunque un’alimentazione assolutamente inadeguata, che provocò numerose indigestioni all’elefante: in un caso (1830) rischiò di morire; tra l’altro, soffriva spesso di mal di denti.
Per venticinque anni Fritz divenne un’attrattiva per numerosissimi torinesi: la sua fama varcò i confini e acquisì notorietà internazionale. Tra l’altro fu il primo animale ad essere immortalato su un dagherrotipo. La sua presenza a Stupinigi fu anche un’importante opportunità per gli zoologi che ebbero modo di studiare comportamenti e caratteristiche di un animale di allora si sapeva ancora pochissimo.
Fritz aveva capito di essere un’attrattiva importante e aveva accettato il suo ruolo, anzi sembrava ne fosse divertito e non lesinava performance che divertivano sovrani e popoli, scienziati e artisti. Le sue apparizioni pubbliche erano sempre oggetto di commento e Fritz finì anche nelle pagine di scrittori e poeti. Ma quando il suo guardiano morì il suo comportamento cambiò: divenne triste e rifiutò di esibirsi. Ciò accadeva mentre Vittorio Emanuele II si domandava quale senso avesse impegnare dei fondi per mantenere animali esotici. Poi, nel 1852, accadde l’irreparabile. Il nuovo guardiano, non è chiaro se volontariamente o accidentalmente, colpì Firtz con il tridente, ferendolo alla proboscide. L’animale sembrò non avere reazioni, ma poco dopo avvolse l’uomo con la proboscide e lo lanciò in alto: quando questi cadde rovinosamente al suolo gli schiacciò il petto. Poi andò a raccogliere il tridente e lo pose accanto al cadavere…
Per un certo periodo non fu facile avvicinarsi a quello che diventato l’“elefante assassino”: sembra che solo la vedova del guardino ucciso fosse accettata. La storia di Fritz era all’epilogo: anziano, con qualche acciacco, ormai difficilmente governabile e soprattutto segnato dalla sua nomea di animale pericoloso, indussero le autorità a decretarne la morte, che, l’8 novembre 1852, fu eseguita mediante asfissia con l’ossido di carbonio. Tassidermizzato, oggi è conservato nel Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino.