Aziende novaresi promotrici di salute: partono le prime iniziative del progetto Whp
NOVARA. Aziende novaresi come promotrici di salute: è questo il fine del progetto Workplace Healt Promotion (Whp), avviato nell’autunno del 2017 – grazie ad una collaborazione tra il Servizio Prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro (Spresal) dell’Asl e l’Associazione Industriali di Novara – per contribuire a prevenire le malattie croniche promuovendo cambiamenti organizzativi dei luoghi di lavoro, affinché li trasformino in ambienti favorevoli all’adozione di stili di vita salutari. La “rete” locale ha già coinvolto quattro industrie aderenti all’Ain – la Memc Electronic Materials e la Clariant Prodotti di Novara, la Sambonet Paderno Industrie di Casalino e la Kimberly Clark di Romagnano Sesia – e altre hanno dichiarato, durante la fase sperimentale che si concluderà a fine anno, il loro interesse a farne parte.
«Nel 2019 verrà ampliato il network»
Il responsabile dell’area Ambiente e Sicurezza sul lavoro dell’Ain, Paolo Maffè, ha spiegato che nel 2019 «verrà ampliato il network, con l’auspicio di riuscire a costituire una base di aziende sufficientemente ampia da poter dare solidità, negli anni, a un progetto di impatto molto positivo, sia a livello sociale sia in termini organizzativi, e che è caratterizzato da una forte componente di sostenibilità, partecipazione attiva e innovazione. Il luogo di lavoro, una comunità in cui si trascorre gran parte del proprio tempo e in cui si costruiscono relazioni stabili, viene infatti considerato come un ambiente strategico per promuovere la salute in età adulta, attraverso lo sviluppo di interventi integrati, condivisi tra i servizi sanitari e i datori di lavoro, per limitare i principali fattori di rischio e favorire l’adozione di comportamenti ‘sani’ tramite il coinvolgimento attivo del maggior numero possibile di persone».
Una sfida per la gestione del personale
Le malattie cronico-degenerative, come tumori, malattie cardiovascolari, neurodegenerative, osteoarticolari ed endocrino-metaboliche, sono responsabili di circa il 75% del carico di patologie del nostro Paese e rappresentano più dell’80% delle cause di morte in Italia ed in Europa. Costituiscono anche una sfida per la gestione del personale, dato che l’allungamento dell’età lavorativa può comportare, in caso di una loro insorgenza, una perdita di parte della capacità di lavoro proprio nell’ultima fase della vita professionale, e rendono quindi necessario evitare almeno quei fattori di rischio che sono legati ai comportamenti e allo stile di vita. Il direttore dello Spresal, Ivana Cucco (che ne è referente e coordinatore scientifico), ha inoltre affermato: «Nell’elaborare il nostro progetto abbiamo preso come riferimento il modello operativo messo a punto dalla Ats di Bergamo nel 2011, che ha ottenuto il certificato di partner di eccellenza della rete europea ‘Enwhp’ (European Network Workplace Healt Promotion) e che, essendo caratterizzato dal controllo di più fattori di rischio e dalla compresenza di diverse iniziative per un periodo medio-lungo o perenne, si è dimostrato molto efficace nel modificare positivamente le abitudini dei lavoratori. È inoltre integrato con gli interventi per la promozione della sicurezza aziendale, coinvolgendo tutte le figure che ne fanno parte, e si basa su una logica partecipativa».
Sviluppo di buone pratiche
Per poter partecipare al progetto, le aziende devono aver adempiuto agli obblighi normativi in tema ambientale e di valutazione dei rischi e non devono avere riportato, nei cinque anni precedenti, condanne definitive relative all’applicazione del D.Lgs. 231. Il programma prevede, quindi, lo sviluppo di “buone pratiche” in sei distinte aree tematiche: alimentazione, contrasto al fumo, attività fisica, mobilità sicura e sostenibile, contrasto alle dipendenze, benessere e conciliazione vita-lavoro. Chi riesce a seguire il percorso proposto, e a rispettare gli standard previsti, alla fine di ogni anno ottiene dal servizio sanitario pubblico il riconoscimento come Luogo di lavoro che promuove salute, associato ad uno specifico logo assegnato a nome della rete europea Enwhp. «In termini operativi – conclude Cucco – viene prima di tutto costituito un gruppo di lavoro aziendale, più possibile eterogeneo e motivato, che deve organizzare le attività. Viene poi somministrato ai lavoratori un questionario anonimo su abitudini e fattori di rischio, che potrà essere ripetuto a tre anni dall’avvio del programma, sui cui risultati l’azienda pianificherà le buone pratiche da realizzare nel corso di ogni anno. Nel primo anno si dovrà lavorare su due delle sei aree tematiche, attivando il numero minimo di buone pratiche previsto. Nel secondo anno è richiesto di lavorare su altre due aree tematiche, attivando il numero minimo di buone pratiche previsto e mantenendo le buone pratiche del primo anno, mentre nel terzo anno occorrerà lavorare sulle restanti due aree tematiche, sempre mantenendo attive le buone pratiche avviate negli anni precedenti. Dal quarto anno in poi dovranno rimanere attive almeno due buone pratiche in ciascuna delle sei aree tematiche».