Fascino e brillantezza delle parole antiche piemontesi: il “giajèt”
La parola giajèt, in piemontese, indica una piccola perla di bigiotteria dal colore lucido e nero. Così un giajèt può indicare un piccolo granello di un rosario o un raffinato componente, artisticamente levigato, di un elegante collier , di un bracciale e di un monile per signora. Il termine ha un parallelo nella parola francese jais. Jean Valjean, ex forxzato, ed eroe de I Miserabili, l’incomparabile capolavoro di Victor Hugo, dopo essere evaso dal carcere di Tolone, e dopo aver rubato i candelieri al Vescovo di Digne, si pentì profondamente. Volle allora dare un nuovo corso alla sua vita, e sia pur sotto mentite spoglie, con il nome di le père Madeleine, riuscì ad aprire una fiorente fabbrica di jais, rivelandosi un imprenditore di lunghe vedute e molto attento ai problemi sociali e alla salvaguardia della dignità delle sue dipendenti, aiutandole moralmente e finanziariamente e cercando di rendere l’ambiente di lavoro il meno pesante possibile.
Ancor oggi i Piemontesi usano il termine giajèt, sia pur con un significato più ampio dell’accezione originale, esteso un po’ a tutte le perline, anche di colore diverso dal nero. Non solo piccole perle scure, dunque, ma qualsiasi altro minuto elemento colorato di resina o di vetro, che unito e infilato fianco a fianco su un’anima di refe, possa comporre artistici oggetti di bigiotteria.
Ma giajèt è anche una varietà di lignite di colore nero, lucida e compatta, ideale per la produzione dei bottoni.
E non finisce qui: l’aggettivo giaj, da cui tutto nasce, indica proprio il colore nero, o anche ‘screziato di nero’: na vaca giaja, è una mucca col mantello chiazzato, appunto, di nero. E, a conferma della coerenza della parlata piemontese, giaj è anche il neo, o la lentiggine. Giajolà, di conseguenza, è un altro modo per dire screziato (di nero). D’altronde – i Piemontesi non si smentiscono quasi mai – la giajolura, sostantivo, manco a dirlo, è proprio la screziatura, ovvero la striatura di nero.
Fascino e brillantezza di certe parole antiche, radicate nel linguaggio piemontese, che non vogliono e non devono morire.