Guglielmo Massaia, la storia del missionario piemontese che fondò Addis Abeba
Piovà Massaia è un piccolo borgo romito, quasi nascosto sulle colline astigiane, come se fosse restio e schivo a mostrarsi. Ci si arriva da Torino percorrendo la provinciale 119, dopo aver lasciato Chieri alle spalle, passando per Andezeno e Castelnuovo Don Bosco e attraversato il non meno il pittoresco agglomerato di Mondonio (dove visse il santo giovinetto Domenico Savio, che di don Bosco fu allievo). Poi, dopo aver costeggiato i piccoli comuni di Primeglio e Marmorito, appena dopo quale tornante, eccolo finalmente spuntare sul crinale di un bricco. Terra di santi, di vini e di profumo di zolle lavorate con fatica, questa. Ma che ha ripagato dei suoi frutti generosi generazioni di contadini e di pazienti viticultori, che qui ancora curano con lo stesso amore dei loro avi ogni vite, ogni pianta da frutto, ogni arbusto, ogni raccolto pendente. Al di qua e al di là dei due versanti, rigogliosi vigneti con fitti grappoli di uva si susseguono promettendo degustazioni di vini sanguigni. Sui declivi più morbidi, sfumature di verdi, di gialli e di marroni, e profumi di campagna, frammisti a sentori di menta.
Qua e là rosseggiano sparsi i frutti dei melograni quasi maturi. Poche case nel borgo, tra cui spiccano, armonici, i campanili di chiese barocche in vetusti mattoni a vista. Il piccolo borgo di Piovà si affaccia sui colli astigiani (su cui campeggia Cocconato e gli altri piccoli borghi arroccati sui cocuzzoli) con una punta di serena malinconia, un misto di orgoglio e di santa umiltà. Qui è nato un francescano che fu missionario in terra d’Etiopia e che diede i natali ad Addis Abeba. E divenne cardinale, in odore di santità: era Guglielmo Massaia. Tutte le case di Piovà lo ricordano, con lapidi commemorative sparse un po’ ovunque, ma soprattutto lo ricordano gli umili e tenaci cuori di questa gente, semplice e generosa, che ama spassionatamente la propria terra e chi la abita, ed è in grado di contagiare de quell’amore anche i popoli che vivono in continenti lontani, proprio come fecero Guglielmo Massaia, appunto, don Bosco e Giuseppe Allamano.
Il cardinal Guglielmo Massaia ha lasciato uno strascico di ricordi anche a Torino. Così recita l’epigrafe della lapide affissa sulla facciata del Convento del Monte dei Cappuccini dove il frate trascorse una parte della sua vita: “Cappuccino, cardinale di Santa Chiesa, apostolo dell’Africa nel secolo XIX, compì eroicamente per oltre sette lustri, in terre prima impenetrabili, prodigi di vittoriosa missione e ne affidò il poema a pagine lucenti di scienza e di carità, segno di nuove vie e di nuove conquiste per la civiltà cristiana. I Torinesi, ammiratori devoti, posero ricordanti con serafico ardore. Si rese Cappuccino alla Madonna di Campagna, e fra i Cappuccini di questo Monte di gloria e di delizia francescana pregò, pensò, temprò l’animo agli ardimenti ed ai martirî divinamente ispirato”.
Vediamo di tracciare brevemente la sua biografia per conoscerne meglio i caratteri e l’operato. Guglielmo Massaia nacque a Piovà d’Asti (oggi Piovà Massaia), l’8giugno 1809. Fu battezzato con i nomi di Lorenzo e Antonio. Iscritto come seminarista al Collegio Reale di Asti, a diciassette anni, l’8 settembre 1826, indossa il saio cappuccino presso la Chiesa della Madonna di Campagna di Torino. Sceglie il nome di Guglielmo, lo stesso di suo fratello primogenito, parroco. Nel 1832 viene ordinato sacerdote. Fu cappellano dell’Ospizio Mauriziano di Torino, ove apprese le nozioni di medicina e chirurgia, che poi applicò come missionario nel suo apostolato in Etiopia. Fu anche assistente spirituale del futuro re Vittorio Emanuele II, nonché confessore del Cottolengo e dello scrittore Silvio Pellico. Nel 1846 papa Gregorio XVI lo nominò vicario apostolico dell’etnia etiopica dei Galla, per raggiungere la quale dovette attraversare il deserto e risalire il Nilo, travestito da mercante arabo.
Alla missione etiope Guglielmo Massaia dedicò 35 anni della sua vita, esponendosi più volte al rischio di morte. Fu imprigionato, esiliato, ma non rinunciò mai al suo apostolato, né ai grandi viaggi: attraversò ripetutamente il Mediterraneo e il Mar Rosso ed effettuò quattro pellegrinaggi in Terra Santa. Il cardinal Massaia fondò diverse missioni e compose il primo Catechismo in lingua galla. Alla evangelizzazione affiancò una vasta opera sociale. Curò malattie endemiche, principalmente il vaiolo (venne chiamato Padre del fantatà, signore del vaiolo); attuò interventi chirurgici nei casi d’urgenza, creò centri assistenziali, si operò per sedare gli atavici odi tribali, e favorì spedizioni diplomatiche e scientifiche. Fu consigliere di Menelik II, re dello Scioa, ed è considerato il fondatore di Addis Abeba (Nuovo Fiore), che nel 1889 divenne la capitale dell’Etiopia. Il 3 ottobre 1879 fu esiliato dall’imperatore Johannes IV, che da tempo non tollerava più il suo carisma personale. Re Umberto I gli concesse l’onorificenza di Grand’Ufficiale dell’Ordine Mauriziano. Papa Leone XIII lo promosse prima arcivescovo e poi cardinale nel 1884.
Alla morte di Massaia, avvenuta a San Giorgio a Cremano (Napoli) il 6 agosto 1889, lo stesso Pontefice esclamò: “È morto un Santo!”. La sua salma è conservata nella chiesa dei Cappuccini di Frascati, dove visse i suoi ultimi dieci anni in assoluta povertà, in totale osservanza delle regole dell’Ordine. Nel 1914 è iniziato il processo – tuttora aperto – per la sua beatificazione.