Dal cimitero di Collegno una risposta sull’organizzazione sociale dei Longobardi
COLLEGNO. Grazie ai resti di 63 individui conservati nel cimitero piemontese di Collegno e in quello ungherese di Szolad è stata ricostruita l’organizzazione sociale dei Longobardi. In che modo? Con l’analisi del Dna recuperato fra Italia e Ungheria. La ricerca internazionale pubblicata sulla rivista Nature Communications, è stata coordinata dall’università americana Stony Brook e condotta con la collaborazione fra genetisti, storici e archeologi; l’Italia ha partecipato con l’Università di Firenze. Merito del ritrovamento piemontese sono stati gli scavi per il comprensorio tecnico della Metropolitana e quelli per l’ampliamento del cimitero di Collegno che hanno portato in luce una necropoli gota, una longobarda e resti delle complesse trasformazioni del villaggio di capanne dell’alto medioevo.
I Longobardi hanno regnato su larga parte dell’Italia – Langobardia maior al Nord e Langobardia minor al Centro-sud – per oltre 200 anni dopo l’invasione dall’allora Pannonia, l’attuale Ungheria, nel 568 dopo Cristo, e finora le uniche testimonianze della storia di questo popolo erano stati i resti archeologici. Adesso i nuovi dati che arrivano dall’analisi del Dna hanno permesso di scoperto che i cimiteri di Collegno e Szolad erano entrambi organizzati attorno a una grande famiglia, con almeno due gruppi diversi di antenati e tradizioni funebri ben definite.
Il Dna dei Longobardi recuperato a Collegno indica una comunità stabilita in Italia da molte generazioni. In entrambi i gruppi di individui ci sono poi prove di una mescolanza di gruppi dell’Europa centrale e settentrionale con altri dell’Europa meridionale e nord Europa con altre originarie del sud del continente. L’evoluzione sociale della comunità, nel villaggio di Collegno, segna la completa trasformazione “da guerrieri a contadini”: il gruppo elitario stanziato con compiti prevalentemente militari perde con il tempo il suo ruolo di controllo del territorio intorno alla sede del duca, diventando una comunità di semplici agricoltori, come dimostrano le carenze alimentari e gli stress da lavori pesanti impressi nei resti scheletrici. Tuttavia la consapevolezza del loro passato e il senso di appartenenza alla comunità sono provati dal fatto stesso che le loro tombe rioccupano le fasce rimaste libere nelle parti centrali del cimitero: erano trascorsi più di 130 anni, ma abitavano ancora nello stesso villaggio e continuavano a utilizzare la necropoli dove erano sepolti i loro avi, dei quali mantenevano la memoria e i segnacoli delle tombe.