Fasti e vicende del castello di San Sebastiano Po, che fu dimora dell’eroe dell’Assietta
SAN SEBASTIANO PO. Su un poggio dominante la valle del torrente Leona, all’estremità nord-occidentale del Monferrato, sorge la frazione Villa di San Sebastiano Po, una manciata di abitazioni raccolte attorno alla chiesa parrocchiale e alla dimora nobiliare oggi di proprietà della famiglia Garrone, ma un tempo appartenuta ai conti Novarina. Le origini del castrum di San Sebastiano si fanno risalire al X secolo, ma è nel 1164 che un diploma imperiale lo assegna al marchese del Monferrato, fedelissimo dell’imperatore Federico Barbarossa. Da quel momento San Sebastiano seguì le vicende dei marchesi monferrini, che nel corso del turbolento Trecento piemontese giocarono un ruolo di primo piano, contendendo l’egemonia sul territorio a Savoia, Savoia-Acaia e Visconti. Alla morte dell’ultimo Aleramico, avvenuta nel 1305, vanificate le ambizioni successorie del marchese di Saluzzo, anch’egli di stirpe aleramica, si designò al vertice del Marchesato un principe della dinastia bizantina dei Paleologo, Teodoro, figlio di Violante di Monferrato e dell’imperatore Andronico II Paleologo.
Nonostante l’intraprendenza di Giovanni II e Teodoro II, il marchesato del Monferrato cominciò a perdere terreno nella prima metà del XV secolo: risale al 1435 la prima cessione significativa con il passaggio ai domini sabaudi dell’importante città di Chivasso, in esecuzione di un accordo stipulato a Thonon nel 1432 tra il duca Amedeo VIII di Savoia e il marchese Gian Giacomo Paleologo, che s’era rivolto al primo per respingere le minacce viscontee. Le terre collinari poste alla destra orografica del Po, confinanti con il Chivassese, rimasero invece in capo al Monferrato, ma nel 1631, a conclusione della Seconda Guerra Monferrina, il trattato di Cherasco assegnò ai Savoia un corposo numero di feudi situati a ovest della strozzatura di Verrua, già sabauda. Tra queste terre v’era San Sebastiano, con il suo castello, infeudato da tempo ai conti Radicati, che prendevano il nome dalla scomparsa località di Radicata, forse situata sulle rive del Po in corrispondenza dell’antico porto fluviale di San Sebastiano.
Nei decenni successivi si ebbe la svolta, segnata dal passaggio del castello alla famiglia Novarina, promotrice dalla metà del XVII secolo di una prima tranche di lavori tesi a trasformare l’antica fortezza in residenza signorile di campagna, sul modello di altre dimore nobiliari piemontesi che, pur mantenendo l’appellativo di “castello”, all’uso francese, mostrano oggi una veste architettonica spogliata della connotazione militare originaria. Dai diari di illustri viaggiatori stranieri si evince infatti la predilezione dei nobili piemontesi, al pari degli aristocratici di Francia, per il risiedere in campagna, anteponendo la quiete agreste alla mondanità cittadina.
Alla stirpe dei Novarina apparteneva Paolo Federico Novarina, passato alla storia come l’eroe della battaglia dell’Assietta, combattuta il 19 luglio 1747 tra le preponderanti truppe francesi al comando del maresciallo Belle-isle e i battaglioni austro-sabaudi presso il colle dell’Assietta, a oltre 2500 metri d’altezza sullo spartiacque tra le valli di Susa e del Chisone. Lo scontro s’inserì nel quadro della guerra di Successione Austriaca, che coinvolse il Piemonte come terreno di scontro, invaso dall’esercito francese di Luigi XV. Fu nell’infuriare della battaglia che il conte Novarina, comandante del battaglione attestato alla Testa dell’Assietta, si distinse per coraggio difendendo a oltranza la posizione assegnata, a costo di disattendere l’ordine impartito dal comandante in capo, conte Cacherano di Bricherasio, di abbandonare la postazione per rafforzare le difese del Gran Serin, bersagliato dagli assalti nemici. L’ostinazione del Novarina, che respinse l’attacco dei francesi alla Testa dell’Assietta, si rispecchia nella frase pronunciata dal conte “Noiàutri i bogioma nen da sì”, all’origine dell’appellativo “Bogia nen” assegnato ai Piemontesi. A titolo di curiosità araldica segnaliamo che i conti di San Sebastiano, a partire da Pietro Francesco, furono anche marchesi di Spigno: un’eredità legata alla madre dell’eroe dell’Assietta, Anna Canalis di Cumiana, vedova di Ignazio Francesco Novarina, divenuta celebre per l’unione morganatica nel 1730 con il re Vittorio Amedeo II, che assegnò a lei e agli eredi il marchesato di Spigno Monferrato.
Tornando alle vicende del castello, fu Paolo Federico Novarina a decidere di rimettere mano al complesso, affidando l’incarico nel 1761 all’architetto Bernardo Vittone, cui si deve anche la ricostruzione in stile tardo barocco della chiesa parrocchiale dei santi Sebastiano e Cassiano. L’intervento del Vittone, pur privando la dimora dell’originario aspetto di fortezza, preservò tuttavia una certa idea di “fortificazione”, evidente ad esempio nelle torrette tonde pensili angolari che, ormai prive di qualsiasi efficacia difensiva, svolgono una funzione di mero abbellimento estetico. Tra le particolarità della struttura, si nota l’inconsueta soluzione di addossare la “manica produttiva”, adibita a usi agricoli, direttamente all’abitazione dei castellani. Il fabbricato appare internamente suddiviso in due vasti ambienti sovrapposti: quello sottostante adibito a tinaggio o tinaia, per la fermentazione del vino, prodotto con le uve coltivate nelle vigne dei dintorni, oggi in larga parte scomparse in favore di boschi e prati, e lo spazio al secondo livello, che accoglieva alcune importanti fasi della bachicoltura, finalizzata alla produzione dei bozzoli e del filo di seta, che nel Piemonte settecentesco costituiva la voce principale delle esportazioni, essendo gli organzini piemontesi i più ricercati specialmente sul mercato britannico. In questi ambienti erano sistemati i graticci con le foglie di gelso, necessarie per alimentare i bachi e favorire la formazione del bozzolo.
Un’altra stagione di rinnovamento del castello fu il primo Ottocento, al tempo di Luigi Raimondo Novarina, cultore di botanica, che richiese i servigi del pittore e architetto piemontese Pietro Bagetti, artefice delle decorazioni della galleria di mezzogiorno con affreschi di gusto neoclassico, tra elementi botanici e personificazioni di arti e stagioni frammiste a simbologie massoniche, e reclutò nel 1810 il noto architetto di giardini tedesco Xavier Kurten, attivo per la committenza sabauda a Racconigi, Pollenzo, Agliè, che a San Sebastiano realizzò il suo primo lavoro piemontese. A lui si deve il disegno dell’ampia area verde circostante, plasmata in gran parte secondo i crismi del giardino paesaggistico o all’inglese, che riproduce la spontaneità della natura con l’alternarsi di macchie d’alberi, distese prative, radure e prospettive pittoresche, capaci di aprirsi in modo inaspettato e tale da suscitare sorpresa. Com’era d’uso si aggiunse all’interno del giardino nel 1858 un tempietto neoclassico, che inganna il visitatore perché non contiene altro che il passaggio verso un’altra parte del parco, collegata da un ponte.
Il castello, acquistato nella seconda metà del Novecento dalla famiglia Garrone, subentrata ai Riccardi Candiani, a loro volta succeduti ai Miglioretti, vive oggi una fase di rinascita, grazie all’intraprendenza dell’architetto Luca Garrone che, pur avendo lasciato intatto il fascino aristocratico dell’antica dimora, l’ha valorizzata come struttura ricettiva, sede di “Bed and breakfast” e contesto ideale per matrimoni, eventi, seminari di lavoro. Il recupero del castello s’inserisce nel quadro di un’azione più ampia di promozione del territorio, che ha i suoi punti qualificanti nello sviluppo del cosiddetto “turismo esperienziale”, che pone il turista in stretto contatto con l’essenza dei luoghi, rendendolo parte attiva di pratiche tradizionali come la ricerca del tartufo o la raccolta delle nocciole, nella conservazione e riuso del patrimonio edilizio del borgo secondo il concetto di “albergo diffuso” e nell’attenzione rivolta alla ricca tradizione gastronomica piemontese, di cui si può avere prova sostando nella “Trattoria della Villa”, aperta per iniziativa degli stessi castellani.
Foto di Giovanni Dughera