Modi di dire piemontesi: la temibile “monia quacia”
Monia quacia è uno di quegli epiteti difficili da tradurre una sola parola. E la trasposizione letterale non viene sicuramente in aiuto: monaca chinata, bassa per celarsi all’altrui vista. Sui dizionari la traduzione viene il più delle volte licenziata con un semplicistico santerellina. Ma il succo è ben altro e per comprenderne il significato basta rileggere le parole pronunciate nel giugno 2014 da papa Francesco in piazza san Pietro durante un’udienza generale: “Il dono della pietà non si identifica con l’avere compassione di qualcuno, ma indica la nostra appartenenza a Dio. Alcuni pensano che avere pietà sia stringere gli occhi, fare una faccia particolare, imitare le immagini dei santi e invece no, questa non è pieta; noi in piemontese diciamo ‘‘mugna quacia”, cioè faccetta ingenua, ma non è pietà. La pietà è in una relazione vissuta col cuore”.
Il pontefice ha tradotto l’espressione con “faccetta ingenua”, lasciando di fatto intendere che quanto espresso dal viso non sempre corrisponde ai veri sentimenti. In Italia un corrispettivo più meno simile è quello di “gatta morta” che indica una persona apparentemente buona, ma in realtà infida. Rispetto a “gatta morta” il motto piemontese va oltre, tirando in ballo proprio la religione e in essa, come ci ricordava Pier Giorgio Viberti nel suo “Modi di dire piemontesi” (Demetra, 2000), riecheggia la polemica anticlericale che costituisce un filone cospicuo della nostra cultura, dal Medioevo alla fine dell’Ottocento. L’espressione di fatto viene usata per descrivere quella donna dal contegno apparente umile e devoto, proprio come quello di una suora di clausura, ma che nasconde una personalità completamente diversa, subdola e ipocrita.
A proposito di monache, altro detto è Fesse monia ‘d Sant’Agustin (farsi monaca di Sant’Agostino), che significa “prendere marito”. Questo modo dire si rifà al proverbio Monia ‘d Sant’Agustin, doe teste an s’ un cussin (monaca di Sant’Agostino, due teste su un cuscino): si diceva a chi esprimeva l’intento di farsi suora, a significare che avrebbe avuto un uomo accanto la notte. L’espressione, usata sempre in senso ironico e scherzoso è piuttosto antica ed è ricordata dal Rosa nel suo Glossario storico popolare piemontese.