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Tra i vigneti dell’alta Valsusa dove nasce il Vino del Ghiaccio

SUSA. Sui ripidi pendii dell’alto corso della Dora Riparia, tra Chiomonte, Exilles e Giaglione, si pratica da secoli la viticoltura, che oggi può vantare non solo di aver garantito la sopravvivenza di importanti vitigni tradizionali dell’area alpina, come Avanà, Becuét, Chatus e Neretta cuneese, a bacca nera, e Baratuciat, a bacca bianca, ma anche di aver creato, da qualche anno, un vero e proprio unicum nel panorama enologico del Piemonte, il “Vino del Ghiaccio” di Casa Ronsil.

Le vigne, disposte sul versante orografico sinistro della valle, quello meglio esposto al sole, prosperano alle quote più alte del Piemonte e fra le più alte in Europa, arrampicandosi sino ai 1100 metri d’altitudine (in passato, in periodi di addolcimento climatico, anche ad altezze superiori) grazie ai caratteristici terrazzamenti realizzati con muretti a secco. La coltivazione della vite, finalizzata alla produzione di vini un tempo costosi e ricercati, tra cui il rinomato rosso di Chiomonte, chiamato anche Ramat o Cimon (cioè Chiomonte in piemontese), oggi incluso nell’area della Doc Valsusa, è attestata in questi territori alpini sin da tempi antichi, favorita da un microclima temperato e dalla presenza d’una strettoia naturale, Serre La Voute, posta a monte di Exilles, che sbarra la strada ai gelidi venti in discesa dall’alta valle, con l’effetto di mitigare le temperature.     

L’importanza della viticoltura nell’economia agricola di questa parte della valle di Susa, sino al 1713 suddivisa tra Ducato di Savoia e Delfinato francese, con il confine che correva tra i comuni di Gravere, ultima località sabauda, e Chiomonte, primo paese del regno di Francia, s’intuisce osservando lo stemma comunale di Chiomonte, con due grappoli giustapposti, uno bianco e l’altro nero, e la scritta “Jamais sans toi” (mai senza te) riferita all’immagine del sole, il cui ruolo è ovviamente indispensabile per la maturazione dell’uva. Anche nelle tipologie edilizie tra Exilles e Gravere si riflette la rilevanza della produzione vinicola per le famiglie della zona, evidente nella particolare estensione del locale interrato adibito a cantina, che nelle case dell’alta valle, dove è assente la viticoltura, è sostituito invece dal crotin, spazio predisposto per la lavorazione e conservazione dei prodotti lattiero-caseari. Inoltre, tra le strutture a fruizione collettiva tipiche dei villaggi alpini, tra cui il forno per la cottura del pane e il frantoio per l’olio di noci, vi era in queste zone il torchio per la spremitura delle uve, il cui utilizzo era sovente condiviso tra più borgate.   

Ancora a fine Ottocento uno studioso locale osservava che attorno a Chiomonte “si piantano vigne dappertutto”, per un’estensione oggi impensabile, superiore ai 200 ettari. La viticoltura conservò per la popolazione chiomontina un ruolo primario come fonte di reddito sino a metà Novecento, quando il declino, già iniziato con la fillossera, si aggravò, arrestandosi solo in tempi recenti con il rinnovato interesse per il settore e per la difesa dei vitigni tradizionali della valle, sovente comuni ad altre regioni alpine, anche se denominati in modo diverso. 

La pratica della viticoltura in alta valle di Susa, promossa in origine dalle comunità monastiche fondate per l’assistenza dei pellegrini e incentivata dalla presenza di numerose osterie e locande per viaggiatori, che assorbivano gran parte della produzione, conobbe ulteriore impulso grazie a una formidabile opera idraulica, dovuta al genio di un minatore e cavatore chiomontino, Colombano Romean. Nella prima metà del Cinquecento Romean venne incaricato dalle comunità di Cels, frazione di Exilles, e delle Ramats, frazione di Chiomonte, di risolvere il problema della cronica carenza idrica che affliggeva i versanti valsusini attraverso l’apertura di una galleria in grado di portare acqua dall’attiguo vallone di Touilles. Munito solo di pala e piccone, l’intraprendente chiomontino si mise a scavare le viscere della montagna, a oltre 2000 metri di quota, realizzando un traforo idraulico di circa 500 metri di lunghezza allo scopo di incanalare le acque del rio Tiraculo, facendole scivolare verso gli aridi campi di Cels e Ramats. Fu quindi quest’ingegnosa opera, nota come “Gran Pertus”, “Traforo Romean” o “Trou de Touilles”, realizzata da un solo uomo in otto anni di lavoro, dal 1526 al 1533, a rivoluzionare le pratiche agricole sui versanti montani tra Chiomonte e Exilles, rendendo fertili suoli prima poco produttivi.

L’opera di canalizzazione delle acque diede impulso alla coltivazione della vite, potenziando la produzione vinicola, in particolare i celebri rossi di Chiomonte, che avevano caratteristiche simili al vino Ramìe, prodotto tutt’oggi a Pomaretto, all’imbocco della val San Martino, oggi chiamata val Germanasca. Nella rosa di varietà a bacca nera utilizzate per il vino Ramìe, che deve il nome alle ramaglie accumulate ai margini delle vigne dopo la potatura delle viti, spicca infatti il vitigno Avanà che la ricercatrice Barbara Schneider ritiene proveniente dalla Savoia, dove è conosciuto come Hibou noir. La varietà, molto profumata ma con pochi polifenoli, veniva spesso assemblata con il più carico Becuét (noto come Persan in Savoia), capace di conferire al vino struttura e colore, e, secondo alcune fonti, sarebbe stata introdotta in alta valle di Susa nel Settecento dall’ultimo prevosto di Oulx, Jean-Baptiste d’Orlier de Saint-Innocent, che nel 1748 divenne primo vescovo di Pinerolo. Secondo gli studi della Schneider, la base del pregiato rosso di Chiomonte, che pure includeva Avanà, Becuét e altre varietà, era però costituita dal vitigno detto Carcairùn ‘d Fransa, corrispondente al Gamay della Savoia.    

Lo stemma comunale di Chiomonte

Oggi la tradizione vinicola locale, sopravvissuta a secoli di alterne fortune, è interpretata da moderni produttori come Casa Ronsil, che ha sede nell’omonimo edificio, antica proprietà della famiglia, situato nel centro storico di Chiomonte lungo l’antica Strada di Francia (Chemin royal). Originaria del XIII secolo l’abitazione presenta in facciata una ricca decorazione a graffito in stile “Rocaille” che venne commissionata tra 1630 e 1640 per celebrare il passaggio in Chiomonte del re di Francia Luigi XIII, corredandola di una serie di scritte dal contenuto religioso in latino e francese antico.

In vista delle Olimpiadi Invernali del 2006 l’azienda decise di aderire a un progetto ambizioso, volto a mettere in produzione il primo Vino del Ghiaccio piemontese, ricavato dalla vinificazione di uve raccolte nel cuore dell’inverno, alla fine del mese di gennaio, ben oltre quindi il tempo normale della vendemmia. Figlia dell’inverno, questa tipologia di vino è in genere nota con il nome tedesco di Eiswein (o Ice wine in inglese) ed è prodotta seguendo una procedura regolamentata da appositi disciplinari internazionali, che impongono di raccogliere le uve durante la notte, o comunque al mattino presto prima che si alzi il sole, a una temperatura non superiore ai 5/7 gradi sotto lo zero, di modo tale che l’acino risulti gelato sia al momento della raccolta, sia nella successiva fase di pigiatura (è proibito il ricorso a tecniche di congelamento artificiale).

L’Eiswein, oggi prodotto in aree determinate del mondo, dove lo consentono le condizioni pedoclimatiche, come Canada (maggior produttore in assoluto), Austria, Germania, Alsazia, Svizzera, Slovenia, Val d’Aosta, e ora anche in Piemonte (per un totale di 22 produttori), deriva da una pratica probabilmente già conosciuta al tempo dei Romani, come attestano gli scritti di Plinio il Vecchio e del poeta Marziale, in cui si accenna alla raccolta di grappoli ricoperti di ghiaccio, ma che risulta però documentata per la prima volta in Germania alla fine del Settecento per poi diffondersi in modo importante solo nella seconda metà del Novecento. Secondo alcune fonti il primo Eiswein venne prodotto in Franconia nel 1794 in conseguenza d’un evento climatico inatteso che provocò il congelamento delle uve: i viticoltori locali, nel tentativo di salvare l’annata, eseguirono la pigiatura, ottenendo un mosto particolarmente concentrato e dolce.

La permanenza dei grappoli sui tralci nei mesi invernali, con l’esposizione al sole, al gelo e al disgelo, determina la disidratazione naturale degli acini, che si riducono in peso e dimensioni, e comporta un processo di concentrazione degli zuccheri, degli acidi e degli estratti dell’uva, con intensificazione dell’aroma e conferimento di grande complessità al vino. Naturalmente per produrre Eiswein non è sufficiente lasciare che gli acini congelino sulla pianta, ma la pratica richiede cure costanti e una preparazione del vigneto che contempla, tra le varie operazioni, la potatura invernale e la completa defoliazione prima dell’arrivo del freddo.

Per preservare le viti dall’attacco degli uccelli e di altri animali che, ostacolati nella ricerca del cibo dal manto nevoso e dal terreno gelato, rivolgono volentieri le loro attenzioni ai grappoli, si è affermata la consuetudine di avvolgere i filari con reti protettive a maglie strette, che sui versanti della valle di Susa hanno anche un loro impatto visivo, risaltando nel paesaggio invernale con il loro vivido colore arancione.   

Peculiarità dell’Eiswein di Casa Ronsil, che differenzia il Vino del Ghiaccio piemontese da quelli prodotti in altre regioni del mondo, solitamente prodotti con uve a bacca bianca, è l’impiego di sole uve a bacca nera, ricavate da un unico vigneto, denominato La Vaute, appartenenti alle varietà Avanà, Becuét e Chatus. Il prodotto finale, battezzato “Ice One”, presenta sapore dolce, colore rosato con riflessi arancioni e profumi di frutta esotica e secca.

Paolo Barosso

Giornalista pubblicista, laureato in giurisprudenza, si occupa da anni di uffici stampa legati al settore culturale e all’ambito dell’enogastronomia. Collabora e ha collaborato, scrivendo di curiosità storiche e culturali legate al Piemonte, con testate e siti internet tra cui piemontenews.it, torinocuriosa.it e Il Torinese, oltre che con il mensile cartaceo “Panorami”. Sul blog kiteinnepal cura una rubrica dedicata al Piemonte che viene tradotta in lingua piemontese ed è tra i promotori del progetto piemonteis.org.

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