Madonna del Boden, il santuario ossolano dei Walser immerso nei boschi di Ornavasso
Immerso nei boschi sulle montagne di Ornavasso, comune situato all’imbocco della valle dell’Ossola, il santuario della Madonna del Boden è un punto di riferimento importante nell’orizzonte religioso e spirituale dei Walser, popolazione di ceppo germanico stanziata sin dai secoli centrali del Medioevo nelle valli del Piemonte settentrionale, in particolare attorno al massiccio del Monte Rosa e in val Formazza.
In posizione dominante sulla piana del Toce, la località di Boden (che significa “pianoro” nella lingua dei Walser) fu testimone di un avvenimento ritenuto prodigioso accaduto nel settembre del 1528. Secondo le cronache del tempo il fatto miracoloso vide come protagonista una pastorella di Ornavasso, Maria della Torre, che s’era recata nel pascolo comune sopra la selva del Boden a custodire il gregge. Colta dal sonno e risvegliatasi nel cuore della notte, la giovane, disperata per aver smarrito gli animali, si raccolse in preghiera implorando la Madonna di intercedere.
L’intervento mariano non tardò a manifestarsi: la pastorella, sentendosi “cadere a precipizio da alta rupe”, venne sospinta per effetto d’una forza inspiegabile sino a margini del pianoro del Boden dove, illuminata da un intenso chiarore, poté scorgere, accanto alla cappelletta mariana, il suo gregge radunato e incolume. La sorgente di luce, manifestazione del divino, le indicò il cammino da compiere per allontanarsi da quel luogo avvolto dalle tenebre e far ritorno al paese, dove l’attendevano in ansia la madre e le donne del posto.
L’evento, giudicato prodigioso dalle autorità ecclesiastiche, diede origine, come spesso avvenuto in casi simili, al progetto di edificare un più ampio luogo di culto nel luogo dove già esisteva una cappelletta dedicata alla Madonna, punto di riferimento per pastori e viandanti. I lavori di costruzione del santuario, intitolato alla Madonna dei Miracoli, ma conosciuto come Madonna del Boden, ebbero inizio nel 1530, in pieno clima di Controriforma, in un periodo in cui era particolarmente sentita l’urgenza di promuovere il culto mariano valorizzando eventi miracolosi capaci di rinsaldare la fede cattolica, per arginare la diffusione delle idee protestanti. Il santuario del Boden, che attirava flussi di pellegrini e devoti dalle valli ossolane, dalla riviera d’Orta e dal lago Maggiore, venne successivamente ingrandito e abbellito, rimanendo quale prova evidente di devozione mariana e di religiosità popolare, attestata dal ragguardevole numero di “ex-voto” raccolti al suo interno, quantificati nel numero di 1147, molti dei quali anteriori al Novecento.
Il santuario della Madonna del Boden è parte di un itinerario spirituale e culturale che unisce diversi edifici religiosi dell’Ossola, presidi della fede cristiana e custodi di memorie popolari: tra questi ricordiamo il santuario di Re, al confine tra valle Vigezzo e Canton Ticino, detto anche della Madonna del Sangue, costruito per la venerazione dell’effigie miracolosa della Madonna del Latte, che nel 1494, colpita da una pietra scagliata da un giocatore iracondo, aveva effuso sangue per venti giorni, e il Sacro Monte Calvario di Domodossola, inserito nel novero dei Sacri Monti piemontesi, realizzati a partire da fine Quattrocento (il primo, che costituì il modello per tutti gli altri, fu il Sacro Monte di Varallo Sesia) sia per offrire ai pellegrini occidentali impossibilitati a recarsi in Terra Santa l’occasione di visitare una fedele riproduzione dei luoghi in cui visse Gesù (e Maria, per i Sacri Monti mariani), sia per fondare, in una prospettiva controriformistica, delle vere e proprie “cittadelle della fede” che, nelle intenzioni di promotori e committenti, dovevano fungere da sentinelle della Cattolicità, minacciata dall’infiltrazione delle idee protestanti provenienti dal nord delle Alpi.
La Madonna del Boden, come già accennato, si trova in un’area del Piemonte anticamente colonizzata da popolazioni Walser, etnonimo derivante dalla contrazione di “Walliser”, cioè abitante del Vallese, territorio da cui queste genti partirono nel XIII secolo per fondare insediamenti a sud dello spartiacque alpino. I villaggi Walser dell’alto Piemonte e della valle d’Aosta colpirono a tal punto il naturalista ginevrino De Saussure nel suo “Voyages dans les Alpes” che la descrizione contenuta nel suo libro di memorie fornì lo spunto al linguista svizzero Albert Schott per l’indagine sul tema “Die deutsche Kolonien im Piemont” (Le colonie tedesche in Piemonte) edita nel 1842.
Le popolazioni Walser, discendenti degli Alemanni stanziati nell’VIII secolo nell’Oberland bernese e insediatisi a partire dal X secolo sull’altopiano di Goms nell’alto Vallese, svilupparono una peculiare capacità di adattamento alle quote più elevate, specializzandosi nello sfruttamento dei terreni magri e impervi dell’alta montagna. Tale abilità, che consentiva loro di sopravvivere in un ambiente rude e inospitale, li rese graditi ai signori feudali, laici ed ecclesiastici, che, venuti in contatto con le genti Walser, strinsero accordi con loro affinché colonizzassero i territori dell’alta montagna, dissodando e mettendo a frutto suoli altrimenti improduttivi. Per questa ragione essi fondarono colonie normalmente collocate a quote superiori ai mille metri d’altitudine.
L’unica eccezione a questa regola d’insediamento, per l’area piemontese, è Ornavasso, Urnafasch in lingua Walser, località del fondovalle ossolano colonizzata (insieme con la vicina Migiandone, oggi frazione di Ornavasso) nel corso del XIII secolo da genti di etnia Walser, che bonificarono i terreni paludosi della piana del Toce e allestirono gli alpeggi nella valle del torrente Stagalo. Circa l’origine di questo insediamento germanico sono state formulate due ipotesi. La prima, sostenuta dallo storico svizzero Hans Kreis, individua come località di provenienza dei Walser di Ornavasso il paese di Naters presso Briga nel Vallese. Questa versione, come racconta Ferruccio Vercellino nel suo libro “Insediamenti Walser a sud del monte Rosa”, trova eco in una leggenda locale (riportata in un testo del 1842) che fa risalire la causa della migrazione in un dissidio sorto tra il signore di Naters e un gruppo di giovani ribelli, decisi a fermarlo nella sua volontà di esercitare violenza, il cosiddetto “ius primae noctis”, sulle loro promesse spose. La leggenda, che ruota attorno a una pratica, lo ius primae noctis, in realtà mai esistita come contenuto d’un diritto, ma inventata da giuristi del Cinquecento e ripresa nel periodo dell’illuminismo per mettere in cattiva luce il Medioevo, non sembra però trovare riscontro nella documentazione storica. Lo studioso Enrico Rizzi sostiene invece una probabile derivazione del popolamento Walser di Ornavasso dalle vicende della famiglia nobile dei conti de’ Castello, signori Von Urnavas, che, avendo acquisito per via matrimoniale delle terre nella valle del Sempione, inviarono proprio da queste zone alcuni nuclei di Walser a ripopolare il feudo di Ornavasso, che era rimasto nel frattempo sguarnito e esposto a mire esterne.
A differenza di altre colonie Walser, situate in posizioni di isolamento, l’abitato di Ornavasso smarrì almeno in parte l’impronta culturale e linguistica germanica già nell’Ottocento (ancora nel 1810 si tenevano i consigli comunali in lingua Walser), adottando gradualmente la parlata ossolana, che conserva però tuttora diversi vocaboli d’impronta tedesca. Anche nell’edilizia del paese non si trova traccia degli elementi tipici dell’architettura Walser, caratterizzata da un uso prevalente del legno rispetto alla pietra (utilizzata in particolare per la copertura dei tetti, per il basamento dell’abitazione e per il rivestimento della cucina, a fini di prevenzione degli incendi).
Nel territorio di Ornavasso rimane memoria dell’antica presenza Walser nel folclore popolare e in decine di toponimi, ma anche nelle tradizioni alimentari, come si può sperimentare nell’Antica Trattoria del Boden, che propone preparazioni tipiche della cucina piemontese e ossolana accanto a specialità di origine Walser. L’alimentazione dei Walser, sino all’introduzione del mais prima e della patata dopo (quest’ultima nel corso del XIX secolo), era fondata essenzialmente sul consumo di cereali poveri, segale e orzo, resistenti al freddo e alle alte quote, e sui latticini (latte, burro, formaggio), mentre la carne (ovina, bovina, caprina) faceva di rado la sua comparsa sulle tavole di questi montanari (solo in speciali ricorrenze o in caso di infortuno dell’animale), che svilupparono però l’usanza di essiccarla, conservandola in un vano ben aerato in genere disposto al secondo piano della casa, detto fleischspicher (dispensa della carne). Con la carne sotto salagione si usava preparare (specialmente in Valsesia), previo parziale dissalamento in acqua, un gustoso bollito di carni miste aromatizzate (bovine, caprine, ovine, perfino di marmotta nei secoli passati), chiamato Uberlekke.
Piatto “nazionale” Walser è la minestra d’orzo (Gerstensuppe), talvolta insaporita con l’aggiunta delle patate e, nella variante proposta alla trattoria del Boden, arricchita con pancetta ossolana. Il menu comprende anche la “Brantzuppo” (zuppa nera), che era uno dei modi di cucinare il pane nero raffermo (il pane, di segale o misto, veniva cotto una o due volte l’anno nei forni comunitari), tagliato a fette e disposto insieme con tocchetti di formaggio nei piatti fondi, su cui si versa un brodo molto caldo fatto cuocere con un soffritto di cipolle e burro. Troviamo poi il “Maalo”, crema di polenta, specialità della colonia Walser di Ornavasso, che, trovandosi a bassa quota, poteva facilmente disporre della farina ricavata dal mais, coltivato in loco sin dal Settecento. Tra i piatti rappresentativi della cucina dell’Ossola ricordiamo infine gli gnocchi all’ossolana, che includono nell’impasto la farina di castagne e la polpa di zucca.
Il territorio di Ornavasso è anche importante per un’altra ragione, legata al ritrovamento a fine Ottocento di due necropoli, nelle località di San Bernardo e In Persona, annoverate tra i siti funerari di età celtica più importanti dell’intero Nord Italia. Le tombe, con i corredi funerari rinvenuti all’interno (esposti in un’apposita sezione del Museo del Paesaggio di Verbania), risalgono al II e I secolo a.C. e appartengono a una popolazione locale, i Leponzi o Leponti che, mescolati all’elemento celtico e gallico, abitavano l’Ossola prima dell’avvento dei Romani e che trasmisero il nome alle Alpi Lepontine.