Paleologi di Monferrato, una dinastia bizantina dall’Oriente greco al Piemonte
Correva l’anno del Signore 1305: Giovanni I, ultimo esponente della dinastia aleramica che dalla fine del X secolo aveva retto le sorti del marchesato di Monferrato, si spegneva a soli 27 anni nel castello di Chivasso. La stirpe di Aleramo, il capostipite eponimo vissuto nel X secolo, personaggio sospeso tra storia e mito, era ormai giunta al capolinea, dato che il giovane Giovanni era spirato senza discendenza diretta. Si manifestava quindi l’urgenza di garantire continuità di potere al vertice dello Stato monferrino, che s’era affermato tra i protagonisti più attivi nel tormentato quadro politico del Piemonte medievale, resistendo tra XII e XIII secolo alle mire dei comuni di Asti, Alessandria e Vercelli, e poi, nel mutato contesto secoli XIV e XV, contrastando le ambizioni dei Savoia e dei Visconti.
Vanificando le aspettative di Manfredo IV, marchese aleramico di Saluzzo, che coltivava aspirazioni successorie confidando nell’appoggio di Angioini, Acaia e di Asti, ci si attenne per risolvere la questione al testamento di Giovanni I, redatto alla presenza di molti testimoni, tra cui i cinque medici che l’avevano assistito nella malattia. Come riporta lo storico Aldo A. Settia, nelle disposizioni per la successione a Giovanni I, che venne sepolto come diversi suoi predecessori nella chiesa abbaziale di Santa Maria di Lucedio nel Vercellese, si designava in prima istanza la sorella del marchese Giovanni I, Violante di Monferrato, sposa dell’imperatore (“basileus”) di Bisanzio Andronico II Paleologo con il nome greco di Irene, o, in alternativa, uno dei figli della coppia. Nel 1306 per volontà della “basilissa” Violante la scelta cadde sul figlio secondogenito Teodoro, destinato a divenire l’unico esempio conosciuto di principe greco che abbia fondato una dinastia al potere in Occidente, i Paleologi di Monferrato. La designazione di Teodoro avvenne malgrado le resistenze della stessa corte bizantina, ostile all’idea che un principe “porfirogenito”, cioè nato da imperatrice regnante (che partoriva in una stanza addobbata con drappi purpurei, detta “porphyra”), venisse posto su un trono occidentale.
La dinastia dei Paleologi, ascesa nel 1261 con Michele Paleologo al trono imperiale, conservato sino al tramonto definitivo di Bisanzio nel 1453, generò così un suo ramo occidentale, che si dimostrò capace di ravvivare gli splendori della corte aleramica rimanendo al potere fino all’ultimo discendente, Gian Giorgio, morto nel 1533 senza eredi diretti e sepolto come i suoi predecessori nella chiesa casalese di San Francesco (poi traslato nel 1834 nella chiesa di San Domenico). Estinta anche la dinastia dei Paleologi, nel 1536, disattendendo le aspettative del duca di Savoia e del marchese di Saluzzo, l’imperatore Carlo V pronunciò sentenza favorevole al duca di Mantova Federico II, consegnando ai Gonzaga l’antico marchesato.
Come emerge dalle ricerche di studiosi del calibro di Aldo A. Settia e Walter Haberstumpf, per comprendere le radici degli intensi rapporti politici e dinastici tra gli Aleramici di Monferrato e l’Oriente bizantino, occorre risalire indietro nel tempo, ai tempi del marchese Guglielmo V detto il Vecchio, il quale aveva preso parte alla seconda Crociata del 1147 al seguito di Luigi VII di Francia ed era stato ospite alla corte di Bisanzio. L’intelligente azione politica internazionale degli Aleramici, alla ricerca di soluzioni per rimediare alle difficoltà interne, si innestava sullo sfondo della rivalità tra la dinastia sveva degli Staufen, cui apparteneva Federico I il Barbarossa, e la dinastia bizantina dei Comneni, entrambe impegnate a rivendicare per sé l’eredità imperiale di Roma. Pur legati all’impero germanico da solidi vincoli di fedeltà, gli Aleramici si avvicinarono gradualmente, con lo strumento delle alleanze matrimoniali, alla causa dei Bizantini, facendo rientrare stabilmente l’Oriente greco nell’orizzonte dei propri interessi e sviluppando le proprie ambizioni dinastiche tra Costantinopoli e Gerusalemme.
Il tassello più importante nel quadro dei rapporti tra Aleramici e Comneni fu l’unione matrimoniale celebrata nel 1180 a Bisanzio tra il figlio cadetto di Guglielmo il Vecchio, Ranieri, e Maria Comnena, figlia dell’imperatore Manuele I Comneno. In occasione delle nozze il basileus bizantino riconobbe all’aleramico Ranieri la dignità di “cesare”, conferita con cerimonia sfarzosa e l’imposizione d’una corona di gemme, e gli concesse i “diritti”, probabilmente di natura fiscale, sull’importante città di Tessalonica (Salonicco). Da tale concessione prese forma la cosiddetta “questione di Tessalonica” che avrebbe visto Bonifacio, fratello di Ranieri e marchese di Monferrato dal 1192, rivendicare il “reame di Tessalonica” nel quadro della spartizione delle terre bizantine all’indomani della quarta Crociata del 1204. L’esperienza del regno aleramico di Salonicco si rivelò comunque breve, perché già nel 1224 le truppe del despota d’Epiro Teodoro Angelo cacciarono il figlio e successore di Bonifacio, Demetrio I, ma fu sufficiente per consentire ai marchesi del Monferrato di fregiarsi del titolo, ormai puramente formale, di “re di Tessalonica”.
I legami tra Aleramici e Oriente vennero alimentati anche dai matrimoni degli altri figli maschi di Guglielmo V nell’ambito di un disegno complessivo di potenziamento della presenza aleramica nei territori d’Outremer. Il matrimonio di Guglielmo detto Lungaspada con Sibilla d’Angiò, sorella di Baldovino IV, il Re Lebbroso di Gerusalemme, segnò l’ingresso degli Aleramici di Monferrato nelle vicende dinastiche del regno di Gerusalemme. Investito come principe consorte delle contee regie di Giaffa e Ascalona, Lungaspada si distinse per capacità militari e politiche, ma morì prematuramente nel 1177 ad Ascalona, lasciando la moglie incinta. Cronisti del tempo adombrarono il sospetto di un avvelenamento, forse ordito dalla moglie Sibilla con la complicità della suocera, Agnese di Courtenay. Morto il Re Lebbroso nel 1185, fu Baldovino V degli Aleramici, figlio di Sibilla, a salire sul trono reale di Gerusalemme, anche se per poco: nel 1186 il nonno Guglielmo il Vecchio partì ancora una volta per la Terra Santa, ma giunse appena in tempo per le esequie del nipote Baldovino, morto ad otto anni. L’epopea degli Aleramici in Terra Santa proseguì con le gesta di Corrado di Monferrato, che nel 1187 si coprì di gloria salvando la città portuale di Tiro dall’assedio del Saladino e nel 1190 sposò Isabella, sorella minore della defunta Sibilla e di Baldovino IV, contendendo a Guido di Lusignano, vedovo di Sibilla, la corona di re di Gerusalemme. Nel 1192, pugnalato a morte nelle strade di Tiro da sicari ismaeliti, appartenenti alla famigerata “Setta degli Assassini”, probabilmente al soldo di qualche rivale (c’è chi ipotizza Guido di Lusignano o Riccardo Cuor di Leone), Corrado lasciò la moglie incinta di Maria degli Aleramici, che sarebbe poi stata incoronata regina di Gerusalemme.
Tornando a Teodoro, il principe greco fece un percorso inverso rispetto agli antenati aleramici, partendo da Bisanzio per andare a occupare un trono occidentale. Il giovane Paleologo, appena quindicenne, sbarcò nel porto di Genova, dove si unì in matrimonio con Argentina Spinola, figlia di Opicino Spinola, signore della città. Nei mesi successivi Teodoro stabilì provvisoriamente la propria residenza a Casale, per poi trasferire, nel dicembre 1306, la sede della corte marchionale a Chivasso, promossa al rango di piccola capitale dello Stato monferrino e mantenendo tale ruolo sino al 1435, data dell’annessione ai domini dei Savoia. Le virtù militari e politiche di Teodoro vennero messe subito alla prova dall’urgenza di ripristinare l’integrità territoriale del marchesato, erosa dall’espansionismo delle forze rivali, in particolare il marchese di Saluzzo, i Savoia-Acaia e Carlo II d’Angiò.
Grazie all’autorità della casata cui apparteneva e ad abili disegni diplomatici, Teodoro, fronteggiando altresì le mire di Angioini e Visconti, riuscì nell’intento di recuperare gran parte dei territori strappati al marchesato, che ancora si presentava come un indefinito “aggregato di terre, di castelli, di ville e di borghi” dai confini mutevoli e fluttuanti. Pur impegnandosi con buoni risultati nella difesa dello Stato monferrino, il marchese “nato dalla porpora” continuò a intrattenere rapporti con Bisanzio, come testimonia la stesura del trattato politico militare “Insegnamenti”, redatto in greco e tradotto in latino, con cui il marchese intendeva fornire indicazioni per la salvezza dell’impero bizantino, minacciato dall’avanzata ottomana. Teodoro agì anche sul fronte delle relazioni tra Chiesa di Roma e Chiesa bizantina, separate dallo scisma del 1054, nel tentativo di ricomporre una frattura che aveva allontanato i Cristiani latini da quelli d’Oriente.
Il giudizio sull’operato del marchese Teodoro da parte della storiografia appare influenzato dal suo essere sospeso tra il mondo latino, di cui era originario per parte di madre, e quello greco in cui era cresciuto. Guardato con diffidenza dagli stessi cortigiani bizantini, non riscosse molte simpatie né tra gli storici occidentali, come Francesco Cognasso, che di lui scrisse “non seppe vivere né alla greca né alla latina”, né da quelli greci, che sembrano trattarlo con distacco come un “principe bizantino latinizzato”.
Le vicende dei Paleologi di Monferrato s’inserirono nel contesto più ampio di una proiezione d’interessi delle dinastie piemontesi verso l’Oriente greco che tra XIII e XIV secolo riguardò anche la nascente potenza sabauda. Ricordiamo ad esempio il matrimonio nel 1301 tra Filippo di Savoia e Isabella di Villehardouin, principessa d’Acaia (regione storica del Peloponneso greco), da cui ebbe origine la dinastia dei Savoia-Acaia, ma anche l’unione nel 1326 tra l’imperatore Andronico III Paleologo e Giovanna di Savoia (Anna per i bizantini), forse favorita dallo stesso marchese Teodoro I.