Crescentino, la storia del campanile “spostato di peso” per ampliare la cappella
La storia di Giuseppe Crescentino Serra, il capo mastro che riuscì a spostare di quasi cinque metri il campanile del Santuario della Madonna del Palazzo di Crescentino, evitandone l’abbattimento. La fama del suo ingegno giunse al re Vittorio Amedeo III che lo nominò “Supervisore delle fortificazioni di Torino”
CRESCENTINO. Per un crescentinese, chiamarsi Crescentino è già un motivo di orgoglio e ammirazione. A maggior ragione l’ammirazione cresce per chi ha immortalato il suo nome con qualche opera che sa di straordinario. È il caso di Giuseppe Crescentino Serra (Crescentino, 1734 – Crescentino 1804) che a Crescentino, un vivace borgo agricolo di quasi ottomila abitanti in provincia di Vercelli, è tuttora considerato, a distanza di quasi 250 anni dalla sua epica impresa, un genio alla Leonardo da Vinci.
Il Santuario della Madonna del Palazzo di Crescentino è un edificio di culto ricostruito nel XVIII secolo sul luogo in cui già preesisteva una pieve paleocristiana, posizionata in un importante ganglio viario, attraverso il quale passava l’antica strada romana che collegava Pavia con Augusta Taurinorum.
Nel lontano 1776 (da tre anni regnava nello Sato sardo Vittorio Amedeo III), la fama del Santuario della Madonna del Palazzo di Crescentino era tale da accogliere pellegrini da ogni parte del regno. La cappella che accoglieva la statua della Vergine, che secondo la tradizione elargiva grazie ai fedeli e guarigioni ai malati, era ormai diventata troppo angusta.
Il problema era che questa cappella si trovava proprio a ridosso del campanile, e l’unico modo per consentirne l’ampliamento, era quello di abbatterlo. Decisione che in effetti venne adottata dalla giunta municipale, in accordo con il rettore del Santuario, tal reverendo Teodoro Peruzia. Per fortuna intervenne Crescentino Serra a bloccare una decisione che sarebbe stata fatale per il campanile: “Invece di abbatterlo – propose Serra – il campanile lo possiamo spostare”.
Qualcuno storse la bocca, qualcun altro azzardò un’espressione di scherno, ma i più capirono che la proposta di Serra non era una semplice boutade, ma frutto di un preciso e razionale progetto e di una geniale intuizione. Serra non aveva titolo di architetto o di ingegnere, ma era un abile capo mastro, o meglio un mèist da mur, o mèist da muraja, come si diceva allora, vale a dire un valente e apprezzatissimo muratore di grande esperienza, che aveva già dato prova della sua capacità professionale edificando molti edifici di grande solidità e pregevole fattura nel territorio. Per il comune di Crescentino aveva anche realizzato un ardito ponte in mattoni sulla Roggia di Porta Pareto.
Si poteva provare. Al massimo, nel tentativo di spostarlo, il campanile sarebbe andato perduto: in fondo, non era il suo abbattimento che la giunta aveva deliberato? Si cominciò con lo scavare una nuova fondamenta, posizionata quattro metri e mezzo più in là di quella su cui poggiava il campanile. Il campanile venne puntellato da ognuno dei suoi quattro lati con lunghi tronchi, da terra fino a due terzi della sua altezza (quasi 22 metri). Si scavò poi sotto la torre, facendo in modo che questa venisse sostenuta da quattro residui monconi di pietre e mattoni, lasciati ai quattro angoli. Poi si infilarono nella cavità dei robusti tronchi.
Lo spostamento fu fissato per il 26 marzo del 1776: quel giorno tutta la popolazione di Crescentino si diede convegno nel piazzale davanti al Santuario per assistere con apprensione ad un avvenimento che mai aveva avuto un precedente nella storia: lo spostamento di un campanile.
Serra fece imbrigliare il campanile con possenti funi di canapa. Sicuro del buon esito dell’operazione, il geniale capomastro fece salire suo figlio, il piccolo Filippo, in cima al campanile, col compito di suonare le campane a festa per tutto il periodo dello spostamento.
Condusse un ulteriore controllo alla solidità della “zattera” di tronchi cilindrici posizionati sotto la torre: i quattro monconi residui in muratura di sostegno potevano essere abbattuti. La squadra dei tiratori di funi poteva attivarsi. Filippo iniziò a suonare le campane. Tutto funzionava a meraviglia: sembrava che il campanile galleggiasse sull’olio. Lentamente, molto lentamente (ci volle quasi un’ora per completare il tragitto di quei quattro metri e mezzo), il campanile – scivolando sui sottostanti tronchi rotolanti – raggiunse la nuova posizione, dove si assestò perfettamente sulle fondamenta. L’impresa, tra l’ovazione della folla, era riuscita.
La fama di Giuseppe Crescentino Serra non tardò a giungere alla corte di Vittorio Amedeo III, che – ammirato dal suo ingegno – gli propose di elaborare un progetto per lo spostamento della Torre Civica, in vista di ridisegnare il tracciato di Contrada Dora Grossa (l’attuale Via Garibaldi), su cui la torre incideva. Serra non si turbò per le difficoltà di tale impresa, che però venne abbandonata in quanto, per realizzare lo spostamento, si sarebbero dovuti abbattere alcuni edifici attigui, con un ulteriore aggravio dei costi. Vittorio Amedeo congedò Serra compensando la sua consulenza con una “pensione” di Stato, e con la nomina a “Supervisore delle fortificazioni di Torino”.
La Torre Civica (detta anche Torre di San Gregorio) venne poi abbattuta una ventina d’anni dopo dai Francesi, precisamente nel 1801, non tanto perché era di ostacolo ad un nuovo più razionale tracciato viario: semplicemente perché rappresentava il simbolo della fierezza di una città capitale di uno stato che, fino all’occupazione napoleonica, aveva sempre strenuamente difeso la propria indipendenza.
Sul pavimento del Santuario, a destra della porta d’ingresso, una targa di bronzo delimita l’esatta posizione in cui si trovava originariamente il campanile. Un busto marmoreo dedicato a Giuseppe Crescentino Serra è stato posizionato ai piedi della torre campanaria, all’interno della quale giacciono le sue spoglie: un’attigua lapide ricorda l’ardito spostamento definendo l’indimenticato l’artefice di quella memorabile impresa “cittadino ingegnosissimo”.