L’affascinante storia di Gianduja, maschera resa celebre da un burattinaio torinese
(Prima Parte)
Risalgono al Settecento le prime documentate notizie della presenza a Torino e in Piemonte di teatrini itineranti di marionette (personaggi a figura intera, mossi dall’alto coi fili) e di burattini (figure a mezzo busto, di legno o di pezza, mosse dal basso e infilate a mo’ di un guanto nelle mani dei burattinai). Tali teatrini venivano allestiti da compagnie di attori girovaghi, i cosiddetti “scavalcamontagne”, che si esibivano nelle piazze di molti paesi e città piemontesi, soprattutto nelle giornate di festa, per intrattenere un pubblico prevalentemente popolare e di ogni età.
Ma il fascino esercitato da questi spettacoli era così elevato e trasversale che molti burattinai vennero scritturati in esclusiva da famiglie aristocratiche dell’epoca: i teatrini venivano allestiti all’interno dei cortili dei loro palazzi, dove si tenevano spettacoli privati. Già nel 1767 il conte Verrua, ad esempio, aveva scritturato il burattinaio Antonio Vinardi (un ex sarto che aveva da tempo abbandonato la sua primitiva professione per dedicarsi in esclusiva all’arte del teatro itinerante), autorizzandolo ad esercitare “il gioco delle marionette” nel cortile del proprio palazzo torinese. Un altro artista contemporaneo del Vinardi, tal Guglielmone, aveva invece trovato ospitalità nel cortile di Palazzo Paesana, in Via della Consolata, dove faceva muovere con maestria e dialogare tra loro le sue marionette, facendo spanciare dalle risa tutti i componenti dell’aristocratica famiglia torinese.
Verso la fine del Settecento, a Torino, c’erano due teatri, specializzati – diciamo così – in questo genere di spettacoli, frequentati da esponenti di ogni età e classe sociale. I due teatri, che rivaleggiavano tra loro, erano il Teatro San Rocco e il Teatro San Martiniano. Le due sale prendevano nome dalle attigue chiese presso le quali erano posizionati: il Teatro San Rocco si trovava accanto all’omonima chiesa, tuttora esistente, in via San Francesco d’Assisi; il Teatro San Martiniano, peraltro non molto lontano dal San Rocco, si trovava invece vicino alla Chiesa di San Martiniano, che poi fu demolita quando venne tracciata la diagonale di via Pietro Micca.
Del Teatro San Rocco era direttore artistico il torinese Giambattista Sales. La sua carriera di burattinaio era iniziata già da molto tempo, fin da quando aveva dato vita ad un personaggio di sua creazione, che fin dall’inizio riscosse grande successo. Nel crearlo, Sales si era ispirato alle sembianze di un altro burattino con cui si esibiva un artista di strada, tal Gioanin dj’osej, che di Sales può essere considerato il maestro. Sales portò presto in giro il suo burattino, cui aveva attribuito il nome di Gironi (Gironi aveva anche una moglie, che Sales aveva chiamato Giromëtta): ma i lineamenti e il carattere di quel personaggio erano già somigliantissimi a quell’altro burattino che – qualche anno dopo – lo stesso Sales avrebbe chiamato Gianduja, di cui Gironi – a tutti gli effetti – può essere considerato l’interprete antesignano. Fu a Callianetto che Giambattista Sales, che aveva intanto stretto un rapporto di collaborazione con un altro valente burattinaio, tal Gioacchino Bellone di Racconigi, fece esordire Gianduja (era il 1808), facendo in modo che apparisse in pubblico con un naso rubicondo ed una doja (ovvero un boccale per il vino) in mano. Il nome Gianduja è infatti la contrazione dell’epiteto Gioanin (o Gioann) ëd la doja.
Gianduja fece le sue prime apparizioni a Torino al Teatro Gallo di via Po e al Rossini, con grande successo di pubblico. Nel 1819, Sales e Bellone lo fecero esordire al Teatro San Rocco, tra gli applausi ricorrenti e scroscianti degli astanti. Il Teatro San Martiniano, invece, era gestito da un altro burattinaio di talento: Luigi Lupi, figlio di un droghiere di Ferrara. Dopo essere stato scritturato con la sua compagnia per qualche tempo a Palazzo Paesana (i Paesana dovevano essere davvero appassionati di questo genere teatrale!), Lupi si mese in proprio e assunse la direzione del Teatro San Martiniano. Il repertorio di Lupi ruotava attorno alla figura di Arlecchino, con testi ispirati alla commedie di Goldoni e con scenografie di particolare fascino.
Il figlio di Luigi Lupi, Enrico Lupi, nato a Torino, a differenza del padre, aveva intanto acquisito un piena padronanza della lingua piemontese. Il giovane artista pensò allora di trasformare Gianduja da burattino in marionetta, facendolo debuttare sul palcoscenico del teatro paterno. Fu un’intuizione geniale. Un po’ alla volta, il Gianduja di Lupi, mosso con abilità da efficaci giochi di fili che davano naturalezza alle sue movenze sul piccolo palco, e con i suoi lazzi divertenti e genuini, finì per imporsi sul Gianduja di Sales, che pure ne era stato il creatore. E il successo cresceva di stagione in stagione, tanto che in quel teatro la famiglia Lupi continuò ad esibirsi per sessant’anni consecutivi, trasmettendo di padre in figlio l’arte di muovere magistralmente le marionette. I Lupi (si chiamavano quasi tutti Luigi, in onore del capostipite della dinastia) rimasero infatti in quel teatro dal 1823 ai primi anni Ottanta dell’Ottocento, quando l’edificio che lo accoglieva, e l’attigua chiesa, vennero definitivamente abbattuti per far spazio alla via Pietro Micca, la diagonale che collegava piazza Solferino con piazza Castello.
Sopraffatta la compagnia rivale, grazie anche ad originali trovate teatrali e a spettacolari e inediti colpi di scena, attuati anche con l’aiuto di innovativi congegni meccanici da palcoscenico, i Lupi aprirono anche un altro teatro, il “Teatro Lupi”, che si trovava in Borgo Vanchiglia, non lontano dal famigerato e malfamato Borgo del Moschino. I Lupi, intanto, cominciarono a cimentarsi in sempre nuovi spettacoli teatrali in lingua piemontese, anche con attori in carne ed ossa, che in breve divennero i beniamini di un pubblico fedele ed entusiasta. Uno di questi attori di successo è stato Giovanni Toselli.
Gianduja, intanto, diventava sempre più l’interprete dei sentimenti popolari, la maschera rappresentativa della piemontesità più schietta e genuina, in cui il popolo si identificava, e che con la voce del popolo si esprimeva, commentando con ironia corrosiva i fatti della politica e del costume subalpino contemporaneo. Riprenderemo la storia di Gianduja e della famiglia Lupi, i marionettisti che contribuirono a rendere nota in Italia e nel mondo la figura della maschera piemontese, in un prossimo articolo.
Fine Prima Parte
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