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Là, nella Pampa Gringa argentina, dove ancora risuona la lingua piemontese

Nella provincia di Córdoba, tra San Francisco e Santa Fe, si concentra la più vasta comunità di piemontesi, discendenti di quei contadini che, tra fine Ottocento e i primi decenni del Novecento, emigrarono in Argentina in cerca di fortuna

Quando tra qualche decennio, o forse tra qualche secolo, il piemontese sarà (se mai lo sarà) una lingua morta, non sarà probabilmente né Torino né Cuneo, né Asti né Vercelli il luogo in cui risuonerà l’ultima parola in questa lingua. L’ultima parola, o l’ultima locuzione in piemontese, sarà pronunciata al di là dell’Atlantico, nella Pampa Gringa, forse a Córdoba, a San Francisco o a Santa Fe, dove il piemontese dei nostri antenati sopravvive con fierezza e con una resilienza che non trova uguali neppure all’ombra della Mole o del Monviso.

Fu in queste terre, lontane da Buenos Aires e dalle coste dell’Atlantico, che soprattutto a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento, immigrarono in massa migliaia di famiglie piemontesi, giunte in Argentina attraversando il Mediterraneo e l’Oceano.

Nel 1876 il Governo argentino varò una legge per incentivare l’immigrazione, soprattutto di agricoltori, per poter dare impulso alle produzioni agricole, che all’epoca si rivelavano assolutamente insufficienti al bisogno dei residenti. L’intenzione era quella di frazionare in lotti le vaste aree incolte o occupate da popolazioni indigene, proponendo queste terre a prezzi vantaggiosi, se non addirittura gratuitamente, purché venissero trasformate in terreni coltivati, ed ogni famiglia di coloni provvedesse a costruirsi sul posto una casa.

Il Governo argentino arrivò ad anticipare ai contadini immigrati le spese di viaggio dal porto di sbarco ai luoghi di destinazione, fornendo loro una dotazione di scorte di sementi ed attrezzature agricole. Furono moltissimi gli italiani, soprattutto piemontesi, e in minor parte lombardi e di altre regioni in prevalenza del Nord, a cogliere questa opportunità, anche se le terre meno lontane dal mare, allora più ambite, furono appannaggio soprattutto di tedeschi e svizzeri.

Vantaggi ancora maggiori vennero concessi a quegli imprenditori agricoli privati, ditte individuali o società di capitale, che si fossero impegnati ad accogliere, nel giro di due anni, negli appezzamenti loro concessi (di cinquanta ettari ciascuno) colonie di almeno centoquaranta famiglie. Spesso furono proprio le compagnie private di colonizzazione, e alcuni ricchi latifondisti, ad approfittare di questi benefici; ma non mancarono neppure i piccoli coltivatori diretti, soprattutto italiani, che riuscirono ad impiantare nelle Pampas autonomeaziende agricole, floride e redditizie. Numerosissimi furono i coloni piemontesi intervenuti in veste di conduttori di proprie fattorie, oppure in veste di mezzadri o di affittuari: tant’è che questo pezzo d’Argentina, diventato praticamente tutto, o quasi, in mano a stranieri, venne rinominato la Pampa Gringa.

Tra il 1877 e il 1890 la coltivazione di cereali e gli allevamenti di ovini e di bovini nei territori espropriati agli indigeni, condotti da coloni indipendenti o al servizio di latifondisti nelle province di Buenos Aires, La Pampa e Santa Fe, registrò un grande impulso, proprio grazie al massiccio impiego di manodopera italiana o di altri paesi europei.

Nel 1895, un censimento della popolazione agricola riportava che su oltre  400.000 proprietari di aziende agrarie, circa un quarto (100.000) erano di nazionalità straniera, e di questi, più della metà erano di origine italiana: i piemontesi rappresentavano certamente in molte zone la comunità più rappresentativa.

Nel 1905, nell’area di Córdoba, gli italiani costituivano l’80% dei proprietari agricoli della provincia. Ed è proprio qui che si è concentrata la più massiccia comunità di piemontesi immigrati in Argentina. Questi contadini, spesso non scolarizzati, si esprimevano soltanto (o prevalentemente) in lingua piemontese, cioè nella loro lingua madre. Il piemontese diventò poco alla volta, la comune koinè di appartenenza, espressione di una identità culturale condivisa. Era d’altronde quella la lingua che essi parlavano nella piccola Patria d’origine, e in questa lingua continuarono ad esprimersi in famiglia e tra loro anche nel Paese che li accolse. Sono passate diverse generazioni da allora, ma la lingua piemontese resta da quelle parti la seconda lingua più parlata dai residenti. E se è vero che oggi i discendenti di quei pionieri piemontesi parlano correntemente lo spagnolo, è anche vero che i più non hanno dimenticato la lingua dei loro progenitori. Anzi. E ciò si deve all’attività e all’impegno di numerose Associazioni culturali e ricreative argentine (Famije Piemontèise, Familias Piamontesas) che rappresentano un punto di riferimento culturale e sociale per le famiglie piemontesi d’Argentina. Esse s’impegnano con passione per mantenere vive le tradizioni degli antenati, e la loro lingua antica, organizzando convegni, corsi di piemontese, feste del Piemonte, con un interesse crescente per la cultura, le tradizioni e la storia della Patria d’origine, mai dimenticata.

Tra queste Associazioni ricordiamo, ad esempio, il Comites di Rosario, la Familia Piamontesa di Paranà, Entre Rios, l’Associazione Zenón Pereyra, e la Società Italiana di Mutuo Soccorso “Unione e Benevolenza” di Santa Fe e l’Associazione Familia Piamontesa di San Francisco di Córdoba.

Le Famije Piemontèise d’Argentina, fin dal 1973, si sono raggruppate nella FAPA, Federazione delle Associazioni dei Piemontesi d’Argentina, e ciò si è rivelato una scelta virtuosa che facilita il coordinamento delle loro attività e gli scambi culturali e turistici tra il Piemonte e l’Argentina. Occorre dire che spesso la loro attività ha trovato il supporto dei Governi provinciali e delle Università argentine, muovendosi talvolta in collaborazione con alcune Associazioni Culturali piemontesi e la stessa Regione Piemonte.

Una delle figure più attive e intraprendenti tra i discendenti di terza, quarta e quinta generazione dei primi emigranti piemontesi in Argentina è sicuramente la signora Alejandra Gaido (detta Chaly), che afferma: “Mè bisàvol a l’é riva ambelessì da Barge dël 1892: as ciamava Michel e sò pare, nà a Frossach, as ciamava ’dcò chiel Michel, l’istess ëd mè cé e mè barba: tùit Michel!”

Alessandra risiede nel cuore della Pampa Gringa, a Las Varillas, nel Sud-Est della provincia di Córdoba: “na region – afferma – andoa as travaja la tèra, as sëmna, a s’anlevo le vache, as fan ij formagg, e via fòrt. I l’oma ’mbelessì l’ùnica fàbrica ’d trator ch’a ven-o fàit e montà ‒ dal prinsipi a la fin ‒ completament an Argentin-a! Costa a l’é na tèra pien-a ’d cognòm piemontèis.”

Alejandra Gaido conduce una trasmissione televisiva sul Canal Cooperativo di Alicia, il cui titolo è “Le rèis a parlo”: un programma bilingue (spagnolo e piemontese) con tante interviste a piemontesi d’Argentina che parlano ancora, e con orgoglio, la lingua dei loro antenati. La trasmissione propone le ricette della tradizione culinaria piemontese, canzoni piemontesi, e trasmette filmati girati in Piemonte per far conoscere le bellezze naturali, le ricchezze artistiche e le unicità storiche e culturali dell’antica Patria lontana, là dove sono rimaste le mai dimenticate radici di migliaia di discendenti di emigranti.

No: in Argentina, nella Pampa Gringa, la lingua piemontese non morrà mai. E se dovesse un giorno morire, sarà qui che sarà pronunciata, sospirata, o forse gridata, l’ultima parola in piemontese.

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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