La straordinaria collezione di tappeti del Museo Schneiberg di Torino
TORINO. Da fine settembre 2020 il panorama museale di Torino si è arricchito di una nuova importante presenza, il “Museo Schneiberg”, gestito dall’omonima Fondazione privata che ha come scopo di “promuovere il recupero, la conservazione, il restauro e la valorizzazione del patrimonio artistico asiatico”, con particolare riferimento ai tappeti della Cina imperiale.
Innestandosi su una significativa tradizione di rapporti culturali tra il Piemonte e l’Oriente, che hanno la loro radice storica nella passione coltivata dai Savoia per l’arte cinese, maturata a partire dal Settecento e tradottasi sia nell’acquisizione di manufatti orientali destinati alle residenze reali, sia nella promozione di tecniche di imitazione di arredi e oggetti d’arte “alla China”, il Museo Schneiberg propone ai visitatori, nell’affascinante cornice di una dimora dell’aristocrazia piemontese legata alla dinastia sabauda, il palazzo Provana di Collegno (oggi di proprietà dei baroni Guidobono Cavalchini), una straordinaria collezione di trentasei Tappeti Imperiali di Seta e di Metallo, riferibili alla dinastia dei Qing, che regnò in Cina dal 1644 al 1911.
Il percorso espositivo, attentamente studiato e organizzato dall’archeologo torinese Generoso Urciuoli perché si integrasse al meglio con le caratteristiche delle sale in una sorta di “dialogo” simbolico e iconografico tra l’apparato decorativo delle pareti e le raffinate figurazioni dei manufatti cinesi, è stato battezzato con il nome di “KUNLUN – I Tappeti dell’Elisir” perché si sviluppa attorno a un tema caro alla simbologia classica taoista, il “viaggio alchemico alla ricerca dell’elisir”, consentendo al visitatore di accostarsi all’universo ideale della dinastia dei Qing.
I tappeti imperiali esposti nelle sale del museo torinese, in gran parte provenienti dai famosi laboratori di Kashgar, città-oasi situata nella regione del Xinjiang lungo la Via della Seta, vennero commissionati dagli esponenti della dinastia regnante dei Qing per essere destinati ai padiglioni in legno e alle sontuose sale della Città Proibita di Pechino e della residenza imperiale di Mukden in Manciuria. Quest’ultima regione, situata nel nord-est della Cina e anticamente abitata da popolazioni tunguse, era il territorio di provenienza della dinastia dei Qing, letteralmente i “puri”, nome con cui l’antico clan manciù degli “Aisin Gioro” si ribattezzò per l’esigenza di legittimare la propria ascesa al potere, alludendo al concetto di “purezza” delle origini.
Nelle splendide sale di palazzo Provana di Collegno, il cui apparato ornamentale risale alla fine del Settecento, realizzato in occasione delle nozze tra un illustre esponente del casato, Giuseppe Francesco Provana, e la nobildonna savoiarda Anna Morand de St Sulpice, si dipana l’itinerario proposto al visitatore che viene accompagnato in un vero e proprio viaggio spirituale e simbologico in otto tappealla porta del paradiso taoista, il “Kunlun”, secondo la concezione cinese un luogo mitico, con meravigliosi padiglioni sospesi tra nuvole sottili, dove risiede Xin Wangmu, la Regina Madre del Paradiso Occidentale, e in cui si trova un lago di acque di cinabro che, se bevute, hanno il potere di donare l’immortalità.
L’attenzione del visitatore non è soltanto catturata dalla preziosità dei tappeti, fabbricati in seta e filo di rame ricoperto d’oro, ma anche dal complesso repertorio figurativo che li caratterizza e che rimanda all’universo ideale proprio del mondo taoista cinese, collegato alla vita stessa dell’imperatore, concepito nella mentalità cinese come il tramite tra Cielo e Terra, garante dell’armonia e del benessere dell’impero. Ogni tappeto presentava infatti sulla cimosa un’iscrizione (non tutte si sono conservate) che indicava lo specifico ambiente del palazzo imperiale a cui il manufatto era destinato (ad esempio la Sala dell’Armonia Preservata, dove l’imperatore riceveva le delegazioni straniere, o la Sala dell’Armonia Suprema, con il famoso Trono del Drago). Il repertorio iconografico e simbologico dei tappeti era appositamente studiato in funzione della sala in cui sarebbero stati collocati e delle funzioni che i vari ambienti dovevano assolvere nel quadro del complicato cerimoniale di corte dei Qing, che era regolato e codificato nei minimi dettagli.
Non è detto che poi, all’atto pratico, tutti i tappeti venissero effettivamente sistemati nelle stanze di corte per cui erano stati pensati perché non era infrequente che questi manufatti, per la ricchezza decorativa e artistica, divenissero doni diplomatici destinati a dignitari stranieri. Attraverso questa via un certo numero di tappeti imperiali della dinastia dei Qing, finiti per passaggi successivi nella disponibilità di famiglie occidentali di acquirenti e collezionisti, si sono provvidenzialmente salvati dalle distruzioni cui andarono incontro, per i numerosi incendi, gli ambienti, in prevalenza costruiti in legno, delle residenze imperiali cinesi, in particolare a seguito della Rivoluzione Xinhai che nel 1912 portò all’instaurazione della nuova Repubblica di Cina. Si calcola, in base ai dati conosciuti, che sopravvivano 360 tappeti di seta e metallo del periodo Qing e questo fatto mette ancor più in evidenza l’importanza della collezione Schneiberg esposta a Torino, che ne conta ben 36.
I tappeti imperiali Qing, a ben osservarli, appaiono quasi come delle opere scultoree perché le parti in tessuto, con le figure e i motivi rappresentati, sono in rilievo rispetto alle superficie piane realizzate in metallo. Questa considerazione si collega alla credenza radicata nell’antica Cina imperiale per cui le immagini, se collocate nelle giuste posizioni, erano ritenute in grado di animarsi e influenzare lo svolgersi degli eventi. I tappeti-scultura di seta e metallo, disposti all’interno delle residenze imperiali con il loro corredo di raffigurazioni fantastiche e leggendarie, assolvevano quindi non solo a una pur essenziale funzione decorativa e di arredo (le parti in metallo, riflettendo la luce, accrescevano la luminosità degli ambienti e, se collocate su pedane riscaldate, servivano a potenziare l’effetto di propagazione del calore), ma anche e soprattutto a una funzione magico-sacrale, di compartecipazione ai destini dell’impero.
Le figure come i draghi volanti (con cinque artigli), le fenici, i pipistrelli, i fiori, le perle, che abitano il campo centrale del tappeto, contornato da bordure con ornamenti simbolici (come le sequenze di svastiche), concepiti come cerniera di protezione contro interferenze negative esterne, fungevano da supporti magici nelle cerimonie e nei riti sciamanici in cui era coinvolto l’imperatore, investito del ruolo di mediatore tra Terra e Cielo. Questi, entrando in sintonia con le forze dell’universo con il supporto magico-sacrale del tappeto-microcosmo, riflesso del macrocosmo, era in grado di intraprendere viaggi verso dimensioni sconosciute e luoghi interdetti ai sudditi, come il Kunlun, dimora degli immortali, e di apportare armonia nell’impero, legittimando così dinnanzi ai sudditi il suo immenso potere.
Come abbiamo già osservato, il fascino dell’allestimento museale risiede anche nell’aver instaurato un dialogo visivo e un gioco di rimandi simbolici tra le raffigurazioni dei tappeti imperiali e gli ornamenti – affreschi, trompe-l’oeil, fregi, sovrapporte dipinte, specchi – che decorano le pareti di palazzo Provana di Collegno, edificato a partire dal 1687 per volere di Antonio Provana su disegni già forniti dall’architetto Guarino Guarini.
La visita al museo può essere quindi affrontata con chiavi di lettura diverse: senz’altro un viaggio in un “altrove esotico”, il mondo imperiale cinese ormai scomparso, ma anche un percorso di immersione totale nella bellezza che, prima di arrivare ai tappeti imperiali delle sale interne, è per così dire prefigurato dall’equilibrio e dai richiami simbolici dell’architettura guariniana. L’esperienza ha inizio appena varcato il portone d’ingresso, con due ambienti disposti in successione, un andito ottagonale seguito da un amplissimo atrio ovale con volta spicchi poggianti su un giro di otto colonne, e prosegue alla base dello scalone monumentale di raccordo con il piano nobile, dove il visitatore si trova di fronte un austero forziere, lasciato volutamente qui quale esortazione alla scoperta, come se ci si accingesse, salendo i gradini e raggiungendo le sale dell’edificio, ad aprire uno scrigno colmo di oggetti rari e preziosi, e di sorprese.
Museo Schneiberg – Via Santa Teresa 20, 10121 Torino – www.museoschneiberg.org – Per le visite si prega di inviare una mail a:
booking@museoschneiberg.org oppure di telefonare al 351.666 8169