Storie piemontesi: quando nel 1898 Secondo Pia fotografò per la prima volta la Sindone…
TORINO. “Sulla soglia della camera oscura era il Pia. Con le mani stringeva la grande lastra ancora gocciolante di fissativo. Fattoglisi incontro mio nonno fu colpito dalla strana espressione del suo volto. Abbassò gli occhi sulla lastra e vide. In piedi, uno di fronte all’altro, i due non riuscivano a staccare lo sguardo da quell’immagine negativa meravigliosa che per loro esperienza fotografica doveva essere in negativo e invece… Fu il Pia a rompere per primo il silenzio: Varda, Carlin, se sossì a l’è nen un miràcol”
Tra il 18 aprile e il 24 giugno 2015 c’è stata l’ultima ostensione pubblica della Sindone. In realtà anche l’11 Aprile 2020 è stata mostrata fuori dal suo scrigno nella Cattedrale di Torino, all’interno del Duomo in piazza San Giovanni, ma quest’ultima si è potuta vedere soltanto in televisione a causa dell’emergenza Covid. E tra fedeli, appassionati o, più semplicemente, curiosi, la reliquia sacra per eccellenza della religione Cattolica ed i momenti in cui questa veniva mostrata sono sempre stati un punto d’incontro e di dibattito, nodo turistico per migliaia di pellegrini alla ricerca di “qualcosa”, sia in senso aconfessionale che religioso. Ad oggi, la presenza del “Sacro lenzuolo” nel territorio torinese appare quasi scontata e spesso ci si dimentica delle grandi dispute e dei grandi eventi che hanno portato il Duca Emanuele Filiberto a portarcelo nel 1578, anno del passaggio di Torino a capitale del Ducato Savoia al posto di Chambery. E, da quel giorno, qui è rimasta, studiata, apprezzata e conservata da generazioni e generazioni di piemontesi.
Tra questi, un posto d’onore lo merita sicuramente un avvocato e fotografo dilettante piemontese, Secondo Pia. Astigiano di nascita, Pia era quello che oggi definiremmo un “fotoamatore evoluto”, e le sue campagne fotografiche sono oggi considerate di fondamentale valore per ricostruire la storia urbanistica e architettonica del Piemonte, un territorio che non solo “dipinse” all’interno dei suoi scatti con straordinaria capacità, ma di cui partecipò anche all’amministrazione come consigliere comunale e sindaco d’Asti.
Tra Pia e la fotografia fu amore a prima vista; ad educarlo a quella relativamente nuova e difficile arte fu lo zio materno, Orazio Mussi, che per il compimento della maggiore età gli regalò il suo primo apparecchio fotografico. All’epoca, il mestiere del fotografo non era esattamente semplice – con la dovuta precisazione che, come ogni arte, la fotografia non è mai semplice – come quello di oggi: per immortalare i suoi soggetti, Pia percorreva il Piemonte con un carro trainato da buoi su cui aveva montato il proprio piccolo e personale laboratorio, necessario per preparare e sviluppare le lastre al collodio umido. Edifici, chiese, affreschi, ma anche particolari mobili, portoni e serrature; le “ricreazioni”, così chiamava Secondo le sue campagne fotografiche, portarono l’obiettivo di questo personaggio nostrano ad un vero e proprio censimento delle bellezze della regione che abitava, documentato non solo attraverso le foto, ma anche attraverso una fitta rete di informazioni storiche ed artistiche dei vari soggetti trattati. In totale, di Secondo Pia, oggi ci rimangono ben 6000 negativi in bianco e nero, 2500 diapositive in bianco e nero, 300 diapositive a colori realizzate da lastre Autochrome Lumière: numeri impressionanti, che oggi ci parlano di un Piemonte ormai sepolto dalla polvere dello “ieri”.
Sarà in occasione dell’ostensione del 1898 che Secondo Pia otterrà il lavoro per il quale oggi è tanto ricordato: fare la prima foto della Sindone. All’epoca presidente del sodalizio “cultori dell’arte fotografica”, Pia era perfetto per quel lavoro; considerato un fotografo esperto, nonché un uomo di integerrima caratura morale, superò le resistenze di Casa Savoia, preoccupata dei risvolti economici derivanti dalla fotografia, assumendosi l’onere economico dell’impresa e rinunciando ad ogni diritto d’autore.
Una foto non facile, oltretutto; illuminato da due fari elettrici, vera e propria novità tecnologica dell’epoca, la foto era a dir poco inusuale. Regolare contrasti e sopperire alla novità di quell’illuminazione così differente dallo standard fu un lavoro di non poco conto. Qui, al termine dei lavori il 25 maggio 1898, la grande scoperta: a partire dal “negativo” della sindone, un volto umano aveva preso forma sulla lastra di vetro.
“[…] Chiuso in camera oscura, tutto intento al mio lavoro, ho provato una fortissima emozione quando durante lo sviluppo ho visto per la prima volta apparire sulla lastra il sacro volto, con tanta evidenza che ne rimasi stupito e anche lieto, perché da quel momento potevo avere la certezza del buon esito della mia impresa“, riporta lo stesso Pia in un suo articolo del 1907, La photographie du Saint Suaire de Turin. Gli scatti successivi del 28 Maggio confermarono quella “rivelazione”, dando vita ad una serie di dibattiti che hanno popolato le discussioni degli appassionati per molto tempo.
Oggi gli scatti di Pia sono stati raccolti e disposti per il pubblico, li potete ammirare all’Archivio storico comunale di Asti, al Museo nazionale del cinema di Torino, presso la Biblioteca Reale di Torino e al Seminario vescovile di Asti.
Mirco Spadaro