Come si salutano i piemontesi
Tutte le forme subalpine di saluto, dal “ciàu” al “cerea”
Le forme di saluto dei piemontesi sono variegate e assortite, come peraltro accade per tutte le lingue regionali italiane, con numerose peculiarità, sfumature e varianti locali.
Nel lessico subalpino non manca né il “buongiorno” (bondì in piemontese), né la “buona sera” (bon-a sèira) e neppure la “buona notte” (bon-a neuit), ma i piemontesi amano salutarsi soprattutto con l’ ”arrivederci” (arvëdse, o anche a l’arvista), che poi è il saluto più ottimistico e benaugurale che esista.
Neppure manca il solare “ciao”, che in piemontese diventa ciàu, con la u finale, il più amichevole di tutti i saluti (da non confondere con la parola ciav, chiave, che si pronuncia allo stesso modo). Pare assodato che questa forma di saluto, peraltro abbastanza recente, derivi dalla parlata veneziana, e che si tratti di una forma contratta del termine “schiavo”, usato nell’espressione “schiavo (s-ciavo) vostro”, in origine piuttosto rispettosa e formale.
In piemontese la variante s-ciàu è rimasta in alcune locuzioni, allorquando si voglia sottolineare una sorta di rassegnazione per un evento accaduto o una realtà di fatto (in italiano potrebbe essere resa con l’espressione “Buona notte ai suonatori”). Riporto a titolo di esempio l’espressione (non priva di una punta di malcelata malizia che ruota sui doppi sensi e sulle assonanze, e che non sto qui a spiegare) “A së sposo e… s-ciàu!”
Ma il più originale di tutti i saluti in piemontese è senz’altro il “Cerea!”: una forma garbata e gioiosa di saluto (sia in occasione di un incontro che di un commiato), non troppo formale e neppure troppo confidenziale, in perfetto stile subalpino. Può ricordare vagamente (anche nel suono) il cheer you degli scozzesi: forse un anello di congiunzione tra la lingua celtica e quella piemontese? Chissà. Ma per i linguisti e i glottologi il termine cerea (con le varianti ciarèa, ciarèja e serea) deriverebbe dall’espressione di saluto “vossurìa”, un modo formale (e sottomesso) di rivolgersi al prossimo. Si tratterebbe cioè della forma contratta dell’espressione: “saluto (o anche: omaggio, ossequio) vossignoria!”. L’origine remota dovrebbe dunque essere ricercata nelle parole latine vŏstram seniorīam che in italiano si sono fuse tra loro in un unico termine, con varianti semantiche e fonetiche diverse da regione a regione. L’apparentamento tra il cerea subalpino (più garbato e rispettoso) e il ciao nazionale (più confidenziale) è comunque evidente soprattutto nelle forme ciarèa e ciarèja che nella sillaba iniziale risentono dell’influsso di pronuncia della forma di saluto italica ormai diffusa in tutto il mondo. Ma tra il ciàu e il cerea esiste un abisso: e forse solo gli autentici piemontesi sanno distinguere quando usare l’uno o l’altro, a seconda delle circostanze. Ma non è solo un fatto di opportunità: è anche un fatto di sentimenti, di emozioni e di sensibilità personale.
Si sa: i piemontesi abusano spesso del nèh, il più caratteristico dei loro intercalari. Ma quando lo usano dopo il cerea, allora quel saluto si riempie di contenuti, di intensità, di schiettezza. Il cerea nèh! è più di un saluto: è una dichiarazione di stima e di affetto, una folata di ottimismo e di speranza.
C’è un’altra variante di cerea che non si può evitare di ricordare: il bondi-ciarèa, che riunisce in una sorta di gaio connubio due forme di saluto tipicamente piemontesi (bondì e cerea). Questa formula di saluto è stata anche assunta in epoca passata come titolo di una nota rubrica in Lingua piemontese inserita nell’ambito del programma radiofonico “Il gazzettino del Piemonte”, che veniva quotidianamente irradiata dalla sede regionale RAI di Torino, ed era in auge negli Anni Sessanta.
Così come non possiamo evitare di ricordare che papa Francesco, il pontefice argentino di origini piemontesi, ancora fa uso abituale del cerea, soprattutto in occasione di incontri e udienze con esponenti religiosi e politici piemontesi.
Bene, non mi resta che salutare i Lettori. Non ho che l’imbarazzo della scelta. Potrei farlo con uno squillante “A l’arvista!”, oppure con un caloroso “Cerea!”
Ma oggi scelgo di farlo con un solare “Cerea a tuti, nèh!”
Sergio Donna | 1° Giugno 2022