amarcord tra linee rette e curve sui quaderni a quadrettoni di prima elementare…
questa è la pubblicazione di una serie di racconti che rimandano al tempo passato. sono 12 +1. dodici come le ore (nell’ordine: la sveglia / l’uomo del plasmon / tra linee rette e curve / condor n. 5 / magellano / rai radiotelevisione italiana / bwv565 / italia ‘61/ 48714 / la 500 da corsa / la racchetta di rod laver / il giro di sol) più uno dedicato all’orologio del minareto della moschea di testour (tn) dove questa idea di ritornare indietro nel tempo è nata. in ogni racconto è riportata una pagina di immagini che rimandano al testo e quella dell’oggetto/scultura con l’inserimento di un orologio dal movimento antiorario.
sì, come sempre avviene per tutti (o quasi. vale a dire per i più fortunati) nei primi anni della nostra vita abbiamo a che fare con le righe e le curve. già. si deve imparare a scrivere (e leggere). poi anche a disegnare. gesù, so di non aver detto una gran cosa. ma l’ho detta per raccontare come nel dopoguerra (la seconda mondiale) si andava a scuola. vabbè. prima e seconda elementare a gasu (gassino torinese). primi problemi con l’imparare a scrivere. s’iniziava con il fare le aste sul classico quaderno a quadrettoni, copertina nera ed etichetta da vaso per farmacia. come oggi. prima si usava la matita (non copiativa) che era facile da (s)cancellare. poi tutto si complicava con l’inchiostro. a scuola era in un calamaio tondo inserito nel banco. a casa in una preziosa boccettina che si tirava fuori dal cassetto della credenza solo quando serviva. pelikan1 la marca. già, i guai iniziavano quando bisognava correggere gli errori. o quando il pennino (il mio preferito era a forma di cuore) schincato (forse un piemontesismo per dire punte accavallate) piantandosi nel foglio lasciava cadere l’inevitabile goccia. l’inchiostro doveva essersi asciugato prima di tentare di tirarlo via con la gomma. quella dura (di solito blu). e per asciugarlo non c’era, almeno nei primi tempi della scuola. la carta assorbente. già. bisognava ricorrere alla cenere fine-fine. la si spargeva sopra, si lasciava passare un po’ di tempo poi la si toglieva picchettando il foglio con il dito indice e il pollice. inchiostro asciutto non voleva dire fine dell’operazione. voleva dire inizio dei lavori di scavo che inevitabilmente passavano al di là del foglio. anche lo spargere della cenere non era una operazione di poco conto. se la si fosse fatta con un versamento a spizzico, si sarebbe rimasti con le dita sporche. cosa più che riprovevole inopportuna perché successiva fonte di fastidiose impronte sull’intero foglio. mi (ci) soccorreva una sorta di salino. il mio era un tubetto di formitrol2 al quale erano stati fatti (con un chiodino) dei piccoli forellini sul coperchio. una tecnologia povera. ma sufficiente per non rientrare tra i macchiaioli3.
poi c’era anche la questione disegno. colorato. o meno. se si usava la china. le matite colorate erano (quando si avevano) le giotto4. però io preferivo gli acquerelli (credo anche quelli giotto). erano in una scatolina di metallo. bene. sul colore che si voleva usare si versava qualche goccia d’acqua poi si intingeva uno spazzolino da denti. non ce n’erano tanti. si usavano poco. e si buttavano quando praticamente restavano senza setole. lo si passava poi su un pezzo di rete fitta da setaccio buttato anche lui perché vecchio e non più utilizzabile. il colore si spruzzava sul foglio sul quale era stata posata una forma (faccio un esempio: foglia). cambiando o spostando le forme e spostandole ne usciva un’opera che ricordava il puntinismo5. un’altra tecnica di pittura era quella di usare la china (nera). prima si faceva il disegno matita poi lo si ripassava con la penna a china e subito dopo con un pennello bagnato nell’acqua lo si ripassava allargando la traccia in modo sfumato. però quando dipingevo così ero già grandino. facevo la 4a o la 5a. di qui in avanti si era obbligati ad imparare l’uso delle squadrette, il curvilinee, il compasso (vecchia scatola di famiglia) e anche il normografo. vabbè. comunque allora non si aveva ancora il prezioso aiuto della biro6. la bic7 a casa mia arrivò qualche anno dopo. non so perché. forse perché a conti fatti l’inchiostro per cannuccia e pennino. costava meno. poi, con la cresima, arrivò l’aurora8. stilografica.
1 Pelikan – Ditta tedesca produttrice, dal 1838, di inchiostri per cancelleria, archivio, nero per la scuola e persino quello profumato per signora.
2 Formitrol – Antisettico orale in caso di mal di gola.
3 Macchiaioli – Aderenti al movimento che ritiene, secondo “la teoria della macchia”, che la visione delle forme sia creata dalla luce attraverso macchie di colore, distinte, accostate e sovrapposte ad altre.
4 Giotto – Pastelli economici prodotti, dal 1925, dalla F.I.L.A. Fabbrica Italiana Lapis ed Affini (fondata nel 1920). A partire dal 1932 produce gli acquerelli.
5 Puntinismo – (o anche puntillismo) è un movimento pittorico sorto in Francia verso il 1870. È caratterizzato dalla scomposizione dei colori in piccoli punti.
6 Biro – Penna a sfera. Porta il nome del suo inventore, il giornalista ungherese ispanizzato Ladislao José Biro (1899 – 1985).
7 Bic – da Marcel Bich (1914-1994), barone torinese naturalizzato francese che, acquistato il brevetto di Biro, nel 1950 invase il mondo con la penna Bic.
6 Aurora – Ditta italiana produttrice di penne stilografiche e strumenti per la scrittura. Fondata nel 1919 a Torin o, dopo il bombardamento subìto durante la Seconda Guerra Mondiale, trasferì lo stabilimento dal centro città alle sue le porte nord mantenendo, comunque, la sua lunga tradizione artigiana.