voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo
parte oggi la pubblicazione di una serie di racconti che rimandano al tempo passato. i racconti sono 12 +1. dodici come le ore (nell’ordine: la sveglia / l’uomo del plasmon / tra linee rette e curve / condor n. 5 / magellano / rai radiotelevisione italiana / bwv565 / italia ‘61/ 48714 / la 500 da corsa / la racchetta di rod laver / il giro di sol) più uno dedicato all’orologio del minareto della moschea di testour (tn) dove questa idea di ritornare indietro nel tempo è nata. in ogni racconto è riportata una pagina di immagini che rimandano al testo e quella dell’oggetto/scultura con l’inserimento di un orologio dal movimento antiorario.
presentazione
voi avete gli orologi,
noi abbiamo il tempo1
vabbè. lo so anch’io che avevo già scritto per altre occasioni queste poche righe. sì, so di ripetermi. con il passare degli anni succede. a tutti. soprattutto quando non c‘è nessun motivo d’inventarsi un modo nuovo di dire cose che, nonostante tutto, sono state raccontate per bene. mah. così da anni vado chiedendomi se il tempo sia una variabile costante o una costante variabile. gesù, ancora oggi non so darmi una risposta. so che il tempo scorre. e so anche che, malgrado sia riuscito a zittire la sua voce metallica2 e l’ostinato cinturino di evgenij3 non stringa più il mio polso, non ho potuto fermarne lo scorrere della sabbia. ho tentato di salvarmi andando a ritroso come il tempo di testour4.
non mi sono salvato. come tutti anch’io devo fare i conti con lui. e le ore. forse per questo sono diventati temi ricorrenti nelle mie pagine. sono andato alla ricerca del tempo perduto. non quello di marcel (proust). ma il mio. già perché quando il tempo stava prendendomi per mano per trascinarmi nella strada dalle illusorie regole dove vince chi sa mettersi in mostra (poco importa il modo) l’ho preso io per mano e costretto a seguirmi. mi aveva chiesto, lui: rinunci al rolex? a pierre cardin? al verde del dollaro usa e all’oro della sterlina? avevo risposto: rinuncio. sapevo che stavo barattando quel mondo per un pezzo di pane e cipolla. ma libero. ho lasciato agli altri il giocarsi la propria vita di improbabili maghi e mediocri mercanti per qualche spicciolo di notorietà posticcia. uhm.
ma poi io ho anche buona memoria per ricordarmi di una vita misera ma sicura. un gioco misero ma sicuro. una scuola misera ma sicura. un impiego misero ma sicuro. un matrimonio misero ma sicuro. una pensione misera ma sicura. una morte sicura ma misera. no. io mi specchio nel mio lago. anche se come sempre il vento ne increspa lo specchio. poco m’importa delle rughe che l’acqua m’impone arricciandosi. senza rimorsi e senza rimpianti mi guardo scorrere via. ma, gesù, non è vero quel che dicono. spesso mi accusano di voler essere sempre al centro dell’attenzione, di voler apparire, di voler essere ammirato. non è così. non è vero. niente di più lontano dal mio modo d’essere. io sono semplicemente ciò che sono. un poco. forse un niente. di certo un perditempo. passo i miei giorni a fantasticare. su di me. non sugli altri. gli altri li trovo lontani. appartengono a un mondo che non è il mio.
il mio è un mondo piccolo dove trovano albergo molte idee. mie. qualche volta anche di altri. ma per distrazione o errore. lo so, non dovrebbe essere così. in fondo bisognerebbe vivere con gli altri. ma io lo trovo una perdita di tempo. così me ne sto tutto il giorno davanti a questo scorrere dell’acqua come nuovo narciso. quest’acqua che si porta via la mia immagine. e questo un po’ mi rattrista. uhm. già. nel giocarmi la vita punto sempre tutto su di me senza nemmeno curarmi di come poi andrà a finire. ma questo poco importa, o deve importare a chi legge. ben più importante per il lettore è sapere che nelle mie tante pagine5 di perditempo ho ricostruito, con meticolosa approssimazione, storie degli anni del dopoguerra e degli anni ’60 così come li ho vissuti. senza alcuna nostalgia del passato. non ho mai provato alcun rimpianto per il vecchio cortile di casa. neanche quello di campagna spesso teatro di interminabili beghe sgangherate tra vicini. può darsi che all’interno di questi racconti, cuciti con il filo della memoria vi siano delle contraddizioni. chiedo scusa a chi è rigoroso. senza nemmeno ricordargli che di troppo rigore si muore.
ho percorso a ritroso i miei anni. se fossi un intellettuale li avrei titolati amarcord6. ma io appartengo alla cultura stracciona di strada. quella strada che mi ha portato a testour dove sono nati questi 12 (come le ore) oggetti dall’orologio con il movimento antiorario e i loro racconti. ora anch’io non possiedo più le ore. possiedo il tempo. quello mio.
mino rosso
1 Antico proverbio afghano citato in: il signor x – n. 419
2 Cfr. Charles Baudelaire –L’horloge, da – Les Fleurs du Mal
3 Cfr. Evgenij Aleksandrovič Evtušenko – Orologi, da – Non sono nato tardi – Editori Riuniti (traduzione Ignazio Ambrogio)
4 Testour – cittadina nel nord della Tunisia a ovest di Tunisi dove l’orologio del minareto della Grande Moschea gira in senso antiorario.
5 Cfr. https://issuu.com/delfinomariarosso
6 Amarcord – univerbazione della frase romagnola “a m’arcord” (“io mi ricordo”) è diventato un neologismo della lingua italiana, con il significato di rievocazione in chiave nostalgica. [fonte – Wikipedia]