Diario di viaggio dei Danseur dël Pilon alla ricerca dei coloni piemontesi (VIII e ultima parte)
Santa Fe, 13 Novembre 2022, Domenica
Il nostro tour sta volgendo al termine. Ci manca solo più l’appuntamento con i fratelli piemontesi di Santa Fe. Ci siamo esibiti in nove teatri, abbiamo stretto le mani ed abbracciato migliaia di Piemontesi d’Argentina, abbiamo conosciuto persone generose, accoglienti, legate alle loro radici lontane. Ovunque siamo stati accolti con entusiasmo e amore. Per loro, noi rappresentiamo l’origine, le radici di una storia comune. Per noi, loro rappresentano le foglie, le fronde, i frutti di un ramo delle stesso albero: loro hanno scritto pagine di un capitolo di storia che narra di fatiche, coraggio, intraprendenza, una storia che si è svolta su uno scenario diverso, ma che appartiene anche a noi. Questa è l’essenza dell’insegnamento che ci viene da questo viaggio: prendiamo esempio dai fratelli argentini. Facciamoci contagiare dal loro amore per le radici, riprendiamo a parlare la lingua dei nostri vecchi: è un atto di amore, un atto di doveroso rispetto per le nostre origini, per la nostra cultura, per le nostre tradizioni. Sul pullman diretto verso Santa Fe, penso a tutto questo, avvolto in un velo di malinconia per questo tour che sta per finire, ma anche di speranza e di gioia interiore per l’arricchimento profondo che questo viaggio mi ha comportato.
Arriviamo a Santa Fe in tarda mattinata. Una delegazione della comunità piemontese che qui è massiccia e compatta ci accoglie festosa. Ci viene incontro Maria Esther Giacosa, Presidente dell’Istituzione Unione Benevolenza ‘Dante Alighieri’ di Santa Fe, presente in città dal 1911, ma attiva in Argentina fin dal 1873, ed istituita per iniziativa di alcuni Liguri. Ci racconta che in questa città c’è un’ammirazione particolare, oltre che per la cultura, la lingua e le tradizioni piemontesi, anche per la cultura italiana in generale. Nel 1983 venne istituita una Scuola Elementare, poi un Asilo Infantile, le Scuole Medie e Superiori: un plesso scolastico che accoglie scolari e studenti dai 4 ai 18 anni. Ci spiega che al termine dei corsi viene rilasciato un attestato che permette di accedere all’Università di Santa Fe, che in Argentina, per importanza e prestigio, viene subito dopo quella di Buenos Aires e di Còrdoba.
Ad accoglierci c’è anche una delegazione della Familia Piemontesa dell’Entre Rios, capitanata da Laura Moro, docente di Lingua piemontese: le donne indossano un tipico abbigliamento piemontese, con fàudalin, crëstin-a e sial sopra le spalle. Una regge il labaro con le insegne dell’Associazione.
Tra abbracci e saluti, cominciamo a scambiarci confidenze e a raccontarci delle nostre storie personali: sembra che ci si conosca da sempre. Il clima è disteso, gioviale, sereno. Laura Moro ci spiega il suo albero genealogico e ci racconta delle sue origini torinesi. Aveva dieci anni quando lasciò la sua casa di Via Cesana, in Borgo San Paolo, insieme ai suoi genitori. La mamma era di Borgone di Susa, il papà di Mestre. Ci narra che suo cognato nel primo dopoguerra si era trasferito in Argentina, nell’Entre Rios, in cerca di fortuna. In realtà viveva in un “rancho” (una capanna di legno e paglia), e faceva il mandriano, ma seppe dipingere il suo nuovo lavoro e il rude stile di vita argentino in un modo assai più pittoresco, al punto di convincere sua sorella Renata e suo fratello Elio a raggiungerlo laggiù. Nel 1952, anche Laura e i suoi genitori decidono di trasferirsi a Paranà.
Tra gli anfitrioni che ci accolgono a pranzo c’è anche la professoressa Adriana Cristina Crolla, docente dell’Universidad Nacional del Litoral di Santa Fe. Dialogare a tavola con lei è arricchente, istruttivo. Ci spiega che tra fine Ottocento e inizio Novecento, a chi sposava una donna piemontese veniva concessa un’estensione doppia di terra da coltivare. Un segno di stima e riconoscimento per le indiscusse qualità morali delle donne piemontesi, e per la loro proverbiale capacità di amministrare l’economia domestica. Originariamente la terra veniva concessa ai coloni gratuitamente per un anno. Poi la si riscattava con un pagamento rateale, in un certo arco di tempo. Nei terreni assegnati, al momento della concessione dell’appezzamento, veniva piantata una palma su uno dei confini. Al termine del pagamento rateale, riscattata la terra, veniva piantata una seconda palma sul confine opposto della proprietà. La professoressa Crolla ci racconta che nel 1874 giunse a Santa Fe Edmondo De Amicis, dopo aver visitato Buenos Aires e parte della Pampa Gringa. Da questo viaggio, il grande scrittore italiano, trasse ispirazione per scrivere “In America” e “Sull’Oceano” (1889), ma anche il noto racconto mensile di “Cuore” intitolato “Dagli Appennini alle Ande”, opere dedicate ai grandi disagi e alle fatiche dei viaggi degli emigranti italiani verso l’Argentina, ma anche al loro grande coraggio, al loro tenace spirito di adattamento e di intraprendenza.
Per lo spettacolo della sera, che concluderà la nostra tournée argentina, questa volta la nostra coreografa decide di riproporre la stessa scaletta della sera precedente, con qualche minuta variante soltanto. C’è un po’ di stanchezza arretrata, ed è bene che per questa serata finale non si metta altra carne al fuoco, il che comporterebbe un’ulteriore faticosa seduta di prove per i ballerini e per i musici.
Lo spettacolo fila liscio come l’olio, e si conclude con l’ovazione finale del pubblico, in piedi, che ci applaude e ci acclama. Molti hanno i lucciconi agli occhi. Danseur, musicisti e lettori, tutti sfiliamo nella sala con gli abiti di scena sventolando le bandierine con i colori del drapò del Piemonte e quelle bianco-azzurre dell’Argentina. I nostri occhi luccicano di lacrime non trattenute. Gli spettatori allungano le braccia per toccarci, abbracciarci, stringerci in un amplesso affettuoso e intensamente sincero.
Poi, tutti a cenare e a degustare specialità e vini argentini d’autore, continuando a dialogare tra di noi, in un misto di piemontese, castigliano e italiano. Finiamo la cena a tarda sera: nel palato ci resta il fragrante sapore dei santafesini, dal delicato sapore di dulce de leche. Nel cuore, sentiamo un sentimento di lieve di leggerezza che solo un’amicizia vera e disinteressata può generare.
Córdoba, 14 Novembre 2022, Lunedì
Sono le otto e trenta. José, o meglio “Tano”, già da un po’ ci sta aspettando al pullman. Ha già spalancato il ‘ventre’ della corriera e noi ci apprestiamo a caricarvi i bagagli, sempre più pesanti. Avevo acquistato tre trolley appositamente per questo viaggio alla Rinascente di Via Lagrange. Erano lucenti, alla partenza. A forza dei continui trasbordi nelle stive degli aerei e della corriera, e sulle ascensori degli hotel, ora sono sbrecciati, rigati, sfregiati: sembrano vecchi di dieci anni.
Prima di salire a bordo della corriera, Tano ci chiede di scattare tutti insieme una foto ricordo. Ci schieriamo a semicerchio attorno a lui e qualcuno, telefonino alla mano, s’incarica del clic. Dopo dieci giorni di viaggio, se non proprio piemontese, José si sente un poco italiano pure lui. E poi si va, verso Córdoba, dove pernotteremo ancora una volta all’Hotel Felipe II prima di trasferirci, all’alba del giorno seguente, all’Aeroporto dei voli nazionali, per imbarcarci sul jet che ci riporterà alla capitale federale argentina, e di lì raggiungere l’Aeroporto Internazionale per prepararci alla lunga trasvolata di ritorno. Giungiamo a Córdoba nella tarda mattinata, dopo aver percorso 350 chilometri di autopista e strade statali. Ci accomodiamo in albergo. Una rapida doccia e poi usciamo alla spicciolata per uno spuntino, che consumo insieme a Vanda in un locale del centro. Abbiamo a disposizione tutto il pomeriggio per passeggiare per la città: questa sera non ci saranno né prove né spettacoli, e siamo tutti più rilassati. Dopo il pranzo, ci dirigiamo verso gli scenografici giardini che fronteggiano la maestosa Cattedrale, dedicata a Nuesta Señora de la Asunción: si estendono attorno all’ennesimo monumento equestre al generale don José de San Martin, eroe nazionale. Tra i frondosi alberi del parco, spicca un secolare esemplare di bouganville, incoronato di fiori rosso carminio. Vaghiamo per le strade del centro storico,ammirandone i solenni palazzi. Poi ci dedichiamo all’acquisto di qualche souvenir da riportare in Italia: camisitas a strisce bianco-azzurre (i Campionati mondiali di calcio incalzano, e l’Argentina è tra le squadre favorite), bandierine con il sole ridente, portachiavi, calamite, cappellini, confezioni di dolci locali: ci sono rimasti pochi pesos in tasca e preferiamo spendere anche gli ultimi spiccioli perché in Italia sappiamo che nessun cambista potrà commutarli in euro. Curiosando tra le botteghe, scorgo che molte specialità alimentari del Piemonte si sono frammiste a quelle più tipicamente autoctone: è sorprendente come in un locale di Córdoba sia possibile farsi un panino farcito di “bondiòla” o che in panetteria si possono acquistare i “grissini” robatà, retaggio di abitudini alimentari subalpine esportate in epoche lontane in queste terre del Sud America.
Alla sera incontriamo ancora gli amici della locale Asociación Familia Piemontesa che ci offrono una tipica cena argentina al ristorante. Ancora chiacchiere, scambi di reciproche confidenze, di racconti personali, di aneddoti, di aneliti, di rimpianti, di storie di nonni e bisnonni piemontesi, di figli sparsi per il mondo, di viaggi troppe volte sognati e mai realizzati. E poi, un arrivederci che mai vorremmo si rivelasse un addio: strette di mano, abbracci, baci, saluti sussurrati e gridati. Ma come sempre, anche lacrime, non sempre trattenute.
Buenos Aires, 15 Novembre 2022, Martedì | Torino, 16 Novembre 2022, Mercoledì
La sveglia è suonata all’alba stamani. L’aereo da Córdoba per Buenos Aires con le insegne delle Aerolineas Argentinas decolla alle 8.00 precise, e dobbiamo raggiungere con un pulmino navetta l’Aeroporto dei voli Nazionali in tempo per le operazioni di check in. Tutto si svolge secondo la prudente tempistica prevista. Ci imbarchiamo sul jet e atterriamo a Buenos Aires alle 9.15. Ritiriamo le valigie sbarcate dall’aereo e ci apprestiamo a ricaricare armi e bagagli (ovvero i trolley, gli zainetti e gli strumenti musicali) a bordo di un pullman che ci porterà in centro città. Il trasbordo è organizzato dalla stessa Agenzia turistica che ci aveva messo a disposizione la valente guida Mimì, che prontamente ci aspettava allo scalo.
Abbiamo a disposizione quattro ore per visitare uno dei sub-quartieri del Barrio di Palermo, quello chiamato Soho, proprio come il noto e omonimo quartiere di New York. Coloratissimo, quasi come quello della Boca, questo variopinto borgo di Buenos Aires si sviluppa intorno a Plaza Cortassa, già Plaza Serrano. Mimì si pone in testa al gruppo e ci fa strada per le strette viuzze del borgo, in cui si susseguono case basse dai colori vivaci e splendenti. Sui muri, variopinti murales con volti di donna, immagini surreali e pittoresche, ma anche slogan e massime filosofiche.
Fino agli ultimi anni del Novecento, ci spiega la guida, questo barrio era piuttosto malfamato e frequentato da malavitosi e da cuchilleros (gente dal coltello facile). A partire dai primi Anni Duemila, il quartiere ha cambiato volto, diventando un luogo di movida, con eleganti boutiques, caffè e ristoranti, frequentati da artisti e intellettuali, un po’ come il Barrio di San Telmo. Il Barrio di Palermo è vastissimo (si estende per 900 ettari) ed è ricco di parchi e giardini (è stato disegnato da un urbanista francese): si suddivide in almeno tre sub-quartieri. Il 2 Novembre già visitammo quello più residenziale, in cui hanno sede molte Ambasciate di diverse Nazioni: con i suoi eleganti palazzetti e le sue vie alberate, silenziose e raccolte, ricorda un po’ il nostro quartiere della Crocetta. In Palermo c’è anche un altro sub-quartiere, denominato Palermo Hollywood, luogo ideale di scenari per riprese cinematografiche. Ma Mimì ci ricorda che il tempo stringe: non c’è più tempo per visitarlo. A partire dalle 15.00 il bus è già impegnato con un altro tour turistico: possiamo appena concederci un rapido spuntino in un accogliente locale del Soho, e poi tutti a bordo del bus, per farci condurre all’Aeroporto Internazionale di Buenos Aires, quello da cui partirà il volo per Madrid.
Un gruppo di danseur aveva già deciso di fermarsi ancora qualche giorno in Argentina per recarsi a Iguazù, per non perdersi il grandioso spettacolo delle Cataratas, maestose cascate al confine tra la Provincia argentina di Misiones e lo Stato brasiliano di Paranà. Un manipolo di danseur più ardimentosi invece ha deciso di spingersi più a Sud, in Patagonia, dove si fermerà ancora una settimana. Ci siamo calorosamente salutati e abbracciati qualche ora prima, dandoci appuntamento a Torino per una prossima bagna càuda in buona compagnia. Ma il grosso del gruppo, di cui faccio parte anch’io, per impellenti e variegati impegni di lavoro o personali in Patria, non può esimersi dal ritornare. Peccato.
Giungiamo in aeroporto con un ampissimo anticipo, verso le 16.00 del pomeriggio. L’aereo per Madrid decollerà dall’Aeroporto Internazionale di Buenos Aires solo in tarda serata, alle 22.55 per la precisione. Abbiamo dunque ancora molte ore prima della partenza. Le ore scorrono lente, e cerchiamo di ingannare la lunga attesa tra assopimenti, scherzi giocosi e risate goliardiche; siamo allegri ma i nostri volti tradiscono un malcelato rimpianto per una vacanza ormai finita, ma che ci ha arricchiti dentro, e che non dimenticheremo.
Poi iniziano le noiose operazioni di check in, la copia simmetrica di quelle compiute all’arrivo: gli addetti alla sicurezza ci scannerizzano i passaporti; poi è il momento di passare il metal detector: poliziotte e poliziotti iper scrupolosi ci richiedono di sfilarci le cinture, di deporre gli oggetti metallici, i cellulari e i bagagli a mano. Scegliendo forse a caso, a qualcuno viene ordinato di svuotare la valigia, di aprire gli zainetti per ispezionarne il contenuto; oppure impongono di aprire le braccia orizzontalmente, e ispezionano con cura ogni parte del corpo, palpeggiando busto e arti, alla ricerca di eventuali oggetti non compatibili con la sicurezza del volo o improbabili (almeno per noi) sostanze proibite.
Saliamo finalmente a bordo del jet che ci porterà a Madrid: un viaggio di dodici ore, tra turbolenze e vuoti d’aria, più in alto delle nubi, sorvolando a migliaia di metri di altezza un Oceano tetro e inquietante. E poi su un altro aereo ancora, che da Madrid ci riporterà a Caselle. Raggiungeremo le nostre case portandoci al seguito le nostre pesanti valigie, con i nostri abiti di scena, i libri di poesie in piemontese, le grammatiche di Lingua piemontese in castigliano, i nostri effetti di vestiario. Le svuoteremo dopo averle posate sul letto. Ma non riusciremo mai a svuotare i nostri cuori, inondati di ricordi di voci, di sorrisi, di abbracci, di parole scambiate e pronunciate dai nostri fratelli d’Argentina, in italiano, in spagnolo, in piemontese, sussurrate o gridate.
La missione che ci si era imposti con il nostro progetto è riuscita appieno: abbiamo accarezzato le foglie verdi germogliate nel Piemonte d’Argentina, di un albero le cui radici sono rimaste qui, nella comune piccola Patria subalpina. Il Piemonte della Pampa Gringa ora ci sembra meno lontano, così come il Piemonte subalpino sembrerà meno distante anche ai nostri fratelli argentini.
FINE
Sergio Donna
Le sette tappe precedenti si possono visionare cliccando PUNTATA 1, PUNTATA 2, PUNTATA 3, PUNTATA 4, PUNTATA 5, PUNTATA 6 e PUNTATA 7. Le note di viaggio sono tratte Il libro “Dalle radici alle fronde” | Dal Piemonte alla Pampa Gringa, di Sergio Donna. Info e prenotazioni: segreteria@monginevrocultura.net