Castelli misteriosi: a Desana il conte tradito vaga alla ricerca della consorte
Il castello di Desana si trova nel cuore verde della pianura vercellese, all’interno di un borgo che pare risalire al II secolo, mentre le più remote attestazioni del maniero sono datate agli inizi dell’XI secolo, allorché il marchese Arduino d’Ivrea fece dono del territorio all’arciprete Cuniberto della chiesa di Vercelli. Dopo la distruzione operata da Ugolino Gonzaga nel 1357, durante la guerra fra Gian Galeazzo Visconti e Giovanni II Paleologo, divenne feudo dei Tizzoni dal 1411 fino al 1683, eccettuati i periodi in cui fu occupata dai francesi e dal duca Carlo III di Savoia. Il dispotismo e il malgoverno dei Tizzoni costrinsero gli abitanti a chiedere aiuto al duca Emanuele Filiberto di Savoia, che scacciò il tiranno ripristinando la legalità finché, nel 1699, il duca Vittorio Amedeo II divenne proprietario del feudo. Il possesso fu venduto nel 1793 al conte Francesco Solaro, per passare successivamente al conte Cesare Dalla Chiesa e poi a Vitale Rosazza.
Nel corso dei secoli, il castello fu occupato dai confederati nel 1357, fu rafforzato da Giovanni Agostino Tizzoni nel 1567 e venne ricostruito con molti rimaneggiamenti nel XVIII secolo. L’attuale stato di conservazione dopo la ristrutturazione è apprezzabile e il castello, malgrado sia in parte adibito ad abitazione privata, mantiene l’originario impianto quadrangolare con torri angolari cilindriche. Tra gli altri edifici di valore storico-architettonico figura: la parrocchiale dei Santi Pietro e Maurizio, a tre navate, ognuna sormontata da un altare in marmo; la chiesa dedicata ai Santi Fabiano e Sebastiano, risalente al 1618, dotata di un altare e di una pregevole balaustra in stile barocco; infine, quella dedicata alla Beatissima Vergine Addolorata, eretta nel 1756. Di particolare importanza sono, inoltre, i numerosi reperti trovati sul territorio e conservati presso il museo civico di Torino.
Ma non è tutto. Si racconta che, nella seconda metà del 1500, l’odiato conte Bernardo Tizzoni, ormai in tarda età, si innamora perdutamente di una giovane ed avvenente fanciulla, la quale, per motivi di palese interesse, accetta di diventare sposa del vecchio e ricco signorotto di Desana. A quei tempi, il castello era frequentato da letterati ed artisti di ogni parte d’Italia e dalle nobili famiglie della zona, tra le quali anche i conti Tizzoni di Rive, altro ceppo della famiglia dei Tizzoni di Desana. A differenza dei Tizzoni di Desana che, avendo una Zecca all’interno del castello e battevano monete false di ogni parte d’Europa, contando così su ricchezze considerevoli, quelli di Rive navigavano in cattive acque. Il rampollo di quest’ultima famiglia, pare fosse un gran bel giovanotto in cerca di dote, tanto che la giovane moglie del conte Tizzoni se ne innamorò perdutamente. Ma la tresca fu scoperta durante una delle tante feste che si organizzavano nel castello. I due innamorati furono per abili, con un astuto raggiro, a rinchiudere il vecchio Tizzoni nella torre di destra del castello dove, suo malgrado, soggiornò sino alla sua morte.
Pare che ancora oggi, l’anima inquieta di Bernardo, vaghi per il castello alla ricerca della sua bella consorte per poter consumare la sua terribile vendetta. E proprio nella torre di destra del castello, uno dei fratelli Vercellone, attuali proprietari del castello, visse un’esperienza a dir poco inquietante: si trovava in un bagno del torrione e stava cercando di afferrare un accappatoio, ma questo con un movimento improvviso era arretrato. Incredulo, il padrone di casa, aveva cercato nuovamente di recuperarlo, ma invano. Così, impaurito, aveva deciso di ovviare, utilizzando per asciugarsi un semplice asciugamano.
Di fatto, il fantasma non ha mai fatto del male ai presenti del castello; si è però fatto sentire altre volte nei modi più disparati: da rumori inspiegabili in alcune stanze del secondo piano dell’ala centrale del castello a fruscii di grandi maglie di catene, per arrivare addirittura a scambi di immagini sui quadri appesi. E non sarebbe la sola presenza della magione. Ci sarebbe anche un secondo spirito, quello di una bambina di nome Clara che venne stroncata da un male terribile in pochi mesi. I Vercellone avrebbero udito, durante una cena con amici, il rumore di una catena strisciata sul pavimento al piano superiore. In corrispondenza c’era la stanza, ormai completamente vuota e disabitata da decenni, in cui era solita trascorrere le sue giornate la giovane Clara. «Era ancora lì con noi – ha raccontato qualche tempo fa Marco Vercellone a Nico Ivaldi –. Forse voleva condividere la nostra allegria, quella stessa allegria che in vita le era stata preclusa».
Piero Abrate