Il 15 settembre 1919 a Castellania nasceva Fausto Coppi: lo sport italiano ricorda il Campionissimo
Oggi, 15 settembre, è una data importante non solo per il ciclismo italiano, ma per lo sport mondiale. A Castellania, piccolo centro del Novese, in provincia di Alessandria, nel 1919 nasceva Fausto Angelo Coppi, colui che avrebbe regalato agli italiani emozioni indimenticabili in oltre vent’anni di ciclismo professionistico tra il 1939 e il 1960.
Fausto Coppi nasce il 15 settembre 1919 in una famiglia di modeste origini. Trascorre la vita a Novi Ligure, prima in viale Rimembranza, poi a Villa Carla sulla strada per Serravalle. Poco più che adolescente è costretto a trovarsi un lavoro come garzone di salumeria. Ragazzo a modo ed educato è subito apprezzato per la sua dedizione, il suo fare introverso e la sue naturale gentilezza. Con una rudimentale bicicletta, che gli regala lo zio, scorrazza qua e là e si distende dal lavoro con lunghe scampagnate, dove si inebria al contatto con l’aria aperta e la natura.
Inizia la sua carriera nel ciclismo a diciotto anni, nel 1937 e due anni dopo passa ai professionisti. Ingaggiato dalla Legnano, la squadra di quel Gino Bartali che diventerà suo grande antagonista, nel 1940 vince il suo primo Giro d’Italia, a soli vent’anni. L’ingresso in guerra dell’Italia blocca la carriera di Fausto, che parte caporale per l’Africa settentrionale. A Capo Bon viene viene fatto prigioniero degli inglesi e il 17 maggio 1943 internato a Megez el Bab e poi trasferito al campo di concentramento di Blida, nei pressi di Algeri. Per fortuna esce incolume da questa esperienza e, una volta tornato a casa, ha modo di riprendere i suoi allenamenti in bicicletta. Il 22 novembre 1945, a Sestri Ponente, si unisce in matrimonio con Bruna Ciampolini, che gli darà Marina, la prima dei suoi due figli. L’anno successivo la ripresa delle competizioni sportive permette a Coppi di riprendere l’attività: firma per la Bianchi lasciando la Legnano e inizia anche la rivalità con Bartali, il “Ginaccio nazionale”, fatta di sorpassi, contro-sorpassi ed epiche battaglie.
Nel 1949 l’anno della consacrazione: centra la vittoria alla Milano-Sanremo, al Giro d’Italia e al Tour de France. Seguono una serie di drammatiche vicende: nel 1950 si procura una tripla frattura al bacino durante il Giro d’Italia e l’anno dopo muore in un incidente durante il Giro del Piemonte l’amato fratello Serse. La sua carriera però riprende subito alla grande: nel 1952 e nel 1953 arrivano le vittorie al Giro d’Italia, al Tour de France e al campionato del mondo su strada. Dopo questi successi uniti anche ad altri, seguono anni meno favorevoli e caratterizzati anche da vicende personali. La sua relazione con Giulia Occhini, ribattezzata dai media la “Dama Bianca”, anch’essa sposata, gli procura molte polemiche che sfociano in un processo e una condanna con la sospensione della pena per entrambi. Dopo diverse difficoltà, Coppi e Giulia Occhini si sposano in Messico (matrimonio mai riconosciuto in Italia) e la Occhini dà alla luce a Buenos Aires ad Angelo Fausto detto “Faustino”. E’ il 13 maggio 1955.
Nonostante le polemiche, rimangono comunque nella memoria collettiva le grandi vittorie fatte di tenacia e di forza di volontà. E il numero dei suoi successi la dice lunga: il Campionissimo s’impone in 110 corse di cui 53 per distacco. Si aggiudica due volte il Tour de France nel 1949 e nel 1952 e cinque volte il Giro d’Italia (1940, 1947, 1949, 1952 e 1953) ed entrò nella storia per essere uno dei pochi ciclisti al mondo ad aver vinto Giro e Tour nello stesso anno (tra cui ricordiamo anche Marco Pantani, 1998). Al suo attivo vi sono tre volte la Milano-Sanremo (1946, 1948, 1949), cinque Giri di Lombardia (1946-1949, 1954), due Gran premi delle Nazioni (1946, 1947), una Parigi-Roubaix (1950) e una Freccia vallone (1950).
Fausto Coppi muore il 2 gennaio 1960 per una malaria contratta durante un viaggio in Alto Volta e non diagnosticata in tempo, che gli stronca la vita a soli 41 anni. Nonostante le polemiche e il finale meno glorioso della sua carriera, rimangono nella memoria collettiva le grandi vittorie fatte di tenacia e di forza di volontà, che lo hanno portato frequentemente ad essere “Un uomo solo al comando!”, come ebbe a dire in una famosa radiocronaca dell’epoca il giornalista Mario Ferretti.
Piero Abrate