I santi sociali di Torino: un impegno iniziato nell’Ottocento che prosegue ancor oggi
TORINO. Ancor più di altre città del Nord Italia, Torino nella seconda metà dell’Ottocento era lanciata verso l’industrializzazione. Gran parte della popolazione della città subalpina viveva però in condizioni di miseria assoluta. La povertà era uno dei problemi più gravi che bisognava risolvere. In questa precaria situazione, la sopravvivenza di un quarto della popolazione, secondo le stime, era nelle mani della pubblica beneficienza. La mendicità era uno dei problemi più gravi da risolvere e alcuni sobborghi erano talmente malfamati da essere sconsigliati alle persone perbene. In un ambiente così degradato si trovarono ad operare alcuni personaggi che, pur provenendo da ceti diversi, si prodigarono nell’aiuto di tutti gli emarginati.
Sono i cosiddetti santi sociali. Di questa nutrito elenco fanno parte: San Giuseppe Benedetto Cottolengo (1786-1842), San Giuseppe Cafasso (1811-1860) , San Giovanni Bosco (1815-1888), San Leonardo Murialdo (1828-1900), San Giuseppe Marello (1844-1895); i Beati Francesco Faà di Bruno (1825-1888), Giuseppe Allamano (1851-1926) e Pier Giorgio Frassati (1901-1925); i Venerabili Tancredi Faletti di Barolo (1782-1838) e la consorte Giulia Falletti di Barolo (1785-1864).
Un predecessore dei Santi sociali torinesi può essere trovato nel beato Sebastiano Valfrè (1629-1710), attivo durante l’assedio di Torino del 1706. Collegato a questo gruppo di santi vi è la figura di don Giovanni Cocchi, iniziatore di varie attività in favore dei ragazzi poveri. A tutti questi, con la sola esclusione, al momento, di San Giuseppe Marello, la città di Torino ha dedicato una via o un corso.
Giulia e Tancredi marchesi di Barolo
Tra questi i Marchesi di Barolo, Giulia (1786/1864) e Tancredi (1782/1838), che si dedicarono all’assistenza dei bimbi orfani, delle ragazze sole, delle carcerate. Per questo motivo fondarono le Suore di Sant’ Anna e quelle di Santa Maria Maddalena (oggi Figlie di Gesù Buon Pastore). Così li decrive Mariella Lentini: “Belli, giovani, ricchissimi, gli sposi Giulia e Tancredi sono tra i più facoltosi nobili europei dell’Ottocento. Per loro, religiosissimi, “godersi la vita” significa impegnarsi per migliorare la società, sfruttare la propria posizione privilegiata a vantaggio dei più sfortunati, trovare per loro soluzioni economiche e politiche per ridare decoro a vite prive di dignità”.
Giulia Colbert nasce nel 1785 a Vandea (Francia), da una nobile famiglia. È orfana di madre e durante la Rivoluzione francese sua nonna e altri genitori vengono giustiziati. Lei riesce a scappare in Olanda assieme al padre e ai due fratelli. Rientra in patria dopo l’avvento di Napoleone. Nel 1807 sposa il marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo. Purtroppo i figli non arrivano, così essi decidono, così, di dedicarsi completamente ai diseredati. Torino capitale d’Italia si trova in una grave situazione sociale. I contadini abbandonano la terra per andare in città in cerca di fortuna. Trovano miseria, fama, freddo. Il sontuoso palazzo Barolo la sera ospita le massime autorità politiche e religiose, di giorno centinaia di poveri si mettono in fila davanti alla porta dei marchesi per ricevere un piatto di minestra, la domenica anche carne e legna per scaldarsi. Nel 1838 Tancredi, colpito dal colera, muore a Chiari (Brescia), lasciando la moglie unica erede. Con le sue immense ricchezze, Giulia rende la detenzione più umana anche attraverso un programma di riabilitazione delle carcerate che imparano un mestiere. Fonda il “Rifugio” per ragazze abbandonate, l’orfanotrofio delle “Giuliette”, scuole gratuite, l’ospedale pediatrico, il Monastero delle Maddalene e l’Ordine delle Suore di Sant’Anna. La marchesa “madre dei poveri” muore nel 1864 a Torino, dove tuttora riposa assieme al marito, nella Chiesa di Santa Giulia, fatta costruire da lei stessa.
Giovanni Bosco
San Giovanni Bosco è indubbiamente il più celebre santo piemontese di tutti i tempi, nonché su scala mondiale il più famoso tra i santi dell’epoca contemporanea: la sua popolarità è infatti ormai giunta in tutti i continenti, ove si è diffusa la fiorente Famiglia Salesiana da lui fondata, portatrice del suo carisma e della sua operosità, che ad oggi è la congregazione religiosa più diffusa tra quelle di recente fondazione. Giovanni Bosco nasce nel 1815 a Castelnuovo d’Asti, oggi Castelnuovo Don Bosco. Cresciuto nella sua modesta famiglia, dalla santa madre viene educato alla fede ed alla pratica coerente del messaggio evangelico. Ha soltanto nove anni quando ha il sogno che gli indica la sua strada: in un cortile, in mezzo a un gruppo di ragazzi, vede prima Gesù e poi la Madonna, attorniata a bestie feroci poi trasformate in agnelli.
Da quel momento Giovanni diviene per i suoi coetanei un apostolo in grado di affascinarli con il gioco e la gioiosa compagnia, ma anche di farli crescere nella fede con la preghiera. Diviene sacerdote nel 1841 e nello stesso anno di fatto inizia l’opera che diventerà la Società Salesiana, fondata nel 1854. Nel 1872, con santa Maria Domenica Mazzarello (1837-1881), fonda l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Muore di bronchite all’alba del 31 gennaio 1888, all’età di 72 anni. Il suo corpo è attualmente esposto all’interno di un’urna nel santuario di Maria Ausiliatrice, in una cappella in fondo alla navata destra. Il suo messaggio educativo si può condensare attorno a tre parole: ragione, religione, amorevolezza. Alla base del suo sistema preventivo c’è sicuramente un profondo amore per i giovani, chiave di tutta la sua opera educativa. E’ canonizzato da papa Pio XI il 1º aprile 1934.
Giuseppe Benedetto Cottolengo
Contemporaneo di San Giovanni Bosco, il suo cognome è legato alla città di Torino e ai ricoveri per deformi e disabili. Giuseppe Benedetto Cottolengo nasce a Bra (Cn) nel 1786. Primo di dodici fratelli, la sua è una famiglia di commercianti, ma Giuseppe preferisce dedicare la sua vita a Dio e ad aiutare il prossimo. Studia nel seminario di Asti e nel 1811 diventa sacerdote. Trasferitosi a Torino, si rende conto della triste realtà in cui versa il popolo torinese dell’epoca: disoccupazione, povertà, fame, malattie e infanzia abbandonata dilagano. Il sacerdote sente una grande pietà e non sa come fare per aiutare questi derelitti. Risparmia sul riscaldamento e sul vestiario per regalare denaro ai poveri, vendendo persino il suo unico mantello. Nel 1828 decide di fondare un piccolo ricovero per ospitare alcuni malati rifiutati da tutti. Dopo quattro anni è costretto a chiuderlo per il diffondersi di una malattia contagiosa, ma riesce ad parire un altro nosocomio, questa volta in periferia, vicino a Borgo Dora e Valdocco: vi porta personalmente gli ammalati con una carretta a mano. L’ospedale, tuttora attivo, viene chiamato “Piccola Casa della Divina Provvidenza” e accoglie malati di mente, deformi, disabili, ragazze madri, orfani, ex prostitute, anziani. Intanto, altri istituti sorgono in città e si diffondono nel suo nome in Italia e all’Estero.
Per Cottolengo è fondamentale la preghiera che definisce «il primo e più importante lavoro della Piccola Casa». Il santo non si scoraggia di fronte alle difficoltà economiche perché crede nella “Divina Provvidenza”: quando arriva un’offerta è felice, quando non arriva fa pregare tutti ottenendo subito quanto richiesto. Il santo si spegne nel 1842 a Chieri (Torino) non prima di essere stato d’esempio per un altro grande santo piemontese, San Giovanni Bosco che, per qualche tempo, presta la sua opera nella “Casa della Divina Provvidenza”.
Giusepe Cafasso
Giuseppe Cafasso nasce a Castelnuovo d’Asti, oggi Castelnuovo Don Bosco, il 15 gennaio 1811. Fequenta le scuole pubbliche al suo paese e poi entra nel Seminario di Chieri (Torino). E’ di salute malferma, ma sacerdote già a 22 anni, e con un solido ascendente sui compagni. Viene accolto dal teologo Luigi Guala nel convitto ecclesiastico da lui aperto a Torino. Questi lo spinge a compiere opera di catechesi verso i giovani muratori e i carcerati, poi lo vuole a fianco nella cattedra di teologia morale.
In 24 anni di insegnamento Giuseppe forma generazioni di sacerdoti, dedicandosi anche ad un’intensa opera pastorale verso tutti bisognosi: condivide le ore estreme con i condannati a morte ed opera tra i carcerati, cui non fa mancare buone parole e sigari, includendo nel suo servizio anche l’aiuto alle famiglie e il soccorso ai dimessi. Succeduto al Guala, ne perfeziona l’opera, rifiutando sempre ogni titolo onorifico. Grande amico di don Giovanni Bosco (che lo definirà “modello di vita sacerdotale”), lo aiuta materialmente e moralmente nella sua missione. Cafasso muore a Torino il 23 giugno 1860 e viene canonizzato da papa Pio XII il 22 giugno 1947.
Francesco Faà di Bruno
Francesco nasce ad Alessandria nel 1825 da una famiglia della nobiltà militare. Prima di divenire prete, lui stesso è ufficiale dell’esercito sabaudo (è protettore dei genieri), professore all’Università di Torino, architetto e matematico, consigliere della Casa Reale di Savoia. Pubblica importanti studi sulle teorie dell’eliminazione e degli invarianti e sulle funzioni ellittiche. In seguito venne ordinato sacerdote e fonda l’Opera di Santa Zita per le donne di servizio e a una casa per ragazze madri. Dà vita anche alla congregazione delle suore Minime di Nostra Signora del Suffragio. E’ amico di Don Bosco. Il 22 ottobre 1876 viene ordinato sacerdote a Roma. Desidera questa ordinazione anche per seguire meglio la congregazione di suore.
Consumato dal servizio della scienza, della Chiesa e del prossimo, conclude la sua esistenza terrena a Torino, dopo soli cinque giorni per una infezione intestinale, il 27 marzo 1888, poco dopo Don Bosco (31 gennaio 1888). Fin da subito ha fama di santità. I suoi resti sono tumulati in un’urna esposta nella cappella laterale della chiesa di Nostra Signora del Suffragio a Torino, da lui stesso costruita nel 1867 in memoria dei caduti per l’Unità d’Italia. Francesco Faà di Bruno viene beatificato il 25 settembre 1988, a Roma, da San Giovanni Paolo II. Le diocesi di Acqui, Alessandria, Novara e Torino celebrano il 27 marzo la sua memoria facoltativa.
Leonardo Murialdo
Leonardo Murialdo nasce il 26 ottobre 1828 nel cuore di Torino, in una famiglia benestante che conta ben nove figli. Orfano di padre a cinque anni, cresce in un contesto familiare cristianamente impegnato, nonostante l’acceso anticlericalismo di quei tempi. La sofferenza per la mancanza del padre gli procura una grande sensibilità che tramuta, una volta sacerdote, in paternità spirituale per i più giovani. Studia dai padri Scolopi di Savona e alla Regia Università di Torino laureandosi in Teologia, quindi viene ordinato sacerdote nel 1851 e dedica i primi 14 anni del suo ministero ai giovani torinesi nell’oratorio di San Luigi a Porta Nuova.
Nel 1866 diventa rettore del Collegio Artigianelli di Torino, un’istituzione religiosa per l’assistenza di ragazzi poveri ed abbandonati. Tra gravi difficoltà economiche, sarà questa la sua principale attività fino alla morte. Nel 1873 fonda la Congregazione di San Giuseppe per dare continuità alla sua azione sociale ed educativa. Il fine della congregazione è l’educazione della gioventù, specialmente di quella povera ed abbandonata. Collabora a molte iniziative in campo sociale in difesa dei giovani, degli operai e dei più poveri. Nel collegio Artigianelli e nella nascente congregazione il suo primo collaboratore è don Eugenio Reffo. Muore nel capoluogo piemontese, colpito dalla polmonite, il 30 marzo 1900. Viene beatificato da Paolo VI nel 1963 e canonizzato nel 1970.
Giuseppe Allamano
Legato ai santi Giovanni Bosco ( che l’ha come studente ed è suo concittadino) e Giuseppe Cafasso (suo zio materno), Giuseppe Allamano nasce a Castelnuovo d’Asti il 21 gennaio 1851. Ordinato sacerdote a Torino a 22 anni, laurea in teologia a 23, diviene direttore spirituale del seminario a soli 25 anni. Quattro anni più tardi è nominato rettore del Santuario Mariano della Consolata e del Convitto Ecclesiastico per la formazione dei Sacerdoti. Per diffondere la devozione nei confronti della Vergine e sollecitare la generosità nei fedeli, nel 1904 Giuseppe fonda la rivista La Consolata, che riscuote subito successo all’interno della comunità.
Allamano vorrebbe farsi missionario, ma la sua salute cagionevole non glielo permette. Così nel 1901, ispirandosi all’opera di un suo conterraneo, il cardinale Guglielmo Massaia (nato a Piovà, in provincia di Asti, nel 1809) fonda l’Istituto Missioni Consolata che lo porta ad aprire l’anno seguente le prime Missioni in Kenya. Nove anni dopo, nel 1910, sollecitato dallo stesso papa Pio X durante un’udienza, fonda l’Istituto delle suore Missionarie della Consolata per poter contare su un aiuto femminile sul campo. Allamano muore di polmonite a Torino il 16 febbraio 1926, e ai suoi funerali si presenta una folla incredibile. Viene beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 7 ottobre 1990. La sua salma oggi è conservata nella Casa Madre dei Missionari della Consolata, a Torino.
Giuseppe Marello
Giuseppe Marello nasce a Torino il 26 dicembre 1846, dove suo padre gestisce un negozio ed è amico di don Giuseppe Cottolengo al quale regala lenzuola per gli ospiti della Piccola Casa della Provvidenza. Battezzato nella chiesa del Corpus Domini, a quattro anni è già orfano di mamma. Il papà lo riporta, con l’altro figlioletto, Vittorio, ancora più piccolo, a San Martino Alfieri, dove vivono i nonni. A dodici anni Giuseppe va in pellegrinaggio al Santuario della Misericordia di Savona e qui, nella cripta davanti all’altare di Maria riconosce la sua vocazione. Viene ordinato sacerdote nel 1868 ad Asti dal vescovo Carlo Savio che lo nomina suo segretario. Don Giuseppe non si limita a essere un buon curiale, ma si dedica, quale vero apostolo, alle confessioni, al catechismo in mezzo ai ragazzi, al servizio dei più poveri. Percorre tutta la diocesi con il suo vescovo in visita pastorale, rendendosi conto delle necessità dei confratelli sacerdoti e delle popolazioni.
Diventato vescovo di Acqui nel 1872, partecipa ai lavori del Concilio Vaticano I e si sente particolarmente felice per la proclamazione di San Giuseppe a patrono della Chiesa universale. A lui si ispira per dare vita agli Oblati di San Giuseppe, congregazione religiosa che muoverà i primi passi nel 1878. Sin dagli inizi del suo sacerdozio intuisce i bisogni della gioventù e dei poveri. Ai suoi preti chiede di essere “certosini in casa, apostoli fuori”. Muore, quasi cinquantenne, a Savona il 30 maggio 1895. È santo dal 2001.
Pier Giorgio Frassati
Pier Giorgio Frassati nasce il 6 aprile 1901 a Torino in una famiglia della ricca borghesia: suo padre è Alfredo Frassati noto giornalista e la mamma è Adelaide Ametis affermata pittrice. In un periodo in cui Torino inizia un accentuato sviluppo imprenditoriale, Pier Giorgio viene a conoscenza delle difficoltà in cui si dibattono gli operai. Entra in contatto con la povertà: durante il liceo comincia a frequentare le Opere di san Vincenzo. Amico di tutti, esprime sempre una fiducia illimitata e completa in Dio e nella Provvidenza ed affronta le situazioni difficili con impegno, ma con serenità e letizia. Dedica il tempo libero alle opere assistenziali a favore di poveri e diseredati.
Si iscrive a diverse congregazioni e associazioni cattoliche, si accosta con frequenza alla comunione, aderisce alla “Crociata Eucaristica” e frequenta la Congregazione Mariana che lo inizia al culto della Madonna. Fonda con i suoi amici più cari una “società” allegra che viene denominata “Tipi loschi”, giovani attenti ad aiutarsi nella vita interiore e nell’assistenza degli ultimi. Muore a soli 24 anni di poliomielite fulminante: è il 4 luglio 1925. Ai suoi funerali prendono parte molti amici, ragguardevoli personalità, ma soprattutto tanti poveri che ha aiutato. Per la moltitudine dei partecipanti, qualcuno dei presenti paragona le esequie a quelle di San Giovanni Bosco, Viene proclamato Beato da papa Giovanni Paolo II il 20 maggio 1990.
Piero Abrate