Nati il 27 ottobre: lo statista monregalese Giovanni Giolitti per 5 volte a capo del governo
Con i suoi cinque governi a cavallo di due secoli, Giovanni Giolitti è stato il leader che più di ogni altro ha segnato la storia italiana nella difficile transizione dei primi anni del Novecento. Nasce a Mondovì nel Cuneese il 27 ottobre 1842 ed è un enfant prodige: si laurea in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Torino e si laureò a soli 19 anni. All’attività politica viene avviato da uno degli zii che è stato deputato nel 1848 e che mantiene stretti rapporti d’amicizia e politici. entra in parlamento tra le fila dei liberali, dopo un lungo periodo passato nella burocrazia ministeriale. Privo di un passato impegnato nel Risorgimento, portatore di idee liberali moderate, nel 1862 incomincia a lavorare al ministero di Grazia, Giustizia e Culti. Nel 1869 passa al ministero delle Finanze, con la qualifica di caposezione. La sua carriera di alto funzionario continuò nel 1877 con la nomina alla Corte dei conti e poi nel 1882 al Consiglio di Stato. Sempre nel 1882 si candida a deputato, venendo eletto. Politicamente vicino a Crispi, nel 1889 diventa Ministro del Tesoro e nel 1892 presidente del Consiglio. Il suo primo governo ha vita breve a causa dello scandalo della Banca Romana, che porta alla luce le illegali commistioni tra politica e finanza. La vicenda segnerà la fine politica di Crispi, e rischierà di travolgere lo stesso Giolitti, pur non particolarmente coinvolto nell’affaire. Riesce con abilità a uscire di scena, cosa che farà spesso nei momenti di crisi, preferendo rifugiarsi in Germania per scampare a un possibile arresto.
Nel 1901 entra come Ministro dell’Interno nel governo Zanardelli. Da questo momento terrà le fila della politica italiana fino alla vigilia della I Guerra Mondiale, governando più a lungo di qualsiasi primo ministro del Regno d’Italia. Sono anni cruciali, nei quali il paese vive la sua rivoluzione industriale e getta le fondamenta dell’Italia moderna: nascono le principali industrie del paese, si costruiscono strade e ferrovie, vedono la luce le prime leghe sindacali che si allargano a contadini e braccianti, la scuola diventa gratuita fino ai dodici anni.
Nel 1903, Giolitti vara il suo secondo governo. La sua politica si contraddistingue per alcune grandi aperture, finalizzate a integrare gradualmente le masse all’interno dello stato. Non solo è contrario all’uso della forza contro gli operai, ma scende a patti con i sindacati. Introduce nuove norme di tutela del lavoro riducendone l’orario, combattendo quello infantile e agevolando quello femminile; apre un proficuo dialogo con l’ala riformista del partito Socialista. Quando nel 1904 i sindacati proclamano il primo sciopero generale della storia italiana, malgrado le pressioni, Giolitti si rifiuta di inviare l’esercito. Lasciando che lo sciopero si sfoghi lentamente e limitandosi a mantenere l’ordine pubblico.
Nel corso del suo terzo governo fa approvare una serie di leggi speciali per il Mezzogiorno, che comportano sgravi fiscali e l’incremento delle opere pubbliche. Ma i metodi pragmatici e sbrigativi, nonché le sue discutibili alleanze con i potentati economici nel meridione d’Italia, gli valgono l’aspra critica di Salvemini, che arriverà a definirlo nel 1910, il “ministro della malavita”. Allo statista piemontese viene mosso il rimprovero di aver bloccato il sistema politico italiano, a causa del suo trasformismo e della sua cinica strategia parlamentare.
Il 30 marzo del 1911 viene varato il suo quarto governo. Il paese è impegnato nelle solenni celebrazioni per il cinquantenario del Regno d’Italia, ma il pensiero nazionale va oltre la penisola e si spinge in Africa. Il 5 ottobre del 1911, l’esercito italiano occupa Tripoli. E’ l’inizio della guerra di Libia, paese che all’epoca fa parte dell’impero Ottomano. Giolitti, contrario alla politica di espansione coloniale, si lascia persuadere a partecipare all’impresa oltremare, convinto che la guerra sarà breve e indolore. Sarà invece aspra e dolorosa. Le ripercussioni saranno notevoli. Entra in crisi il delicato equilibrio che Giolitti aveva sapientemente costruito. Lo statista piemontese cerca di bilanciare l’esaltazione nazionalista che la guerra ha creato, introducendo il suffragio universale maschile e proponendo nuove leggi a favore dei lavoratori. Ma il quadro politico è oramai cambiato. L’Italia liberale e giolittiana sta scomparendo, soppiantata dalla società di massa e dai grandi partiti popolari.
Dopo l’attentato di Sarajevo, si oppone fermamente all’entrata dell’Italia nella Prima guerra mondiale, vedendo nel conflitto il possibile detonatore per le tante crisi sociali non risolte. La maggioranza parlamentare è con lui, ma un’ondata di proteste travolge il parlamento. Il popolo in piazza chiede a gran voce l’entrata in guerra. Giolitti rimette il mandato e il re Vittorio Emanuele affida l’incarico di formare il nuovo governo ad Antonio Salandra, che firmerà l’intervento dell’Italia a fianco di Francia e Gran Bretagna.
Nel Primo dopoguerra cercha inutilmente di salvare la democrazia italiana, nella sua ultima breve esperienza governativa del 1919-20. E’ troppo tardi. I “poteri forti”, hanno scelto Benito Mussolini e i suoi fasci da combattimento, per riportare l’ordine nel paese. Dopo l’avvento del fascismo, respingerà l’idea della secessione aventiniana per combattere in parlamento contro il nascente regime.
Giolitti si spegne a Cavour (Cn), stroncato da una broncopolmonite, nella più totale solitudine, fisica e politica, il 17 luglio del 1928.