Nati il 19 dicembre: il grande poeta crepuscolare e scrittore Guido Gozzano
Guido Gozzano nasce il 19 dicembre 1883 a Torino, in una famiglia benestante. E’ figlio del dottor Carlo, medico nella guerra in Crimea, molto amico di Massimo d’Azeglio e appassionato della letteratura romantica del suo tempo, e di Diodata Mautino, figlia del deputato Massimo, ricco possidente terriero, proprietario in Agliè di una vecchia e nobile casa e, nei pressi, della villa Il Meleto. Da bambino Guido abita in quattro case diverse iniziando, suo malgrado, quel concetto di “viaggio” che lo accompagnerà per tutta la sua breve vita. Alunno poco promettente di scuole private, necessita anche l’aiuto di lezioni pomeridiane, ma sempre con scarsi risultati perché il problema nel suo caso non è l’intelligenza bensì la volontà. Riuscirà comunque a conseguire la maturità e a iscriversi all’università cittadina, a Giurisprudenza, dove non si laureerà mai, perché i suoi interessi letterari prendono in lui il sopravvento. In particolare, preferisce frequentare i corsi di letteratura, tenuti da Arturo Graf, il quale, oltre che nelle regolari lezioni riservate agli studenti, è impegnato anche in pubbliche conferenze tanto nelle aule universitarie, quanto nei circoli.
Gozzano frequenta assiduamente la “Società della cultura” fondata a fine Ottocento da un gruppo di intellettuali, tra i quali Luigi Einaudi, Guglielmo Ferrero, Gaetano Mosca, Giovanni Vailati e l’astronomo Francesco Porro de’ Somenzi. Tra i suoi affermati frequentatori si notano il critico letterario e direttore della Galleria d’Arte Moderna Enrico Thovez, gli scrittori Massimo Bontempelli, Giovanni Cena, Francesco Pastonchi. Anche Pirandello non mancherà ad alcuni appuntamenti, mentre nell’immediato dopoguerra vi parteciperanno Piero Gobetti e Felice Casorati.
Gozzano diviene, secondo la definizione dell’amico giornalista Mario Bassi, il capo di una “matta brigata” di giovani, formata, tra gli altri, dai letterati Carlo Calcaterra, Salvator Gotta, Attilio Momigliano. Proprio nelle sale della Società della cultura nel 1906 conosce Amalia Guglielminetti, l’amore della vita con cui intesserà una relazione durata due anni, ma seguita da un rapporto epistolare che s’interromperà solo con la morte. Il loro è un rapporto intenso, ma tormentato: Amalia è una donna assai sofisticata, una musa perfetta per le sue poesie. Ma nel 1907, proprio mentre si sta godendo il meritato successo per la sua prima pubblicazione, La via del rifugio, a Gozzano viene diagnosticata una lesione all’apice destro di un polmone: una forma di tubercolosi che lo porterà alla morte. Per combatterla, inizia il suo peregrinare alla ricerca di climi più adatti alla propria condizione: è un viaggio, il suo, reale e poetico, la cui meta è il ritorno al passato, inteso sia come condizione di piena salute fisica, sia come vagheggiato tempo della concretezza, dell’importanza delle piccole cose, della genuinità della vita.
Compreso di non avere tutto il tempo che vorrebbe, l’anno successivo abbandona gli studi da avvocato per dedicarsi pienamente e totalmente alla poesia, trascurando altri ambiti della vita, a partire dalla famiglia. Nel 1911 esce la sua seconda silloge, I colloqui, considerata il capolavoro del poeta piemontese. Il taglio del linguaggio letterario è diretto, immediato, piuttosto vicino al parlato. Questa caratteristica rende le liriche di Gozzano più simili a “novelle in versi”: infatti, dal punto di vista della metrica, la scelta del poeta ricade soprattutto sulla forma chiusa della sestina. Il tono delle poesie è sempre piuttosto distaccato, ironico; tipico di chi si diverte a cogliere e mettere in evidenza la meschinità di un ambiente chiuso e provinciale. Il suo mondo è quello delle piccole cose, “le buone cose di pessimo gusto” della vita di provincia, un verso che esprime un suo atteggiamento ironico e distaccato consapevole che sono cose di pessimo gusto.
Quando la sua malattia si aggrava, nel 1912, Gozzano decide di partire per l’India, dove spera di recuperare un po’ di forze data la mitezza del clima. È un viaggio importante, per lui, durante il quale si dedica alla scrittura inviando in patria molte corrispondenze di viaggio che sono comunque influenzate dal suo stato di malato. Le sue lettere sono testimonianze sublimi di resoconti a volte appassionati e distaccati, altre volte intimi e sofferti in cui i paesaggi nuovi ed esotici vanno comunque ricondotti dalla mano della poesia entro confini sicuri e conosciuti. Queste lettere saranno riunite postume nel 1917 in un volume chiamato Verso la cuna del mondo. Lettere dall’India.
Tornato dal viaggio nel 1913, il poeta chiuderà gli occhi per sempre tre anni dopo, il 9 agosto del 1916. Un anno dopo la sua morte, Diodata Maurino pubblicherà una raccolta di fiabe per bambini scritta da l figlio e intitolata La principessa si sposa.
Piero Abrate