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Savojardi, una storia di successi per i biscotti nati a corte a metà del Trecento

Sembra che la loro data di nascita risalga alla seconda metà del Trecento e che i primi esemplari di “savojardi” (in principio con la “j” – i lunga – che con il tempo si trasformò in una semplice “i”) fossero usciti dai forni delle cucine di corte di Amedeo VI di Savoia, il Conte Verde, in occasione della visita a Chambéry di Carlo IV di Lussemburgo.

Lo chef di Corte avrebbe utilizzato lo stesso impasto del “gateau de Savoie”, un dolce particolarmente friabile e spugnoso, modellato però in forma di biscotti cilindrici, schiacciati sopra e sotto, dalle estremità stondate, vagamente a forma di dita, della lunghezza di poco meno di una spanna.

Il successo ottenuto da quei dolci leggeri, dal sapore avvolgente e delicato, fu generale a tavola, e da quel momento si cominciò a sfornali con maggior frequenza: i biscotti erano apprezzati anche dalle dame e dai fanciulli come eccellente fuoripasto. Si trattava però di dare loro un nome: e fu così che furono chiamati, semplicemente, “savojardi”, anche perchè erano diventati un dolce “ufficiale” di Corte.

Dalla Savoia, la fama dei savoiardi si espanse in tutte le regioni al di qua delle Alpi che storicamente sono entrate nella sfera di influenza storica e culturale dei Savoia: dapprima in Piemonte, ovviamente, e via via in tutte le altre regioni italiane.

Sono noti anche in Sicilia: dal 1713 al 1720 Vittorio Amedeo II di Savoia fu re di Sicilia e i savojardi si diffusero nell’isola, sia pur con una rilettura della ricetta storica, che inevitabilmente risentì delle  contaminazioni della tradizione pasticciera locale: i raffiolini di Caltanissetta, ad esmpio, che vengono serviti avvolti nella carta da forno, non sono che una variante degli antichi biscotti nati in Savoia. 

Tra il 1720 e il 1730, i savojardi sbarcarono in Sardegna: anche qui non mancarono le varianti e le reinterpretazioni locali, e i biscotti assunsero talvolta delle denominazioni proprie, come per i “pistoccus” (c’è anche la variante al caffè), che tuttora rappresentano uno dei più caratteristici dolcini sardi.

Un vassoio di “pistoccus”,
la variante sarda dei savoiardi

Ma il successo dei savojardi finì per valicare ogni confine, dalla terra di Albione alla Turchia. Dicevamo all’inizio che il loro aspetto dalla forma di cilindro schiacciato con gli spigoli smussati, ricorda un po’ quella di un grosso dito: non è un caso se gli Inglesi li chiamano lady fingers (“dita di dama”). Dal canto loro, i Francesi li chiamano “biscuits à la cuillère”. I Turchi, invece, preferiscono chiamarli kedi dili (ovvero “lingua di gatto”); per noi, le “lingue di gatto” sono un sottile e diverso pasticcino da the.

Il successo dei savojardi nel mondo intero è anche dovuto, oltre che al loro sapore delicato adatto ai palati di ogni età, al fatto che costituiscono uno dei principali ingredienti della preparazione di dolci al cucchiaio come il tiramisù e la charlotte.

E allora? Onore ai savojardi (con la “j” o con la “i” che dir si voglia), in ogni parte del mondo!

Sergio Donna

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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