ROMA. Se si cerca il termine “caporalato” all’interno del vocabolario, si può trovare questa definizione: forma illegale di reclutamento e organizzazione della mano d’opera, specialmente agricola, attraverso intermediari, caporali, che assumono, per conto dell’imprenditore e percependo una tangente, operai giornalieri, al di fuori dei normali canali di collocamento e senza rispettare le tariffe contrattuali sui minimi salariali.
Si tratta dei dati emersi dal “Quarto Rapporto Agromafie e Caporalato” dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, presentato a Roma, che fa i conti con numeri in linea con le edizioni passate: tra i 400 e i 430 mila lavoratori irregolari e sotto caporale, di cui oltre 132 mila in condizioni gravi dal punto di vista sociale e occupazionale. Sono più di 300 mila le persone che lavorano meno di 50 giornate l’anno, mentre il tasso d’irregolarità dei rapporti di lavoro è pari al 39%.
In Piemonte solo a giugno scorso è stata smascherata una banda di caporali che, da Alessandria, smistava braccianti, 52 lavoratori di cui 42 senza contratto, gestiti da un’agenzia di intermediazione con sede nel quartiere Cristo di Alessandria, in aziende agricole di Asti e Cuneo. Sei auto li portavano nelle vigne, partendo alle sei del mattino, per un guadagno di 5 euro l’ora per un totale di 9 ore al giorno. Titolare dell’agenzia era una donna di origine macedone di 48 anni, denunciata per intermediazione illecita e sfruttamento di manodopera.
Si stimano 30 mila aziende che mettono in pratica forme di caporalato, rappresentando circa il 25% del totale delle aziende italiane in cui si utlizza manodopera dipendente. Secondo il rapporto, poi, il valore dei prodotti alimentari contraffatti sequestrati dal 2012 al 2016 è di 1 miliardo di euro, 33 milioni di chilogrammi alimentari e 60 milioni di litri di quelli liquidi, quali latte, olio, vino.
I lavoratori sotto il caporalato non hanno alcun diritto, o contratto, la paga media giornaliera per 8-12 ore lavorative varia tra i 20 e i 30 euro, inferiore di circa il 50% di quanto previsto dai contratti nazionali. Un esempio: lavoro a cottimo per un compenso di 3 o 4 euro per un cassone da 375 chili, con pagamento del trasporto al caporale, per una media di 5 euro e per i beni di prima necessità, come una bottiglia d’acqua e un panino. Infine, rimangono due categorie ulteriormente sfruttate, come alcuni lavoratori migranti che guadagnano 1 euro l’ora, e le donne sotto caporale che percepiscono un salario inferiore del 20% rispetto agli uomini.
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