Un sognatore svizzero nel capoluogo subalpino: Alfred Dick, l’uomo che inventò il Toro
La ghiotta lettura del romanzo di Luigi Bonomi “Alfred Dick | L’uomo che inventò il Toro” è un’occasione da non perdere per conoscere gli albori della storia del calcio, lo sport forse più popolare al mondo, e per scoprire che i primi vagiti italiani di questo coinvolgente sport, ancora una volta, si sono sentiti a Torino.
L’Autore ci ricorda che il primo pioniere assoluto del calcio italiano e torinese è stato Edoardo Bosio, un intraprendente ragazzo con il diploma di ragioniere, che però decise di non coadiuvare i genitori nell’omonima fabbrica di birra di famiglia (era, tra l’altro, cugino dei Caratsch, altra nota famiglia di birrai in Torino). Preferì impiegarsi nell’azienda tessile di Sant’Ambrogio di Torino, di proprietà degli zii. Questa fabbrica aveva stipulato un accordo con la Thomas & Adams di Nottingham per la distribuzione esclusiva in Italia dei raffinati pizzi e merletti prodotti nelle Midlands. In occasione dei suoi viaggi di lavoro in Inghilterra, Edoardo ebbe occasione di scoprire il gioco del football praticato nelle pause di lavoro dai lavoratori anglosassoni e se ne innamorò a prima vista. Quando la Thomas & Adams decide di impiantare a Sant’Ambrogio alcuni telai per la produzione in loco dei merletti di stile vittoriano, Bosio ed alcuni tecnici inglesi, giunti appositamente da Nottingham, ne approfittano per portare in Piemonte alcuni palloni di cuoio e alcune maglie rossonere dismesse dal Notts Olympic. Il gioco era fatto. Nella primavera del 1887 Edoardo ed alcuni di quei periti tessili inglesi fondano il Torino Foot-ball & Cricket Club, con lo scopo “di promuovere la pratica dell’alpinismo e del canottaggio nella stagione estiva, del cricket e del nuovo gioco con la palla nella stagione invernale”. E questo è un primato assoluto per Torino e per il calcio italiano, avvenuto “ben sei anni prima che i marinai britannici insegnassero il football sulle banchine del Porto Vecchio ai camalli di Genova”.
Ma in quegli ultimi scampoli di secolo, i Club di Calcio torinesi cominciarono a moltiplicarsi. Correva l’anno 1889 quando il Duca degli Abruzzi fondò la Nobili Torino, un Football Club frequentato dalla nobiltà torinese. Tra i promotori c’era anche Herbert Kilpin, che poi – trasferitosi a Milano – fondò il Milan.
Nel 1891 il Torino Football & Cricket Club e la Nobili si fondono nell’Internazionale Torino (ne fu presidente Luigi Amedeo di Savoia-Aosta). Furono adottati i seguenti colori di maglia: bianco nero, oppure nero-giallo, o maroon (come lo Sheffield)
Nel 1894 viene fondato il Football Club Torinese che nel 1900 incorporò l’Internazionale Torino.
Ma torniamo al personaggio principale del libro: Alfred Dick, “un sognatore svizzero nella Torino della Belle Époque, l’uomo che inventò il Torino Calcio”. Alfred nasce in Svizzera a Yverdone, sul lago di Neuchâtel e appena ventenne si trasferisce a Torino. L’Autore, miscelando con maestria storia e fantasia, scioltezza narrativa e intrigante creatività, ce lo presenta soprattutto sotto il profilo umano. Dick è un imprenditore determinato, cresciuto in un contesto culturale svizzero, tetragono, lungimirante, dotato del fiuto per gli affari, ma anche estremamente sensibile alle esigenze delle maestranze, a rendere più confortevole l’ambiente di lavoro, e con loro solidale nella lotta per il riscatto economico-sociale. La sua fabbrica, la Manifattura di Pellami e Calzature dà lavoro a settecento operai. Ha tre figli, un maschio e tre femmine, cui è legatissimo, ma con la moglie i rapporti non sono più idilliaci, anzi. Gli impegni professionali e le passioni sportive sottraggono al ménage coniugale tempo e dedizione.
Per fortuna, almeno nella finzione letteraria, Dick ha un amico del cuore, che pagina dopo pagina, si rivela sempre di più un confidente e un complice affidabile, uno scrittore la cui fama ha ormai varcato i confini della nazione: Emilio Salgari (21 Agosto 1862 | 25 Aprile 1911). Dick, rubacuori irresistibile, incontra una donna affascinante che gli infiamma il cuore e ne alimenta i sentimenti più romantici: la modernissima Emma, che ama i motori, gli sport emergenti e spericolati e si dimostra amante appassionata, catturata dal fascino magnetico dell’imprenditore.
Dick, è appassionato di ciclismo e di calcio, ed ha le chiavi del Velòdromo Umberto I alla Crocetta. La Juventus gioca da qualche anno sul malconcio campo di Piazza d’Armi: Alfred propone al Club bianconero di utilizzare il Velòdromo per gli allenamenti e le partite ufficiali. S’impegna a dotarlo di una tribuna capiente, ma in cambio si propone come Presidente del Club. La proposta viene approvata e Alfred Dick ricoprirà la carica di Presidente tra il 1905 e il 1906: in questi anni Dick assicura alla squadra una solida struttura organizzativa, tesserando i primi calciatori stranieri, in gran parte svizzeri. La Juventus conquistò così, nel 1905, il suo primo titolo nazionale.
L’anno seguente, il 1906, Dick venne estromesso dal Consiglio Direttivo bianconero, che riteneva troppo poco accomodanti i rapporti del Presidente con la Federazione Calcio e giudicava eccessivo il numero degli stranieri militanti in squadra, a fronte dei pochi giocatori italiani. Dick e i calciatori svizzeri, indispettiti, lasciarono dunque la Juventus. Alfred propose così al connazionale Hans Schoenbrod, presidente della FC Torinese (in difficoltà economiche), di dar vita a un nuovo Club che accogliesse i giocatori dissidenti della Juventus e quelli della Torinese, in gran parte svizzeri, ma non solo, per formare una squadra che non ponesse limiti alle presenze straniere.
Nella tarda serata del 3 Dicembre 1906, nell’ammezzato della Birreria Voigt (ora Caffè Norman), annessa all’Hotel Fiorina, di Via Pietro Micca angolo Via Botero, nacque così il Torino Football Club: come presidente venne eletto all’unanimità Schoenbrod, che assunse ufficialmente la carica due giorni dopo.
La nuova società adottò il granata come colore sociale, anche se probabilmente nelle prime partite di allenamento vennero ancora indossate le vecchie maglie a strisce verticali giallo-nere della Torinese. Sono due le scuole di pensiero che spiegano l’origine della scelta del granata, ma ci piace pensare che entrambe possano essere sostenibili e reciprocamente rafforzative: la prima è quella decisamente più concreta; la seconda è più romantica e si rifà alla storia del Piemonte. Alfredo Dick era tifoso del Servette, squadra Ginevrina i cui giocatori vestivano (e tuttora vestono) il granata, per cui è molto probabile che l’imprenditore svizzero abbia proposto ai sodali di adottare questo colore, con un’approvazione generale. Per altri, il colore granata sarebbe stato scelto in onore della Brigata Savoia che ebbe un ruolo determinante nella liberazione di Torino assediata dai francesi nel 1706 (esattamente duecento anni prima della fondazione del Toro): da allora, i soldati di questa Compagnia adottarono un pastron granata per ricordare il messaggero che, nonostante fosse stato ferito al petto, imbevuto di sangue, riuscì, prima di morire, a portare al Comando l’ambasciata della gloriosa vittoria.
Per molti anni le partite del Torino si disputeranno al Velodromo Umberto I, la stessa struttura che l’8 Maggio 1898, in occasione dell’Esposizione Internazionale per i cinquant’anni dello Statuto Albertino, aveva ospitato il primo Campionato Italiano di Calcio.
Il romanzo di Luigi Bonomi conduce il lettore nel vivo degli anni della Bella époque torinese, e ci fa incontrare personaggi storici allora contemporanei, protagonisti di un irripetibile ed effervescente sviluppo scientifico, industriale e di una vibrante rivoluzione culturale: dai fondatori della FIAT (Emanuele Cacherano di Bricherasio, Alfonso Ferrero de Gubernatis di Ventimiglia, Giovanni Agnelli) alle grandi firme della letteratura e della filosofia (Federico Nietzsche, Marcel Proust e lo stesso Salgari), dell’arte (Pablo Picasso e Amedeo Modigliani), della scienza (come i coniugi Curie) e dello sport (come la ciclista Alfonsina Morini e il maratoneta Dorando Pietri). Su tutto e su tutti aleggiano però il destino (in una sorta di predestinazione giansenista dai risvolti non sempre sereni), e le sinistre e oscure previsioni terzinate di Nostradamus.
Sergio Donna