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Alla scoperta di Arborio: un Comune, un riso, un ricetto

Nell’Oratorio di San Sebastiano si cela il mistero dei 13 Apostoli

ARBORIO. Il Comune di Arborio è in provincia di Vercelli, compreso tra il fiume Sesia (ad est) e il torrente Marchiazza (a ovest). Lo stemma comunale e il gonfalone sono stati concessi con decreto del Presidente della Repubblica del 7 giugno 2011: «Di cielo, a tre pioppi di verde, fustati al naturale, il centrale più alto e più largo, nodriti nella campagna diminuita, troncata di verde e di azzurro, essi pioppi sormontati da quattro stelle di cinque raggi d’oro, poste in arco ribassato. Ornamenti esteriori da Comune» Il gonfalone è un drappo di giallo con la bordatura di azzurro; patrono è S. Martino, che si celebra il 1° agosto.

La prima menzione del borgo si ha nel 999 in un diploma di Ottone III a favore del vescovo di Vercelli, Leone. Arborio è confermato al Vescovo di Vercelli nel 1027 dall’imperatore Corrado II e nel 1152 da Federico I il Barbarossa. Nel XII secolo sul territorio dominano i conti di Biandrate. Nel 1179 il Conte Ottone cede Arborio al Comune di Vercelli. Il sistema consortile dei Signori di Arborio appare ben consolidato nel secolo XIV e comprende numerose famiglie, tra cui gli Squarra, i Biamino, i Teta, i Gattinara e i de Rege. Nel 1335 Arborio passa ai Visconti; nel 1404 i de Arborio si sottomettono ai Savoia e l’anno dopo il luogo è occupato da Facino Cane per conto del Marchese di Monferrato.

L’antico ricetto di Arborio

Nel 1407 i de Arborio si sottomettono di nuovo ai Savoia, che acquisiscono stabilmente il territorio a partire dal 1427. Nel 1513 l’imperatore Massimiliano I inserisce Arborio nella Contea di Gattinara, che viene concessa a Mercurino Arborio di Gattinara, futuro Gran Cancelliere di Carlo V. Nel 1525 il Duca Carlo III di Savoia conferma i possessi a favore di Mercurino. Nel 1621 il Duca Carlo Emanuele I di Savoia trasforma in Marchesato la Contea di Gattinara, a favore di Mercurino Filiberto Arborio di Gattinara. Il castello è menzionato per la prima volta nel 1244, l’esistenza di un ricetto è attestata già nel 1266.

Il riso Arborio

Il paese dà il nome alla varietà Arborio di riso, una cultivar italiana molto utilizzata nella preparazione dei risotti, selezionata da Domenico Marchetti nel 1946 incrociando il Vialone con la varietà americana Lady Wright. Il riso Arborio ha radici antiche che risalgono al XVII secolo; nel Settecento, con il miglioramento delle tecniche agricole e l’espansione delle coltivazioni risicole, il riso Arborio diventa una risorsa preziosa per l’economia locale e un ingrediente fondamentale nella cucina. Oggi, la sua produzione si è estesa a diverse regioni dell’Italia settentrionale, oltre che fuori dall’Italia. Questo tipo di riso è noto per i suoi chicchi rotondi e perlati, che hanno una consistenza cremosa e una tendenza a rimanere al dente anche dopo una lunga cottura. Durante la preparazione, i suoi chicchi assorbono gradualmente il liquido aggiunto, rilasciando l’amido e creando così una consistenza cremosa che è una caratteristica distintiva dei piatti di risotto. Ha un sapore delicato, con sfumature leggere di nocciola, che si combinano bene con una varietà di ingredienti.

Il riso Arobrio è una cultivar molto utilizzata per la preparazione dei risotti

Ricetto di Arborio

Quando, nel 1407, i signori di Arborio compiono il nuovo atto di dedizione ai Savoia, riparano gli apparati di difesa, alcune cellule del ricetto e costruiscono un palazzotto nella zona più elevata, posta nello spigolo nord-ovest dell’area fortificata, la “rocha castri”, detta “Rocchetta”. La pianta del Ricetto doveva essere rettangolare, di circa m. 70 x 90, cinta da mura. Le cellule edificate, di piccole dimensioni, erano parallele all’asse maggiore. Il sito è rialzato di circa tre metri rispetto alla zona circostante; la parte interna delle mura, in ciottoli a spina di pesce, risale al XIV secolo. La cinta difensiva è leggibile per quasi tutto il perimetro, escluso il lato nord. Le mura quattrocentesche sono alte circa m. 6,5 rispetto al piano esterno; nello spigolo inferiore sud del perimetro è rimasta una torre angolare a pianta circolare. La torre-porta, inglobata in un fabbricato, era al centro del lato occidentale. Sul lato opposto dell’area rimangono tracce di una seconda porta quattrocentesca. La Rocchetta rivela alcune delle sue strutture originarie: tratti di merlatura a coda di rondine e tre finestre a sesto acuto, contornate da cornici in cotto. Nella visita al paese, osserviamo da vicino anche gli altri beni architettonici.

Castello

Decaduto e costruito dagli Arborio, si tratta di un nucleo fortificato comprendente abitazioni in parte ancora utilizzate. Sulla targa posta dal comune è scritto: «Il Castello, voluto dal comune di Vercelli per proteggere questa località strategicamente importante, è menzionato nei documenti dal XIII sec.». Interessanti le finestre a sesto acuto con cornici in cotto ben conservate.

Parrocchiale di San Martino

Si trova sulla piazza principale, risalente al XVIII secolo, ha in facciata un ovale con un mosaico raffigurante S. Martino che divide il manto col povero.  L’interno è tipicamente barocco, ricco di stucchi e dipinti. Al centro della volta troneggia la Trinità, con angeli e santi; i finestroni in alto e nelle cappelle donano sapiente luminosità all’ambiente.

Santuario Madonna del Bosco (o della Cintura)

Il santuario Madonna del Bosco

Ai bordi del paese, poco fuori dall’abitato, sorge la chiesa e santuario dedicata alla Madonna del Bosco, detta anche “Madonna della cintura” per la cinta che tiene fra le mani la statua venerata dal popolo, racchiusa in una nicchia all’altare. Una ricca serie di ex-voto ne ornano le pareti: storie della religiosità popolare contadina che un tempo si esprimeva attraverso piccole opere che raccontavano vicende miracolose e grazie ricevute, testimonianze di una società rurale scomparsa.

Oratorio di San Sebastiano

Per chi arriva da Vercelli, l’Oratorio è a sud, poco prima di entrare nell’abitato. Si tratta di una chiesetta romanica poco appariscente, con una semplice facciata. Sul retro un’abside in ciottoli di fiume e lesene in mattone con una finestrella (un’altra è stata murata), nel lato sud vi è un’altra absidiola. All’interno, lo sguardo è attratto dalle scritte graffite sui muri, datate tra Seicento e Settecento, echi e testimonianze di accadimenti lontani. I dipinti del catino absidale risultano deteriorati dall’umidità: vi è raffigurato un Cristo Pantocratore nella mandorla, a fianco i simboli degli evangelisti, nella fascia inferiore alcuni santi. Una serie di affreschi del XV secolo raffigura in gran parte la Passione di Cristo.

Il ciclo si apre con l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme, segue un’Ultima Cena con Giuda isolato e, nota curiosa, altri 12 apostoli! A destra della scena un volto pare essere stato aggiunto successivamente fra due apostoli: se ne vede solo il profilo; si tratta di Mattia, l’apostolo non scelto da Gesù, ma dagli altri apostoli in sostituzione di Giuda Iscariota. I 19 riquadri raccontano con grande carica narrativa ed espressiva la storia della Passione così come poteva essere, in quei tempi, spiegata al popolo, in gran parte analfabeta.

Ezio Marinoni

Ezio Marinoni (Torino, 1962), dal 2018 è iscritto all’Albo dei Giornalisti del Piemonte. Ha collaborato al trimestrale Plus Magazine con la rubrica “Emozioni tra arte cinema e libri” e con la testata Agenda Domani. Attualmente è collaboratore del blog ligure Trucioli e redattore della testata on-line Civico20News, su temi di arte, storia e territorio. Una sua silloge poetica è compresa nel III volume della “Storia della Letteratura Piemontese”, curata da Camillo Brero (Piemonte in Bancarella, 1981) È autore delle seguenti opere: Il libro e l’affresco di Elva (Edizioni Mille, 2019) - Una vita di versi (Crearte, 2020) - Elva. Il mio sguardo (Edizioni Mille, 2022) - Torino bianca e noir (Graphot, 2023) con Milo Julini - Racconti ritrovati (2023).

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