Antichi mestieri ormai scomparsi: ‘l magnin, sempre pronto a “rattoppare” il pentolame
Il calderaio (in Piemonte conosciuto come magnin), così come altre figure che abbiamo trattato in precedenza in altri articoli, ci riporta al mondo dei mestieri antichi ormai scomparsi. Era il tempo in cui il grido l’è rivaje ‘l magnin risuonava inconfondibile e familiare per le vie dei paesi del nostro Piemonte. La sua voce era accompagnata dal tintinnio del rame per richiamare l’attenzione. All’udire quel richiamo, le donne si precipitavano alla porta di casa e consegnavano nelle sue robuste mani, pentole, caldaie e altri utensili in rame perché provvedesse, oltre che a rattoppare eventuali fori, a “ristagnare” la parte interna. Per chi non lo sapesse lo stagno, in quanto neutro, non reagisce con gli acidi presenti negli alimenti, non altera i sapori e non rilascia sostanze nocive. Cosa che fa invece il rame, metallo tossico soprattutto per il fegato.
Qualcuno si domanderà: perché in passato venivano utilizzate solo pentole di rame? La risposta è semplice: per le loro eccellenti prestazioni e solo secondariamente per ragioni estetiche. Infatti l’uso di pentole in tale metallo, miglior conduttore di calore che ci sia dopo l’oro e l’argento, permette il controllo totale sulla cottura dei cibi. Ma è necessario che gli interni siano rivestiti con metalli ad uso alimentare in grado di scongiurare la formazione di reazioni chimiche.
Quello del calderaio era un mestiere, generalmente itinerante, in quanto non tutti i paesi ne avevano uno a disposizione tutto l’anno. Per cui molti di loro giravano di borgo in borgo, pronto a soddisfare i bisogni delle famiglie. Oggi il mestiere é quasi del tutto scomparso in quanto la tecnologia e i nuovi materiali, più leggeri e più facili da pulire, hanno sostituito nell’uso quotidiano gli attrezzi di rame, che per il troppo uso si bucavano o si rompevano con una certa periodicità.
Il calderaio portava tutto il materiale che gli serviva per il lavoro su un carretto o in un sacco, si fermava in un angolo appartato, al riparo, preparava una sorta di “fucinella” portatile alimentata a carbone e avvisava della sua presenza, attendendo che le massaie che gli portassero secchi, padelle e pentole bucate o consumate da aggiustare e da ristagnare con cura. Finita la raccolta del materiale da riparare, il calderaio incominciava il suo paziente lavoro. In poco tempo, i vari utensili ricomparivano dalle sue mani competenti come nuovi e pronti per essere riusati nei lavori domestici.
Chi tra i magnin c’era anche chi possedeva una sua bottega, che sfruttava soprattutto d’inverno, una volta dove realizzava tantissimi oggetti per la casa o per il lavoro: casseruole, tegamini, padelle, brocche, paioli per il camino, ma anche secchi per attingere l’acqua, imbuti, annaffiatoi, lucerne, lumi a petrolio e scaldini. Inoltre soprammobili, pezzi di autentico artigianato artistico.
Piero Abrate