Aso e borich: modi di dire e curiosi proverbi piemontesi su asini e somari
L’asino, com’è noto, è animale docile, laborioso, paziente. Ciò che non tutti sanno è che è pure intelligente. Altri animali, come lui sottomessi all’uomo, hanno contribuito a diffonderne l’immagine di un animale stupido, di un somaro insomma. Pura invidia. Tipica, ad esempio, è quella novella in cui si racconta che il porco, suo compagno di stalla, lo sfotteva continuamente: “Che fesso che sei: lavori come un mulo; tutto il giorno a far girare la ruota della macina: cominci all’alba e finisci che il sole è tramontato. E quando rientri nella stalla, sei sfinito, al punto di non aver manco più appetito. Io invece, non mi muovo di qui, mangio come un maiale, e non faccio altro che riposare, mentre tu morirai presto di fame e di fatica”. Ogni giorno il porco ripeteva all’asino questa frase, ed ogni volta il povero asinello gli rispondeva: “Senza invidia, compare porco…”. E con le stesse parole con cui padre Cristoforo quella sera si rivolse a don Rodrigo nel suo palazzotto, aggiungeva: “Verrà un giorno…”. E in effetti venne il giorno in cui il porco, tanto arrogante e sfottente, fu accoppato e la sua carne si trasformò in salami. Mentre l’asino gli sopravvisse ancora molto a lungo.
Ma anche la letteratura ci ha messo del suo: tutti conosciamo l’apologo dell’asino di Buridano, che ‒ nell’indecisione di scegliere da quale mucchio di fieno alimentarsi per primo, quello di destra o quello di sinistra ‒ finì per morire di fame. Oppure pensiamo a Pinocchio e a Lucignolo, nel Paese dei Balocchi, che dopo aver abbandonato la scuola e dopo ore di spensierata baldoria, si videro spuntare le orecchie d’asino, poi la coda, per poi trasformarsi inesorabilmente entrambi in somari, animali che per antonomasia, da sempre (anche se immeritatamente), sono il simbolo dell’ignoranza.
Persino alcuni giochi infantili d’antan fanno riferimento a questo mansueto animale, facendone oggetto di scherno e di sfottò. Qualcuno ricorderà, ad esempio, il gioco dell’ ”asino vola”. Tutti i giocatori appoggiano il dito indice sul tavolo: chi ha il comando del gioco propone nomi di animali o di oggetti capaci di volare, per natura o per opera dell’ingegno umano, ma ogni tanto anche nomi di animali o oggetti che non volano affatto. Così, se dice: “Il passero vola”, oppure “L’allodola vola”, tutti alzeranno giustamente il dito. Ma se dovesse dire: “L’asino vola”, o “L’elefante vola” (Dumbo a parte), il dito non dev’essere assolutamente alzato: chi lo facesse, per distrazione o per lentezza di riflessi, accumulerebbe una penalità.
E poi c’è il gioco delle carte. Credo che tutti voi abbiate giocato, e non solo da piccoli, almeno qualche volta “all’asino”. Un gioco talmente diffuso che evito di descriverne le regole fondamentali: mi limito a ricordare che la finalità del gioco è quella di evitare di “rimanere con l’asino in mano”, ovvero, come recita un modo di dire piemontese, “resté con l’aso an man”. Sarebbe il massimo della vergogna.
L’asino è presente nella cultura mediterranea, ma anche in quella contadina e montanara piemontese. E sul tema degli asini, i proverbi piemontesi sono numerosissimi. Vediamo di ricordarne qualcuno:
“An mancansa dij cavaj, anche j’aso a tròto”: in mancanza dei cavalli, anche gli asini trottano. “Fé la figura dl’aso” significa fare la figura dell’imbecille. E qui in effetti, ancora una volta “casca l’asino” che, come spesso accade, viene ingiustamente preso a modello di stoltezza. Ma l’asino, oltre a rischiar di cadere, può anche rischiare di scivolare, come nell’espressione: “Un borich an sla giassa” (un asino sul ghiaccio). In effetti, un asino sul ghiaccio ha grandi difficoltà a muoversi. Ma anche la maggior parte degli umani, a meno che siano se dotati di adeguati pàttini e sappiano pattinare, farebbero parimenti fatica a muoversi su una superficie ghiacciata.
“Na fròla o un bëscotin an boca a n’aso” (una fragola o un biscotto in bocca a un asino) è un modo di dire che può avere tre significati: a) qualcosa di troppo sofisticato per essere apprezzato da un somaro; b) un compenso troppo piccolo in proporzione a quanto ricevuto; c) una razione di cibo assolutamente insufficiente per chi ha un appetito da carrettiere.
In Piemonte, non solo gli elefanti sono chiamati in causa per indicare una mancanza di delicatezza nel procedere o nel fare le cose, ma anche gli asini. Se diciamo: “A l’ha ’l deuit ch’a l’han j’aso a plé ij bëscheuit”, cioè ”ha il garbo che hanno gli asini a sbucciare le castagne biscotte (che sono i marroni cotti due volte, prima bolliti e poi nel forno)”, vogliamo sottolineare che il soggetto menzionato non è una persona dai gesti molto delicati, né un tipo che va per il sottile.
Oppure (e siamo sempre nel campo dei lavori svolti con sufficienza): “Fà nen fé gnun travaj a chiel-lì: a sarìa come buté n’aso a fé le sòche”, ovvero: non assegnare alcun lavoro a quello lì, perché sarebbe come mettere un asino a fare gli zoccoli. Il senso è talmente chiaro che ogni commento sarebbe inutile.
Concludo con un altro colorito proverbio, che ancora una volta non rende merito a questo tanto simpatico quanto tartassato animale: “Chi a lava la testa a l’aso, a perd ël temp e ’dcò ’l savon”. Qui il piemontese è comprensibilissimo e non mi sembra il caso di proporne la traduzione.
Davvero meriterebbe maggior rispetto questo nobile animale che ebbe il privilegio di scaldare col suo fiato, accanto al bue, il Bambinello nella grotta di Betlemme.