Bíró e Bich, un connubio che ha rivoluzionato il modo di scrivere
Il nobile torinese Bich acquistò dal giornalista ungherese Bíró il brevetto e produsse per primo al mondo questo straordinario strumento. Ancor oggi la Bich è sinonimo in tutto il mondo di penna a sfera
Forse non tutti sanno che la penna biro deve il suo nome a László József Bíró (1899-1985), un giornalista ungherese. Da tempo immaginava una penna che potesse garantire maggiore autonomia della penna stilografica e soprattutto non dovesse dipendere dalla ricorrente operazione di ricarica. Si racconta che ebbe l’intuizione per la sua penna, osservando una biglia di vetro che, dopo essere finita in una pozzanghera, rotolando lasciava una scia d’acqua. Decise quindi di sostituire il pennino con una punta cava nella quale vi era una piccola sfera, che consentiva la distribuzione lineare dell’inchiostro attraverso la pressione della penna sulla carta.
Gli esperimenti dell’inventore ungherese iniziarono nel 1938 e si conclusero ufficialmente nel 1943, quando l’innovativa invenzione fu brevettata. Nel frattempo Bíró si era trasferito in Argentina e aveva dato inizio alla produzione della sua penna, però i costi di produzione erano molto elevati e di conseguenza un prezzo di mercato risultava inadatto a farne un oggetto destinato al consumo di massa.
A trasformare quella penna nello strumento di scrittura più diffuso nel mondo e tra i più economici, contribuì in modo rilevante un industriale che nacque a Torino in corso Re Umberto 60, si chiamava Marcel Bich (1914 – 1994); era un nobile di famiglia valdostana nel 1953 acquistò il brevetto di Bíró e diede inizio alla produzione industriale di quella che sarà poi universalmente conosciuta come la “Penna BIC”. Il modello subirà nel tempo una serie di modifiche: emblematica la trasformazione del corpo della penna da cilindrico a esagonale, per limitarne il rotolamento sui banchi di scuola. Ma la sua prerogativa più caratteristica era (ed è) costituita dalla trasparenza, che consente di osservare costantemente il livello dell’inchiostro.
Sulla casa natale a Torino, una lapide apposta dal Comune nel 2004 sintetizza con poche parole l’opera innovativa di Bich: “Semplificò la quotidianità della scrittura”. È noto che Bich è stato un grande innovatore anche con la creazione dei rasoi e accendini “usa e getta”.
Per molti di noi quella cannuccia in plastica è parte integrante delle nostre memorie scolastiche, professionali e domestiche: usata da molti studenti nelle situazioni più difficili perché considerata indistruttibile, ha scritto milioni di compiti, firmato contratti, computato, tracciato promemoria per la spesa. Caricata con il “refil” ha garantito un’autonomia che ai tempi della stilografica era inimmaginabile; ma è diventata soprattutto emblema della comodità. Una comodità che, in tempi recenti, è assicurata in “chilometri di scrittura”, come avverte la pubblicità di una nota casa produttrice.
Poi sono giunti i primi pennarelli: qualcosa che sapeva di sperimentale; puzzavano d’alcol da far paura e perdevano sempre. Vietatissimi a scuola negli anni della generazione degli attuali cinquanta/sessantenni. Poi anche il pennarello “si è fatto più penna”. Con punte sempre più sottili, cartucce intercambiabili e sofisticato design, il pennarello è divenuto la penna della fine del Novecento, mentre dalle cartelle scolastiche la biro risentiva del contraccolpo; era già successo ai pennini che vedranno poi accrescere il proprio status divenendo oggetti oramai ambiti solo dai collezionisti.