Camillo Brero, poeta gentile e padre moderno della lingua piemontese
TORINO. Come Nino Costa e Pinin Pacòt, quand’erano in vita, sono stati i poeti che con la loro poetica hanno affascinato le generazioni dei piemontesi loro contemporanei, vissuti tra gli anni Venti e gli anni Sessanta del Novecento, così Camillo Brero, con la sua prosa fluida e avvincente e le sue liriche tenere, cariche di sentimento e musicalmente amabili, scritte in un piemontese ricercato, colto, ma fruibile da tutti, ha conquistato seduta stante i piemontesi della seconda metà del secolo scorso e dei primi due decenni degli Anni Duemila.
Quando si è poeti nel cuore, e si usa un linguaggio poetico semplice e diretto, gli apprezzamenti arrivano anche quando si è in vita, per poi continuare, sull’onda della celebrità, anche post mortem. È proprio il caso di Camillo Brero, indimenticato e indimenticabile uomo dal cuore generoso, instancabile piemontesista, innamorato della sua terra (la sua “Patria cita”), della sua storia, da lui cantate magistralmente in piemontese, la sua “lingua madre”.
Brero nacque a Druento, alle porte di Torino, il 4 marzo 1926 ed è morto a Pianezza (nella sua abitazione) il 10 gennaio 2018, e possiamo considerarlo, con Costa e Pacòt, un grande scrittore e poeta novecentesco, anzi, uno dei più grandi. Insegnante di lettere, e poi impiegato Fiat, era dotato di un’approfondita cultura classica: come glottologo e piemontesista, si è dedicato con passione agli studi della lingua piemontese, alla sua diffusione, e al suo insegnamento.
Rimasto orfano di padre a soli cinque anni, Brero crebbe in un contesto famigliare incentrato sulla figura materna, da lui adorata, e nel rispetto della cultura contadina, trasmessagli dai suoi nonni e dai suoi antenati: non a caso, in molte sue opere, si firmava come l’Anvod dij Bré. Incoraggiato e indirizzato alla poesia da Nino Costa, cominciò la sua attività letteraria nel 1944, pubblicando la sua prima lirica sulla rivista Ël tòr. Nel 1946, appena ventenne, incontra Luigi Olivero, Pinin Pacòt e gli altri membri della Companìa dij Brandé, gruppo di poeti e scrittori in lingua piemontese, impegnati in una scrittura di qualità e di spessore, per dare dignità internazionale alla lingua e alla poesia regionale. Alla morte di Pacotto, avvenuta a Castello d’Annone il 16 dicembre 1964, Brero lo sostituisce nel suo ruolo di guida del movimento letterario subalpino. Nel 1967, pubblica la sua prima edizione della Grammatica Piemontese | Gramàtica Piemontèisa, di concezione moderna, cui faranno seguito due edizioni del “Vocabolario Piemontese” (1976 e 1982). Camillo Brero s’impegnò fortemente nel diffondere l’insegnamento della lingua piemontese nelle scuole elementari e medie, mettendo a disposizione dei docenti e delle direzioni scolastiche corretti e adeguati strumenti d’insegnamento. Fu inoltre il primo a portare la letteratura piemontese nelle radio e nelle televisioni private (seguitissima era la trasmissione Na sèira con noi trasmessa dagli studi di Telesubalpina, molto apprezzata non solo dai piemontesi di nascita – per perfezionare il loro lessico, e per recuperare termini desueti – ma anche dai piemontesi di adozione, per imparare a conoscere meglio e ad amare la lingua della regione in cui erano immigrati).
Tra le sue opere più corpose e apprezzate, ricordiamo la Storia della Letteratura Piemontese, in tre volumi, con un’ampia antologia di poesie e racconti di poeti e scrittori celebri, e di tanti altri non da tutti conosciuti. Camillo Brero è stato uno dei fondatori della Ca dë Studi Piemontèis, nonché direttore della rivista mensile “Piemontèis Ancheuj”.
Camillo Brero, insieme ad altri “Brandé” della sua generazione, è stato sicuramente tra i primi a rivendicare il diritto della Lingua Piemontese (e di altre lingue locali, regionali, minoritarie) a vivere e ad essere praticata anche nell’era moderna, considerando – tra l’altro – il piemontese non come un mero dialetto, ma ribadendone la dignità di “lingua”.
A tal proposito, in occasione della pubblicazione del suo Vocabolari Piemontèis, Camillo Brero così si esprimeva: “Ben diversi erano i motivi che avevano ispirato la compilazione di vocabolari piemontesi nel secolo scorso (l’Ottocento, ndr). Allora, infatti, si intendeva avviare i piemontesi all’apprendimento della lingua italiana in un clima di sano e equilibrato nazionalismo, nel rispetto della ricchezza originale dei popoli. Il bilinguismo poteva essere unità e libertà. Ma venne il fascismo e fu peccato e vergogna parlare come popolo libero. La lingua doveva essere una sola, come uno solo era il capo a cui era consentito pensare. Cadde il fascismo, ma l’assurdo continuò. E per alcuni – troppi – ancora oggi è peccato e vergogna parlare come popolo libero – pur in uno stato libero – ed il bilinguismo naturale – lingua regionale e lingua ufficiale – è ritenuto minaccia all’unità nazionale. Noi crediamo fermamente il contrario. E crediamo alla necessità che i popoli vivano in tutta la loro ricchezza ed originalità per rinnovare ed arricchire l’anima del mondo. Oggi pertanto un Vocabolario Piemontese non può che essere uno strumento di riconversione per quanti soffrono l’umiliazione della cultura preordinata dall’alto e condizionata dall’economia standardizzata e materialistica...”
Concludo questa biografia essenziale del grande poeta e scrittore piemontese, riportando alcune delle sue più note opere, oltre a quelle già citate più sopra:
Spluve (1949); Stèile… steilin-e (1956); L’ànima mia a s’anandia (1967); Bin a la tèra (1977); Ma ’l sol doman a ven (1986); …E a l’é torna l’alba!… (1992); Breviari dl’Ànima (1995), An brass al sol (1996), Vos ëd l’etern present (2003) e le prose Conte, fàule e legende piemontèise (1977) e La bela stagion – Amor polid (1987). E ancora: l’Arsetari dla cusin-a piemontèisa (Ricettario di cucina piemontese); Piemonte in favola (Favole e Leggende piemontesi); Biancafiòca e àutre fàule… e tante altre ancora.
Chiudo questo articolo con una mia poesia dedicata al grande poeta piemontese recentemente scomparso, scritta alcuni anni fa, in occasione dei festeggiamenti per il suo novantesimo compleanno.
Breviari dl’ànima
A l’ha mostramlo Milo,
a dì d’orassion sempie:
dì ’l bin sensa paròle,
tutun scaudesse l’ànima;
vardé ’nt ël cel le nìvole
sentend Nosgnor dacant.
Pasiesse ’l cheur e ij crussi
al cant ëd le siale,
al vòl ëd le sgnorete,
a col dij parpajon.
Basta na lusentela
për fé bin ciàir al cheur.
S’it sare toe parpèile,
’t sente ’l sospir ’d le stèile:
consert dë stradivari.
L’é cost ël mè breviari:
ant ël zon-zon ’d n’avija,
ant na masnà ch’a rija,
scoté la vos ëd Dé ².
A l’ha mostramlo Bré.
Sergio Donna
Glossario
Dì ’l bin: pregare | crussi: crucci | siale: cicale | sgnorete: libellule | parpajon: farfalla | parpèile: palpebre | stradivari: violini | zon-zon: ronzio | avija: ape | masnà (f): bambino | Dé: Dio |Bré: è il cognome del poeta (in italiano: Brero)