Cerea: in Piemonte non è solo un saluto, ma una filosofia, una cultura, uno stile di vita
Un tempo era il tipico saluto piemontese che risuonava sulle acque del Po come segno di fair play dei canottieri dell’omonimo storico circolo torinese
Il cerea piemontese oggi è diventato un saluto raro. Lo si sente ancora risuonare in qualche vecchia bottega di provincia, e – ben più sporadicamente – in città, magari quando due attempati torinesi (“merce” da collezionisti, o quasi!) si rivedono dopo un certo lasso di tempo, oppure si accomiatano dopo un casuale incontro e una breve chiacchierata sotto i portici di Via Po.
Attenzione: il cerea è una forma di saluto rispettosa e cordiale, ma non equivale al ciàu (ciao, ndr), più confidenziale e inflazionato. Ed è pure qualcosa di più di un semplice “bondì” (buongiorno! ndr). Così come è più esaustivo e meno limitato di un “arvëdze!” (arrivederci!, ndr), perché il cerea lo si può usare sia al momento di un incontro che al momento del commiato. Il cerea è una filosofia, una cultura, uno stile di vita, un modo di salutare che racchiude tradizioni, storie antiche, e orgoglio di piemontesità. È stima, gioia di un incontro, è rispetto, ma al tempo stesso, anche un segnale di discrezione, tipico di chi non vuole invadere troppo l’altrui sfera personale. Perché si sa: chi a dà tròpa confidensa, a perd la riverensa (chi dà troppa confidenza, perde la riverenza, ndr).
Eppure, solo cento anni fa, risuonava cristallino in tutte le strade, nelle botteghe, nei caffè: la gente si scappellava e con un inchino appena accennato, si abbandonava a scambi calorosi di “cerea!”.
Questo saluto, schietto e rispettoso, come è nello stile della gente subalpina, rievoca i fasti delle prime e gloriose storiche società sportive di canottaggio, sorte a Torino lungo il Po tra gli anni Sessanta e Ottanta dell’Ottocento. Come la Reale Società Canottieri Cerea (1863, in foto), l’Armida (1869), il Caprera (1883) e l’Esperia (1886), che ancora gloriosamente esistono ai giorni nostri, e che vantano palmares ultrasecolari di successi e di memorabili imprese sportive. Ognuna di esse imponeva agli atleti l’uso tassativo di divise e copricapi con i colori sociali. I canottieri del Cerea, ad esempio, indossavano mute sportive con i colori bianco e azzurro, a righe orizzontali, ed una stella sul petto. I colori sociali dell’Esperia, invece, erano il giallo e il blu; quelli del Caprera, il rosso e il bianco. La foggia ed i colori delle canotte identificavano già da lontano gli equipaggi, tra i quali spiccata era la rivalità, sia pur nei limiti di un’assoluta correttezza sportiva. Incrociandosi, il rigoroso fair play imponeva agli equipaggi lo scambio di un saluto. I vogatori del Cerea, incocciando un altro equipaggio, solevano proferire un cordiale “cerea!”. E in quello stesso modo, a norma di regolamento, dovevano salutarsi tra loro all’interno del Circolo.
Ma qual è l’etimologia di questo saluto tipicamente piemontese?
Secondo alcuni, le radici della parola potrebbero risalire al greco antico: il termine deriverebbe dall’imperativo “chaire” del verbo greco “chairo”, che significa “rallegrarsi”. Ipotesi assolutamente non priva di fondamento, se pensiamo che gli Scozzesi, altro popolo – come quello piemontese – orgoglioso e fiero della sua storia, usano ancor oggi salutarsi con un “cheerioo!” (che suona in modo molto simile al nostro cerea) e che non è che la forma contratta delle parole inglesi cheer you (che hanno un significato di incoraggiamento, di sostegno, di invito all’allegria, in linea con il significato del citato termine greco).
Questo nostro pianeta è davvero piccolo, e con un po’ di attenzione, si riescono a trovare similitudini anche tra popoli che abitano paesi tra loro molto lontani e che si esprimono con lingue molto differenti.
E allora? Non ci resta che salutare i lettori di Piemonte Top News con un cordiale “cerea, nèh!” E… se tra di essi ci fosse qualche Scozzese, di certo risponderebbe, seduta stante e con pari cordialità, con un solare: “cheerioo!”