Il “Codex Astensis”, un tesoro del Trecento giunto intatto ai giorni nostri
ASTI. Tanta è l’emozione nel sapere che negli archivi storici delle nostre città sono custoditi documenti di tale importanza come il Codex Astensis, conservato nell’Archivio Storico di Asti. Osservare il Codex è come trovarsi di fronte ad una specie di grande libro della vita, le sue dimensioni sono davvero voluminose, quasi che una persona da sola fa fatica a sollevare il gigante tomo, salvaguardato dentro ad uno scrigno. La copertina è in legno con al centro lo stemma in ottone della città di Asti, mentre ai quattro lati dei piedini sempre in ottone aiutano il lettore a far sì che la pesante prima pagina del codice non si rovini mentre viene aperta ed appoggiata sulla superficie. I fogli che compongono il libro sono 380, che equivalgono a ben 760 pagine, una lettura a dir poco impegnativa!
Il supporto su cui è stato redatto il Codex è la pergamena, materiale molto utilizzato in epoca medioevale. La pergamena è una membrana ricavata dalla pelle di animale, in questo caso non è ancora certo l’animale dal quale sia stata ricavata. La maggior parte delle fonti indica che sia stata ottenuta dal vitello, ipotesi che verrebbe giustificata dalla grandezza del foglio, d’altro canto teorie meno sicure attestano che provenga dalla pecora o dall’agnello.
Il codice è stato interamente scritto a mano in gotico ed è composto da testi e immagini. Proprio queste immagini assumono un ruolo quasi centrale: in tutto sono ben 106, vengono dette “miniature”, perché sembrano dei piccoli quadretti, che decorano i vari documenti, sono disegnate con gli acquarelli e rappresentano dei bellissimi capolavori di arte illustrativa, che lasciano senza parole il fruitore del volume. Osservando a fondo le pagine del Codex Astensis si nota subito come gli amanuensi avessero utilizzato degli escamotage per agevolarsi nello scrivere: ogni foglio possiede infatti delle righe incise, come delle guide che aiutavano gli scrittori a seguire una linea retta. Anche in questo caso si sono formulate varie ipotesi, la più appurata è quella che ci si aiutasse con un particolare strumento proprio del lavoro degli amanuensi, detto ligniculum, un punteruolo con il quale si tracciavano le righe a secco, operazione detta sulcare. Tutti i testi sono scritti con inchiostro nero, mentre gli indici dei vari capitoli sono in rosso e i capi-lettera in blu o in rosso, in modo da dare maggiore evidenza.
Il Codex Astensis è suddiviso in più parti. La prima parte riguarda la cronaca della città di Asti, redatta da Ogerio Alfieri (antenato di Vittorio Alfieri), che narra le vicende della città dalla fondazione all’anno 1294. La seconda parte tratta l’insieme dei privilegi concessi alla città da parte di papi e imperatori. La terza parte racconta invece i rapporti tra Asti e le città vicine. Asti all’epoca dominava su 164 luoghi, situati al di là e al di qua del fiume Tanaro. Nei fogli 19 e 20 si possono riscontrare i vari domini di Asti nel periodo medievale attraverso un’accurata carta topografica.
La redazione del codice risale al periodo del 1350 circa, ma fino alla fine del 1800 se ne sono perse misteriosamente le tracce. Fu Quintino Sella, ambasciatore italiano in Austria, che nel febbraio 1876 ritrovò nell’archivio di corte dell’imperatore Francesco Giuseppe il Codex Astensis. Così, grazie ad una decisione presa dal ministro degli esteri Andrassy in accordo con l’imperatore, il codice venne restituito a Sella come dono da parte di Vienna. Una volta giunto in Italia, Sella lo pubblicò in due edizioni, una risalente al 1880 e una seconda al 1887. Alla sua morte, gli eredi lo donarono al Comune di Asti. Era il 1884. Solo da quel momento Asti tornò in possesso del tanto anelato manoscritto. Purtroppo rimangono ancora oscure le cause che portarono così lontano questo documento storico, tuttavia la città di Asti è fiera di annoverare tra i suoi manoscritti e rari una testimonianza scritta sulla sua storia di così inestimabile valore.