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Chi era don Giovanni Cocchi, pioniere degli Oratori di Torino e fondatore degli “Artigianelli”

Le vite di don Giovanni Cocchi e don Leonardo Murialdo furono legate tra loro a doppio filo. Due figure di spicco dell’apostolato sociale torinese dell’Ottocento, rivolto soprattutto all’educazione della sbandata gioventù dell’epoca. Torino li ricorda con due lapidi. Visto che le due targhe marmoree sono piuttosto distanti tra loro, abbiamo pensato di condurre i Lettori di Piemonte Top News a scoprire il luogo in cui queste due lapidi sono posizionate in due tappe successive, cominciando da quella dedicata a don Cocchi. In un prossimo articolo di questo quotidiano on line, visiteremo invece quella dedicata a don Murialdo.

Ma chi era don Cocchi? Ce lo svela la lapide murata sulla facciata dello storico edificio di Corso Palestro 14, che venne apposta nel 1913, in occasione del primo centenario dalla sua nascita. Così recita l’iscrizione:

“Al fondatore degli Artigianelli,
don Giovanni Cocchi, sacerdote esemplare,
con bontà di padre, fortezza di eroe,
per la sola carità di Cristo,
tacendo e facendo, raccolse, educò, salvò
migliaia di fanciulli poveri, pei quali aperse
collegi, riformatori, oratori
e primo in Italia, le colonie agricole.
Nel primo centenario dalla sua nascita,
questo ricordo i beneficati posero.
II luglio MCMXIII”.

Lapide dedicata a don Giovanni Cocchi in corso Palestro 14 a Torino

Don Giovanni Cocchi può essere considerato il “pioniere degli Oratori di Torino”: fu proprio lui a istituire, nel 1840, il primo Oratorio a Torino, ancora prima di don Bosco: era l’Oratorio dell’Angelo Custode.  Tra i suoi più attivi collaboratori c’era don Roberto Murialdo, cugino di Leonardo. Con don Leonardo Murialdo i rapporti erano costanti e costruttivi, sulla base di comuni vedute. Ma anche don Bosco era in stretto contatto con don Cocchi, a cui era legato da solida stima e amicizia: tant’è vero che nel 1857 don Bosco gli affidò la direzione di un suo Oratorio, quello di San Luigi, non lontano dalla stazione ferroviaria di Porta Nuova, in un quartiere che a quei tempi era quasi periferico.

Don Cocchi aveva intuito che per coinvolgere i ragazzi dell’epoca, per formarli religiosamente e professionalmente e instradarli alla vita adulta, era necessario non solo occuparsi della loro educazione e dell’insegnamento, ma anche di dedicare ampio spazio allo sport e alle attività ricreative di quei giovani spesso sbandati. Ma don Cocchi non fu solo un educatore e un catalizzatore della gioventù dell’epoca: operava come un instancabile santo sociale, dando vita a molte opere, fondazioni e istituzioni scolastiche e sociali, che poi furono portate avanti e sviluppate dal Murialdo e dai suoi successori: tra tutte, citiamo il famoso Collegio degli Artigianelli, ricordato nell’epigrafe.

Don Cocchi era un prete ‘patriota’, di idee moderne, spesso battagliero e intraprendente: e per questo non fu sempre visto di buon occhio dalla componente più intransigente del cattolicesimo contemporaneo. Come quando, con alcuni dei suoi ragazzi, pensò di partecipare alla battaglia di Novara nel 1849, con un piccolo contingente di volontari: l’iniziativa tuttavia non ebbe seguito per le critiche che generò negli ambienti più conservatori, e che ebbe l’effetto di allontanare per qualche tempo don Cocchi dagli Oratori.

È interessante ricordare che, in un primo tempo, sia don Bosco che don Cocchi mandavano i loro ragazzi a fare apprendistato nelle officine di datori esterni di lavoro. Una sorta di ‘stages’ ante litteram: Non sempre però i proprietari di officine e botteghe artigiane erano davvero interessati ad insegnare loro un mestiere. Spesso i titolari delle bòite accettavano i ragazzi solo perché avevano bisogno di manovalanza, accogliendoli per puro interesse personale in un ambiente di lavoro spesso degradato. Di qui la scelta di costruire officine e laboratori interni all’Istituto che privilegiassero il momento formativo, e in cui si potessero insegnare tutte la filiera del lavoro artigianale, consentendo agli allievi, giunti alla del fine percorso educativo, di aprire un’attività in proprio o di essere assunti in fabbriche e officine già esistenti come operai specializzati.

Continueremo a parlare del sistema educativo dell’Istituto degli Artigianelli, approfondendone la conoscenza, quando – nel prossimo numero di Torino Storia – ci troveremo davanti alla lapide dedicata a don Murialdo, a cui don Cocchi affidò la direzione del Collegio, con la missione di continuare e ampliare la sua opera educativa.

Una biografia di don Cocchi, a cura di Daniele Bolognini, Velar Editore

Torniamo ora più propriamente alla biografia di don Giovanni Cocchi, per scoprire qualche altro aspetto e aneddoto del suo apostolato. In tal senso, ci è di notevole aiuto il libro di Daniele Bolognini, dedicato alla vita del santo, intitolato “Don Giovanni Cocchi, fondatore degli Artigianelli”, edito da Velar. Il Nostro nacque a Druento (Torino) il 2 Luglio 1813, da una modesta famiglia di contadini. Per un breve periodo si trasferisce con la madre a Torino, in un piccolo alloggio nei pressi della Chiesa della SS. Annunziata, che si trova in Via Po a pochi passi da Piazza Vittorio. È il prevosto di Borgaro, in veste di precettore, a prendersi cura del suo insegnamento e ad infondergli sani principi morali e religiosi. Giovanni sentì presto la vocazione religiosa, e completati gli studi, venne ordinato sacerdote nel 1836. Fin dai primi anni del suo ministero si distinse per l’attenzione agli indigenti, agli infermi, agli orfani e soprattutto ai ragazzi che girovagavano per le strade, senza istruzione e senza guida. Fu nel Borgo del Moschino (un sub-quartiere di Vanchiglia, nella periferia Nord della città), caratterizzato da case fatiscenti e malfamate, che don Cocchi iniziò la sua missione. Era un luogo malsano, infestato dalle zanzare (di qui il nome di Moschino) per la presenza di alcuni canali derivati dal vicino Po che tracimando creavano intorno zone paludose: era un covo malfamato in cui operavano i barabba, ragazzi violenti e sempre pronti a maneggiare il coltello, organizzati in bande (còche), spesso in competizione tra loro. Ebbene, fu proprio al Moschino che don Cocchi aprì l’Oratorio dell’Angelo Custode, il primo della città di Torino: era il 1840. Nel 1841 vi stabilì a fianco anche un piccolo ricovero per anziani che vivevano in miseria e un ostello per ragazze indigenti, e qualche tempo dopo, vi eresse una cappella. Nel 1844 istituì la Compagnia delle Figlie di Maria. Era quello l’anno in cui don Bosco fondava l’Oratorio della Chiesa di San Francesco di Sales. Due anni dopo, nel 1846, avrebbe aperto l’Oratorio di Valdocco alla Cascina Pinardi, non lontano dal luogo in cui la marchesa Giulia di Barolo aveva istituito il Rifugio per il recupero e l’inclusione delle fanciulle “vulnerabili” a San Pietro in Vincoli. Nel 1847 sorgeva invece l’Oratorio di San Luigi, istituito ancora da don Bosco e dal teologo Giovanni Battista Borel. Dopo qualche tempo, don Cocchi affidò la direzione dell’Oratorio dell’Angelo Custode a da don Roberto Murialdo, cugino di don Leonardo Murialdo. Lo stesso don Leonardo fu invitato a tenere lezioni di Catechismo in questo Oratorio e fu così che nacque una solida amicizia tra don Cocchi e i due cugini Murialdo, con i quali condivideva le stesse vedute in tema di educazione e lo stesso impegno nel recupero dei ragazzi sbandati. Nell’Ottobre del 1849 don Cocchi pose le basi di quello che sarebbe diventato il Collegio degli Artigianelli rivolgendo un accorato appello ai religiosi della città per istituire un’Associazione di Carità avente lo scopo di assistere ed educare i ragazzi orfani o di famiglie indigenti: il progetto diventò realtà nel 1850. La sede del nuovo Collegio subì non pochi trasferimenti, anche perché i ragazzi non pagavano una retta e diventava veramente difficile far fronte alle spese di affitto dei locali. Fu solo nel 1863 che l’Istituto si insediò in quella che sarebbe diventata la sua sede definitiva di Corso Palestro: la direzione era già da tempo assunta da don Leonardo Murialdo. Quei ragazzi accolti nel Collegio continuavano ad essere chiamati gli “Artigianelli”, perché lì potevano imparare un mestiere e prepararsi a diventare provetti calzolai, fabbri, falegnami, e così via.

La vulcanica attività di don Cocchi, però, non si interruppe affatto. Nel 1852 don Giovanni Cocchi fondò un altro Oratorio, quello di San Martino in Borgo Dora. Nel 1853 istituì la Colonia agricola di Moncucco; nel 1868 aprì un Riformatorio a Chieri, in cui venivano accolti ragazzi difficili che avevano compiuto delitti, con l’intento di reintegrarli nel tessuto sociale. Dal 1883 al 1889 fu in Liguria, ad Albisola Superiore, come Rettore del Santuario della Pace: anche qui fondò un’altra Colonia agricola. Poi fu trasferito a Catanzaro, dove rimase fino al 1892 a dirigere il locale Seminario. Tornò infine in Piemonte, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita, fedele fino all’ultimo respiro al suo motto, “Tacciamo e facciamo”. Morì agli Artigianelli nel giorno di Natale del 1895.

Il Murialdo lo definì “un umile prete, povero di danaro, ricco solo di fede in Dio e di carità pei fratelli”. Dopo la riesumazione avvenuta nel Cimitero Generale di Torino, dal 13 Maggio 1917 suoi resti sono conservati nella Chiesa dell’Istituto, dedicata all’Immacolata.  La Chiesa non l’ha ancora fatto Santo. Ma dobbiamo riconoscere che sia stato un grande Uomo.

Sergio Donna

(continua)

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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