Ernest Erbstein, un grande mister per un Grande Torino
Per comprendere il carattere e la grandezza – come uomo e come tecnico – di Ernő (per tutti Ernest) Egri Erbstein, allenatore del Grande Torino, perito a Superga con la sua squadra il 4 maggio 1949, basta leggere qualche passo degli appunti che annotava a penna sui suoi diari.
Particolarmente significative sono ad esempio le indicazioni ed i suggerimenti che si premurò di fornire ai giocatori granata prima dell’ultimo derby disputato dal Grande Torino contro la Juve (poi vinto dagli Immortali per 1-0):
“Questa partita è anche una questione di nervi. Non lasciatevi innervosire, provocare, influenzare da niente. La vittoria è completa quando, non solo tecnicamente, ma anche come fair play, come condotta, calma e disciplina, si è superiori all’avversario. Loro vogliono correre, ma vogliamo correre anche noi”.
Altri tempi, altri giocatori, altri allenatori, ma che classe, che stile, che esempio! Ernő (Ernest) Egri Erbstein, allenatore di nazionalità ungherese, e con una lunga esperienza come giocatore di calcio a livello internazionale, fu chiamato ad allenare il FC Torino già nel 1938, ma poi, in quanto ebreo e ricercato dalla polizia fascista italiana, dovette abbandonare l’incarico.
Riuscì tuttavia a fuggire in Ungheria, dove però i tedeschi occupanti lo internarono in un campo di lavoro: Erbstein evitò così i campi di sterminio, ma gli anni di guerra furono per lui molto duri, e l’integrità sua personale, come quella della sua famiglia, fu messa seriamente alla prova. Dopo la guerra, venne richiamato ad allenare il Grande Torino dal presidente Ferruccio Novo.
Erbstein si rilevò un grande stratega, innovatore geniale del calcio dell’epoca ed è tutt’oggi considerato uno degli ideatori del football moderno. Il gioco del suo Torino era spiccatamente offensivo (Erbstein utilizzava la famosa WM – doppia vu-emme), con un’accurata preparazione fisica e atletica dei giocatori, un’attenta e rigorosa tattica che prevedeva tutti i più specifici movimenti e le azioni da eseguire in campo, e – non ultimo – uno straordinario affiatamento fra tutti i componenti della squadra. Tutti ingredienti che hanno creato il mito immortale degli Invincibili.