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“Esse ne pieuva”, ovvero essere una pioggia

Ecco alcuni tra i più curiosi modi di dire della lingua piemontese per definire le persone eccessivamente pedanti
 

Si sprecano, in piemontese come in italiano, i modi di dire popolari (alcuni anche molto coloriti) riservati ai puntigliosi  a oltranza, ai precisini oltre misura, ai perfettini esasperati. La precisione nello svolgere una missione, un compito o un lavoro sono una delle prerogative della cultura subalpina, e sono uno dei segreti dello straordinario sviluppo economico e industriale che il Piemonte ha registrato nel Novecento, con la creazione di decine aziende di fama internazionale, ma anche di centinaia di piccole bòite e officine specializzate nella produzione di componenti meccanici ad altissima precisione, di qualità incomparabile.

Quando però la ricerca della perfezione assoluta diventa un chiodo fisso, si trasforma prima o poi in un atteggiamento mentale, in un condizionamento, in un limite: insomma, in un’autentica patologia maniacale. Un atteggiamento che influisce su ogni azione quotidiana, che viene inevitabilmente percepito dai familiari, dai colleghi di lavoro e più in generale da coloro che stanno intorno a chi lo ostenta. E così, nei casi più bonari, si finisce per fare rilevare al soggetto il suo comportamento eccessivamente cavilloso, invitandolo a non esagerare. Nei casi più radicati e indisponenti di questo “vizietto”, i più finiscono per etichettare quella persona come decisamente insopportabile e dalla quale è bene stare alla larga.

Ma vediamo di proporre ai Lettori almeno qualcuno di questi appellativi o locuzioni, il cui registro varia dalle forme più ironiche, diremmo a bassa intensità di offesa, a quelle decisamente più caustiche e offensive, per quanto estremamente significative, perché come dicono a Roma, quanno ce vo’ ce vo’.

Il primo scalino della scala delle espressioni dedicate ai precisini è quasi un complimento, ed è, a mio avviso, una perla di sottile ironia: “savèj fé la barba a le mosche”. Si tratta di una tipica espressione che era diffusa nelle bòite: esprimeva la qualità ideale che si richiedeva ai giovani apprendisti. In officina bisognava realizzare piccoli capolavori senza pecca, anche nei più reconditi particolari, e se non si era dotati, era meglio cambiare mestiere.

Tra i livelli intermedi di questa crescente scala di epiteti, c’è ad esempio il termine “pistin”. Il vocabolo ha due significati: il “pistin” è il riso di scarto, quello composto da chicchi di riso scheggiati o spezzati, che generalmente veniva e ancora viene usato come mangime per il pollame. Ma qui a noi interessa l’altro significato del vocabolo “pistin”, quello che Camillo Brero nel suo Dizionario Piemontese-Italiano attribuisce ad una  “persona esageratamente precisa, sofistica, cavillosa o di eleganza ricercata”.

Saliamo poi di tono quando ricorriamo all’espressione “it ses pròpi na pieuva!”: l’eccesso di zelo può trasformare la persona che si rivela, appunto, zelante ad oltranza, in un soggetto noioso, insopportabile, in “una pioggia” appunto, ovvero “na pieuva”. C’è anche la variante “it ses na pieuva d’Agost!” che aggiunge alla precedente locuzione verbale una piccola dose di intensità critica: in effetti una pioggia d’Agosto è particolarmente sgradita, soprattutto se ci perseguita durante le nostre vacanze estive.

Saliamo ora ancora di qualche scalino nella scala della “pesantezza” dei modi di dire dedicati ai “precisini”: “Chiel-lì a l’é bon a divide na pùles an quatr!” Dividere una pulce in quattro parti non è un’impresa che tutti sono in grado di portare a termine: richiede un’attenzione particolare, una mano delicata, la capacità di maneggiare le lame con maestria e soprattutto tanta pazienza, e – forse – anche l’impiego di un microscopio. Di fatto è impossibile, ed è per questo che l’espressione ha valenza metaforica. Però bisogna dire che è estremamente caustico ed efficace.

E ancora: “cerché le pùles”, sempre in senso figurato ovviamente, significa andare alla ricerca delle minuzie, dell’estremamente piccolo, un atteggiamento tipico del “precisino” a oltranza, e quindi l’espressione “un ch’a va a cerché le pùles” si confà a quei soggetti che esagerano nel perfezionismo, o ‒ ancor peggio ‒ che vanno “a cercare le pulci” nelle cose altrui. Questa espressione si sposa a quella che suona come “cerché ël pèil ant l’euv”, di cui è molto nota anche la sua equivalente in Lingua italiana, e il cui significato è esplicito.

Davvero stupefacente, pittoresca ed esaustiva la ricchezza delle frasi idiomatiche della Lingua Piemontese! Chiudo l’articolo con una mia poesia sul tema della pignoleria (relativa, in questo caso, a coloro che sono sempre troppo severi nel giudicare gli scritti e l’operato altrui, e molto più tolleranti verso se stessi):

Alla ricerca del “pelo nell’uovo”: attività che riesce molto bene alle “pieuve” e ai “pistin”

Ironìa o pedantarìa? | Ironia o pedanteria?

Tròpa pedantarìa | Troppa pedanteria
buta ’d malinconìa: | mette malinconia:
mej quatr boro ’d grafìa | ben più della grafìa,
o un vers sensa ironìa? | trionfa l’ironia.

Chi a pòrta l’alegrìa | Chi porta l’allegria
a giuta l’empatìa: | aiuta l’empatia:
fote dl’ortografìa | gli error d’ortografia
dan nen malinconìa! | non dan malinconia!

E che ’nt la pàuta a nija | E dentro il fango anneghi
anche l’ortodossìa! | anche l’ortodossìa!
Tutun, bin ciàir a sia: | Però ben chiaro sia:
scrive basta ch’a sia | chi scrive senza regole

a cissa l’anarchìa: | fomenta l’anarchia:
tachevlo ’n pò a l’orija! | a un lobo se lo attacchi!
Però sensa ironìa… | Però senza ironia
l’é tut da campé via! | si getta tutto via!

(Sergio Donna)


Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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