I “Cìvich” di Torino: una storia lunga quanto quella della città
Scopriamo insieme alcuni curiosi e simpatici modi di dire piemontesi sui Vigili Urbani
I Vigili Urbani sono talmente integrati nel tessuto urbano e umano di una città, che non potremmo mai più fare a meno della loro presenza. Roma senza i suoi “Pizzardoni”, Milano senza i suoi“Ghisa”, e Torino senza i suoi “Cìvich” sarebbero città senza anima, anonime, senza quel tocco di umanità e di simpatia che le rende uniche, più amabili e più vivibili.
La figura del Vigile Urbano fa parte dell’immaginario collettivo degli abitanti di una città. Senza di lui, dominerebbe il caos. È una figura talmente familiare da costituire uno stereotipo della sicurezza pubblica, ma anche il dispensatore ideale di consigli, di informazioni e di saggezza. Non è un caso che proprio a Torino sia nata una curiosa locuzione verbale torinese legata ai Vigili Urbani: “Ciamje al Cìvich!”, ovvero: “Chiedilo al Vigile”. In realtà i nostri nonni la usavano quando i loro figlioli (i nostri genitori) diventavano troppo petulanti, e li tormentavano con una raffica sfrenata di domande a ripetizione. Ciò per un po’ veniva tollerato. Ma fino a un certo punto. Poi, con un’espressione mista di stizza ed ironia, invitavano il troppo curioso fanciullo a porre la questione al Vigile di quartiere. Certo, qui c’è un po’ di colore, un po’ di arguta filosofia, ma tanto basta per dimostrare quanto la figura del Cìvich fosse (come ancora lo è) innaturata nella vita quotidiana.
Un’altra locuzione tipicamente torinese e attinente ai vigili urbani era “barba cìvich“, ovvero: “lo zio vigile”. Avere uno zio vigile, o comunque un vigile in famiglia, nel Novecento era considerato un privilegio di cui essere orgogliosi. È probabile che qualcuno abbia un po’ esagerato nel vantarsene, parlando a destra e a manca di quel suo invidiabile rapporto parentale, al punto che l’espressione, diventata di dominio pubblico e quasi un tormentone, finì per essere estesa ad ogni vigile della città. La figura del vigile urbano, soprattutto del vigile di quartiere, conosciuto da tutti i residenti, s’identificò così con quella dell’ideale “zio” adottivo di ogni Torinese: lo zio vigile, ovvero – per l’appunto – “barba cìvich“.
Di altra genesi e di diverso significato è invece l’espressione “an barba al cìvich”. Qui il termine “barba” non sta più per “zio”: l’espressione è equivalente alla locuzione italiana “in barba a qualcuno”. Sta per “farla sotto il naso a…” o – se vogliamo – “sotto il mento a…”, cioè proprio… sotto la barba di qualcuno. Se poi quel qualcuno è un civich, allora significa che si è commessa qualche infrazione sotto gli occhi distratti di un vigile e, almeno per una volta, la si è fatta franca.
Sui civich sono nate naturalmente anche delle bonarie barzellette: “Ch’a më scusa, monsù cìvich: andova a l’é ch’i peuss trové na pension modesta?” E il civich: “All’INPS!”.
Certo, i Vigili possono anche essere uno spauracchio per gli automobilisti indisciplinati, ma – si sa – uno dei loro compiti è proprio quello di monitorare il rispetto del Codice della Strada, e la loro presenza sulle strade più trafficate è provvidenziale per prevenire incidenti e ingorghi. A questo proposito voglio ricordare un altro aforisma in Lingua piemontese sui Vigili Urbani: “Quand che ‘n Cìvich as gava ij guant / a stà për fete la multa: / a peul gavetla gnanca ’n Sant”.
Ma quanti anni ha il Corpo dei Vigili Urbani di Torino? Tanti, tantissimi. Certamente già ai tempi dell’Augusta Taurinorum, come in ogni altro castrum o città romana dell’impero, era attivo un corpo di vigiles urbani per assicurare la vigilanza notturna delle strade e proteggere la città dagli incendi, assicurare l’ordine pubblico e garantire l’integrità dei beni dei cittadini. Il Corpo, istituito da Augusto nel 6 d.C. e costituito principalmente da liberti, venne integrato nell’Esercito da Settimio Severo. La sola Roma, disponeva in origine di 600 vigiles: il Corpo venne poi accresciuto a ben 7.000 uomini, ripartiti in 7 Coorti milliarie militarizzate. Fatte le debite proporzioni, la minuscola Augusta Taurinorum è probabile che all’epoca disponesse di un esiguo manipolo di vigiles urbani, la cui Statio (Caserma o Posto di guardia) era forse posizionata in prossimità delle porte di accesso del castrum.
Senza entrare troppo nei particolari, lasciando semmai questa incombenza a storici e ricercatori professionisti, ci limitiamo a sintetizzare la gloriosa storia millenaria della nostra Polizia locale, ovvero dei “Civich” torinesi, ricordandone le principali tappe.
Nel 1360, Amedeo VI, il Conte Verde rivoluziona il piccolo Corpo delle Guardie Civiche (chiamate “Persone di Servizio”) allora inquadrato nell’Esercito, istituendo quello dei “Cavalleri dell’Ordine”, cui viene specificatamente attribuita la funzione di garantire il Servizio d’Ordine nella città. Un’ulteriore revisione delle funzioni delle Guardie Civiche si ha nel 1450, quando i Cavalleri dell’Ordine si trasformano in “Cavalieri dell’Urbe”, con funzioni civiche sempre più estese, comprese quella di Guardia Carceraria.
Nel 1576 nasce la figura del “Cavaliere di Virtù”, inquadrato tra i “Cavalieri dell’Urbe” con la specifica mansione di “vigilare sull’accattonaggio, sorvegliare le persone sospette e i vagabondi”. Nel 1600 viene istituita quella del “Cavaliere di Giustizia”, con funzioni analoghe a quella del “Cavaliere di Virtù”. Nel 1679, con un editto della duchessa Maria Giovanna Battista di Nemours, i “Cavalieri di Virtù” diventano “Cavalieri Politici”. Cambiano le denominazioni, ma non l’essenza degli incarichi, affidati comunque a un novero limitato vigili urbani.
Ulteriori cambiamenti nel Regolamento del Corpo delle Guardie Civiche si hanno per iniziativa di Vittorio Amedeo II, che dopo l’Assedio di Torino del 1706, diventa re di Sicilia e poi di Sardegna. Intanto, modifica la denominazione dei Cavalieri Politici, che diventa il Corpo dei “Cittadini per il Governo”, dopo aver pubblicamente loro riconosciuto il prezioso contributo militare svolto durante l’Assedio. Poi il Corpo viene insediato presso il Presidio delle Torri Palatine (al tempo adibite a Carcere) con la denominazione di “Guardie del Vicariato”. Nel 1791, le otto Guardie sono coinvolte nell’assalto da parte degli studenti universitari alle Torri Palatine: un attacco non dissimile da quello avvenuto a Parigi nel 1789 (Presa della Bastiglia), che fa temere al re un rovesciamento del regime.
Nel 1791, Vittorio Amedeo III scioglie il Corpo delle Guardie del Vicariato e istituisce quello delle “Guardie civiche”, cui vengono attribuite numerose mansioni di polizia locale.
Nel 1852 il Consiglio Comunale vara il nuovo Regolamento dei “Cìvich”: vengono istituiti nuovi mandamenti decentrati nella città: Po, Dora, Moncenisio, Monviso, Borgo Nuovo, cui seguirà quello di San Salvario e in altri quartieri periferici torinesi. Nel 1872 il Corpo risulta composto di 151 Cìvich, che salgono a 290 nel 1877, ripartiti in 22 Sezioni.
Nel 1938 il Corpo delle Guardie Civiche cambia di nuovo nome, che diventa “Corpo dei Vigili Urbani”, con un ulteriore ampliamento delle funzioni di competenza, compresi i Servizi annonari e particolari Servizi di informazione. Negli Anni Cinquanta del Novecento il corpo raggiunge le 1000 unità. A partire dal 1978 anche le donne vengono accolte nel Corpo.
Nel 1986 il Corpo dei Vigili Urbani assume la denominazione di “Polizia Municipale”, ai sensi
della Legge Quadro sull’ordinamento della Polizia Municipale n° 65/86.
La sfera di competenza dei compiti e dei servizi di cui la Polizia Municipale è stata fatta carico oggi tocca praticamente ogni aspetto dell’attività comunale. Cambiano le denominazioni, cambiano le epoche, ma ormai da secoli le nostre “Guardie Municipali” continuano ad essere chiamati “Vigili urbani” o semplicemente “Civich” dai Torinesi di antica generazione. Quella del Vigile urbano è una figura ultramillenaria, che è diventata per i cittadini un faro irrinunciabile di riferimento, che infonde sicurezza e simpatia. In ogni epoca i Civich hanno svolto il loro incarico di Guardia municipale con scrupolo e dedizione. Per questo sono entrati nell’immaginario collettivo: sarebbe inconcepibile una Torino senza i nostri Civich. E i Torinesi sono loro grati per il costante e assiduo servizio di vigilanza sulla collettività, garanzia di rispetto e osservanza delle regole di civile convivenza.
Sergio Donna