I Roch di Pianezza dove la leggenda vuole vivessero le ninfe e danzassero le fate
“Permettimi , o lettor mio torinese, di domandarti se tu sei mai stato ad Alpignano, a Pianezza, a Rivoli ed Avigliana, oppure a Mazzé, Caluso ed Ivrea. Se non hai mai fatto nessuna di queste passeggiate, t’invito a fare sollecitamente la più facile, la più breve, quella d’Alpignano, di Pianezza, di Avigliana, che puoi comodamente fare in una sola giornata, e senza che perciò tu pur ti debba alzare al mattino da letto più presto del consueto, se hai l’uso di dormir tardi. In Pianezza, appena entrato in paese, domanda alla prima persona che incontri, che ti additi dove è il Rocco. Ti porteranno in mezzo allo abitato, e là vedrai una pietraccia sterminata, un masso enorme giacente sul suolo, così enorme che ci sta sopra una chiesuola, cui si sale per una scala scavata nello stesso masso. Se giri un po’ fuori del paese trovi altri massi minori, ma sullo stesso stampo, giacenti sul suolo pei campi o sui crocicchi delle stradicciuole, variopinti per licheni verdicci e gialleggianti, e bruni pel lungo lavoro che l’aria e l’acqua vi han fatto sopra”. Michele Lessona, zoologo e divulgatore scientifico, così scriveva nel Milleottocento di Pianezza, che lo aveva evidentemente colpito per i numerosi massi erratici che in questo luogo si possono ancora oggi trovare.
Queste grandi pietre si sono staccate dai ghiacciai che iniziavano a ritirarsi alla fine dell’Era glaciale e si sono disposte in ordine del tutto casuale lungo le valli e le pianure di sbocco, dove inevitabilmente acqua e detriti sono passati, spesso lasciando segni indelebili, per questo sono state chiamate “erranti”. La querelle sulla loro origine è storia antica, ancora nel XVII secolo si discuteva se si trattasse del residuo di montagne oppure di costruzioni poste dall’uomo per utilizzi rituali o ancora per lo studio delle stelle e dei pianeti e si scomodava persino Noè con teorie del tutto assurde. Nel 1821, durante la “Piccola era glaciale”, il cui minimo si manifestò tra il 1790 e il 1830, l’ingegnere svizzero Ignaz Venetz ebbe un’intuizione: sui ghiacciai si formavano dei residui di materiale che plasmava colline, chiamate “morene”. Gli sembrò una certezza che anche le rocce che si trovavano più a valle fossero state portate dal ghiaccio e che ne fossero i resti, teoria che la comunità scientifica accolse appieno, tanto che ancora oggi si ritiene che sia una certezza.
Quelle rocce, disposte senza criterio, spesso enormi e dalle forme strane hanno da sempre colpito l’immaginazione popolare, si riteneva che fossero abitate da spiriti, come le ninfe, soprattutto se si trovavano vicino a un corso d’acqua, e più tardi ci si raccomandava di non avvicinarsi, soprattutto di notte, perché si potevano sorprendere le fate mentre stavano danzando e la sorte del malcapitato sarebbe stata segnata: nessuno l’avrebbe più veduto. Con il passare dei secoli le paure collettive si modificano e i massi erratici finiscono per essere chiamati “rocce delle streghe” o delle “masche”, in Piemonte; sovente hanno una connotazione negativa, ma può capitare che siano indicate come pietre di guarigione o dello “struscio”, come si chiamavano i luoghi dove le donne che desideravano avere un figlio si recavano, per sfregare la pancia sulla roccia, in un rito molto antico. La Pera Mòra (scura) di Pianezza, denominata anche Roch, roccia in piemontese o Masso Gastaldi, dal geologo Bartolomeo Gastaldi, pioniere degli studi sulla geomorfologia glaciale è davvero posta in mezzo alle case, si ritiene che fosse luogo di culto e di ritualità prepagana, tanto che vi si costruì sopra una cappella dedicata a San Michele Arcangelo, probabilmente per far cessare le cerimonie che non avevano nulla di cristiano. Il Roch misura 26 metri di lunghezza, 16 di larghezza e 14 in altezza e viene usato anche come palestra di roccia per l’arrampicata.
Nel 1245, in un atto notarile per la cessione di un terreno, viene citata per la prima volta la Pera Mòra, che avrà anche un momento di gloria più avanti, nel 1706, quando la leggenda racconta che Vittorio Amedeo II e il principe Eugenio di Savoia salirono sulla sua sommità per verificare la situazione delle truppe, dopo che erano riusciti a riprendere il castello di Pianezza, grazie a Maria Bricca, la Bricassa, giovane cuoca che abitava vicino al castello e che conosceva un passaggio segreto per entrarvi, informazione che le consentì di guidare un manipolo di uomini all’interno dell’edificio, diventando un’eroina. E poi ancora, durante la seconda guerra mondiale, sotto il masso venne costruito un rifugio antiaereo, tutt’ora esistente.
Come citava il Lessona, a Pianezza si possono trovare numerosi massi erratici, chiamati anche “trovanti”, uno di questi è il Roch d’le Masche che si trova vicino al Santuario di San Pancrazio, nella strada che da Pianezza porta a Druento. Qui la leggenda racconta di numerosi avvistamenti di fate e del Piccolo Popolo, che nelle notti di luna piena, danzavano vorticosamente attorno al masso (in realtà si tratta di più rocce ravvicinate, attualmente sovrastate dalla vegetazione) in attesa che qualche umano si avvicinasse, per poterlo trascinare nel cerchio magico e sfinirlo di troppa felicità. Anche verso san Gillio, paese adiacente a Pianezza, riposa un masso erratico, il più grande della zona, alla sinistra del lago Fontanej: si tratta del Masso della Grangia Nuova, e ancora, più vicino al lago Borgarino, si può visitare il Masso della Cascina delle Monache, più piccolo ma con incisioni preistoriche, 12 coppelle e 2 quadrati, che sono state studiate ripetutamente. Molti altri massi erratici della zona sono stati distrutti nel tempo, in particolare per produrre materiale da costruzione.
Chissà se le fate si sono offese, oppure se continuano a danzare attorno alle rocce sopravvissute? Ricordatevi che le leggende hanno sempre un fondo di verità e se non volete essere rapiti dagli spiriti della natura, forse è meglio evitare le passeggiate notturne in questi luoghi.
testo di Katia Bernacci
foto di Marino Olivieri