Il caso: sindrome di Sjögren, una malattia invisibile anche alla politica piemontese
Un gruppo di pazienti piemontesi, che soffrono di questa malattia infiammatoria cronica su base autoimmune, da due anni attende un colloquio con l’assessore regionale
TORINO. L’arcipelago delle malattie rare (MR) è sempre più vasto: secondo le più recenti statistiche sono circa 6.000-8.000. Tra queste vi sono malattie la cui incidenza è di poche migliaia che però le Istituzioni non considerano rare. È il caso, ad esempio, della Sindrome di Sjögren che in Italia interessa 13.000/16.000 persone (prevalentemente donne), anche in giovane età soprattutto tra i 20-30 e 40-50 anni. Descritta dal suo eponimo, l’oculista svedese Enrik Sjögren, è una patologia degenerativa, autoimmune sistemica ossia caratterizzata da infiammazione persistente a livello di più organi e la sintomatologia riguarda essenzialmente secchezza degli occhi, della bocca, della pelle, degli organi genitali e dell’esofago; ma al tempo stesso può interessare altri organi come pancreas, fegato, cuore, stomaco, gli apparati osteoarticolare e cardiovascolare. Inoltre può associarsi ad altre malattie come la sindrome fibromialgica, la tiroidite di Hashimoto, le vasculiti, il fenomeno di Reynaud, Les, la sclerodermia, il diabete, l’artrite reumatoide e, addirittura può degenerare in linfoma con una mortalità del 5-8%.
Le conseguenze nel tempo sono assai varie e in più casi consistono in uno stato invalidante di varia entità con notevoli ripercussioni psicologiche, oltre che socio-familiari per la mancata presa in carico del paziente con ulteriori risvolti economici e assistenziali. Unico sostegno, a parte la modesta esenzione di ticket sanitari per esami clinci e non per i farmaci, è l’Associazione Nazionale Italiana Sindrome di Sjögren (A.N.i.M.a.S.S.), presieduta dalla psicopedagogista Lucia Marotta (lei stessa è una paziente), che da anni si prodiga per il riconosciemento della “rarità” di questa malattia, interpellando istituzioni pubbliche e private ed esponenti della scienza medica di riferimento… e stilando il PDTA (percorso diagnostico terapeutico assistenziale) con gli esperti.
Nonostante la costante diffusione attraverso il coinvolgimento dei mass media, ed altre iniziative promozionali e di sensibilizzazione portando ovunque la voce di questi malati, la presidente Marotta non sa più a che santo votarsi, avendo anche varcato più volte la soglia dei ministeri e di assessorati di più Regioni, ripetendo: «È una malattia “invisibile” e per questo paga più delle altre malattie rare lo scotto della invisibilità… Nonostante le nostre battaglie questa è rimasta una malattia orfana e, anche per questo, abbiamo voluto investire il nostro problema anche in un cortometraggio al fine di poter avere quella visibilità di cui si ha bisogno, ma anche per scuotere l’opinione pubblica». Una realtà che ha bisogno di essere recepita da molte Regioni, che sembrano essere “sorde” tanto da non ascoltare minimamente questi malati.
È il caso, ad esempio, di alcune pazienti del Piemonte che da quasi due anni tentano invano di avere un colloquio con l’assessore alla Tutela della Salute il quale, nonostante la richiesta formale per iscritto e vari solleciti da parte di un gruppo di loro, continua a disattendere senza dare un minimo di riscontro. Un “malcostume” dal punto di vista delle pubbliche relazioni, e soprattutto lesivo alla dignità di queste cittadine che, peraltro, sono ora intenzionate ad agire attraverso le vie più idonee pur di ottenere il rispetto di un diritto in quanto malate, in quanto Persone. «Anche se l’assessore non è tenuto a darci udienza – osservano le firmatarie della richiesta di incontro – lo stesso è tenuto a demandare ad un suo collaboratore, al quale esporre le nostre istanze che, se non ascoltate ed eluse, lo sconforto non potrà che aggravare le nostre già precarie condizioni di salute». È evidente che non si tratta solo di trasparenza da parte dell’Istituzione regionale verso queste cittadine-pazienti, ma anche di attuare il cosiddetto senso civico e responsabile, che non deve però essere “pietas”, in questo caso decisamente fuori luogo.