Il Gelindo e la “Divota Cumedia”: la fiaba piemontese sul Natale
«Bona sira cari siuri, andiamo a presentare una stupenda storia
dove del Gilindu ancor si fa memoria:
pastor del Monferrato, con imperiale editto
d’andare in Palestina gli venne un dì prescritto.
A Betlem di Giudea dovette allora andare
Al grande censimento per farsi registrare.
Ma prima di partire alla moglie consiglia
Come doveva fare a vegliar sulla famiglia».
Entra in scena con questa frase, il Gelindo, “vecchio pastore con un cappellaccio in capo, braje mutte, giacca rossastra, con un agnello disposto torno torno il collo e legato davanti sul petto nelle quattro zampe“, come lo descrive Renier nel suo «Il Gelindo», il suo nome già di per sé è un’istituzione, tanto da ritrovarlo, ancora oggi, in numerosissime espressioni popolari conosciute in buona parte del Piemonte: «ven Glind», per indicare il ritorno del Natale, o, tra le tante, «tì sés com Glind», anche detto semplicemente «Glind», che è un modo “articolato” per indicare una persona semplice, non sveglissima.
Ingenuo pezzo da presepe e figura di bonaccione, Gelindo è il difensore degli usi antichi, l’estimatore della saggezza proverbiale per definizione. Dalla barba fluente e sempre munito di bastone, su cui spesso si poggia col mento sopra le mani sovrapposte, Gelindo è immediatamente riconoscibile, sempre seguito dal suo gregge di pecore, simbolo del suo essere “pastore” per antonomasia; ma di chi stiamo parlando, precisamente? Questo tradizionalista brontolone non è niente meno che il protagonista di una piece teatrale estremamente famosa nel panorama letterario dell’Ottocento Piemontese, la “Divota Cumedia”, che ancora oggi viene rappresentata e riunisce attorno a sé gli abitanti della città di Alessandria. La storia è semplice: narra le vicende di un pastore che vive la straordinaria avventura con l’incontro di Gesù, Maria e Giuseppe, in cammino per rispondere al censimento dell’imperatore Ottaviano. Qui, il nostro protagonista dal cuore d’oro, arrivato dal Monferrato a Betlemme, aiuterà la sacra famiglia a trovare alloggio presso la famosa grotta; sarà proprio lui il primo a visitare il neonato Gesù!
Una “sacra rappresentazione” in lingua piemontese tra “serio e il faceto” propria del periodo natalizio e dalla storia invero antica: se l’origine del personaggio del Gelindo è da ricercarsi nel Monferrato, gli studiosi concordano nel collegare la sua tradizione a quella del teatro medievale in area franco-piemontese, dove possiamo trovarne radici nei Mysteres e nei presepi viventi di francescana memoria. Del Gelindo parlarono Costantino Nigra e Delfino Orsi ne «Il Natale in Canavese», nel 1894, mentre è del 1896 il saggio di Renier, ottenuto confrontando una versione alessandrina del 1893 e una monferrina del 1842. Ne parlarono anche Roberto Leydi e Umberto Eco, nel saggio «Gelindo ritorna: il Natale in Piemonte. Documenti e ricerche di etnologia europea», strumento che consiglio come indispensabile per indagare a fondo questa figura della tradizione piemontese.
Questo suggestivo spettacolo teatrale è andato in scena per la prima volta nel Natale del 1924; ed ancora oggi viene riproposto, con alle volte una decina di repliche che si susseguono nello stesso periodo fino all’Epifania.
Un racconto, quello del Gelindo, quasi una favola, ma con un preciso scopo: essere satira dei mali che colpiscono, o, meglio, colpivano, la città di Alessandria, e ad esser presi di mira erano, ovviamente, l’amministrazione e il suo stuolo di uomini politici.
Il Gelindo torna quest’anno a farsi sentire dal vivo; dopo la pausa del 2020 causata dal Coronavirus, la Businà torna sul palcoscenico. Tutti gli spettacoli si terranno al Teatro San Francesco di Alessandria, in via San Francesco 15, ad Alessandria, e gli spettacoli si terranno il 25 e il 26 dicembre alle 21, il 5, il 6 e l’8 gennaio, sempre alle 21. Una buona occasione per scoprire, in lingua, una tradizione natalizia tutta piemontese.
Mirco Spadaro