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Al Collegio San Giuseppe di Torino una mostra sul ritratto nel Novecento piemontese

Si è conclusa da pochi giorni, negli spazi espositivi del Collegio San Giuseppe di Torino, istituto scolastico di ispirazione cattolica diretto dai Fratelli delle Scuole Cristiane, l’interessante mostra d’arte dedicata a “Il ritratto nel ‘900 piemontese”, che ha radunato una sessantina di opere, tra pittura e scultura, realizzate da 33 artisti diversi.

“Il farmacista”, opera di Evangelina Alciati.

Curata da Donatella Taverna, in collaborazione con Alfredo Centra e Francesco De Caria, la mostra ha posto al centro dell’attenzione il tema del ritratto nell’arte, inteso non soltanto come semplice rappresentazione delle fattezze d’un volto, effettuata con il disegno, la pittura, la scultura o , in tempi più recenti, con la fotografia, ma anche come percorso di indagine sulla personalità umana, capace di scandagliarne l’interiorità profonda, e, in ultima analisi, di riflessione sul destino dell’uomo, sempre più minacciato nella percezione di se stesso da una concezione materialistica e tecnicistica del mondo, slegata dalla dimensione spirituale e religiosa.

Ritratto di Guido Gozzano, opera di Alda Besso.

Come annota Francesco De Caria, nel corso della storia la funzione attribuita al ritratto è mutata seconda dei periodi e delle civiltà. Presso gli antichi Egizi, ad esempio, era radicata la credenza che la sopravvivenza del defunto nel Regno d’Occidente (cioè il regno dei morti) fosse impossibile senza la preservazione dell’integrità fisica della persona, ottenuta con la pratica della mummificazione e anche con la riproduzione pittorica del volto sul coperchio del sarcofago. La perpetuazione delle sembianze della persona, anche attraverso il ritratto, diveniva quindi un modo per garantirne l’immortalità.

“Aurelia” di Stefano Borelli.

Presso i Romani, che appresero quest’arte dai Greci e dagli Etruschi, il ritratto nasce in ambito domestico, strettamente legato alla sfera privata, ai valori famigliari e al culto degli antenati, ma mentre il ritratto etrusco tendeva a prolungare idealmente la vita oltre la morte, quello romano, per lo meno in età repubblicana, appariva rivolto all’indietro, al passato, rappresentando nell’immagine del volto il tempo vissuto e le esperienze compiute, volte a celebrare le virtù morali della persona, quasi a voler leggere nei caratteri fisionomici i tratti biografici essenziali e i traguardi raggiunti.

“Fratel Amerigo” di Mario Caffaro Rore.

Ecco che, dunque, la somiglianza fisica non è l’unico criterio adottabile per valutare il ritratto d’arte, ma intervengono nel giudizio una pluralità di fattori, legati al temperamento della persona, al suo status sociale, alle predominanti doti morali, al ruolo professionale svolto in vita o alle grandi imprese compiute, che possono rispecchiarsi nella rappresentazione del personaggio, consegnando ai posteri un’immagine di lui molto più ampia e significativa di quella derivante dalla mera riproduzione dei lineamenti fisici,  come in una sorta di “testamento morale”.

Il limite estremo è forse quello raggiunto dal movimento futurista, che concepiva la somiglianza con il modello come un vincolo da superare, un “fastidioso relitto di ordine accademico”.

“Ritratto dell’amico De Chirico” di Romano Gazzera.

Nella carrellata di autori, pittori e scultori, selezionati nella mostra torinese, si ritrova un’ampia panoramica della ritrattistica piemontese del Novecento, che ci trasmette l’idea di un genere artistico in continuo mutamento, ma mai tramontato.

Attingendo al vasto campionario di opere esposte, vi presentiamo qui una piccola selezione, corredata da immagini. Cominciamo con “Il farmacista”, opera di Evangelina Alciati (1883-1959), allieva di illustri maestri dell’Accademia Albertina torinese, soprattutto Giacomo Grosso, che nel tratteggiare i ritratti dei suoi personaggi offre una descrizione nitida e particolareggiata dell’ambiente culturale e sociale in cui essi si collocano e che contribuisce a definirne la personalità, non tralasciando una certa dose di ironia nell’interpretarli.

“Autoritratto” di Gigi Morbelli.

E’ invece il celebre poeta crepuscolare Guido Gozzano ad essere protagonista del ritratto realizzato da Alda Besso (1906-1992), di natali genovesi, ma trasferitasi da bambina a Torino. Nelle sue opere troviamo una lettura dei personaggi fortemente condizionata da colori dominanti, che l’autrice associa ai suoi modelli, accostandoli spesso a un oggetto, una pianta, un fiore, che suggeriscono, a suo giudizio, una somiglianza.   

Nell’”Aurelia”, busto in marmo dedicato alla figlia, il monregalese Stefano Borelli (1894-1962), autore, in una prima fase della sua carriera, di numerose opere scultoree di carattere celebrativo, tra cui monumenti funerari e civili, traspare la particolare sensibilità dell’autore nel leggere la realtà e nel rapportarsi all’altro, in questo caso la tenerezza e la benevolenza con cui osserva il mondo e in particolare le persone a lui care.

“Ritratto di giovinetto” di Luigi Onetti.

Mario Caffaro Rore (1910-2001), divenuto popolare come autore di opere pittoriche religiose di dimensioni monumentali, di cui si trovano parecchi esempi negli istituti lasalliani e salesiani, segue nell’esecuzione dei ritratti una “vena classica e composta”, mettendo in luce una profonda sensibilità religiosa, che si evidenzia con chiarezza nell’opera “fratel Amerigo”.  

Di Romano Gazzera (1906-1985) ammiriamo un “Ritratto dell’amico De Chirico”, oltre ad un “Autoritratto”, in cui l’autore, non potendo essere oggettivo, rende soprattutto il “sentire di sé”, il modo con cui si percepisce in rapporto alla realtà. La fama di Gazzera è dovuta soprattutto alla serie di ritratti, con venature fortemente caricaturali, di ministri e personalità dell’esercito, rappresentati con tratti deformi, fino ad assumere sembianze animalesche, di scimmie in particolare. In queste opere la parte “realistica” è limitata all’abbigliamento, con le uniformi militari, le onorificenze esibite, le medaglie apposte sul petto, le insegne e gli emblemi del potere e delle cariche rivestite.

“Elisa” di Luigi Rigorini.

L’Autoritratto di Gigi Morbelli (1900-1980), nativo di Orsara Bormida, rivela una venatura ironica, accompagnata da una certa concretezza narrativa, anche se l’autore, formatosi all’Accademia Albertina di Torino, esprime in gran parte della sua produzione una solida formazione rinascimentale e classica.

Le ultime due opere che vi proponiamo sono il “Ritratto di giovinetto” dipinto dal monferrino Luigi Onetti (1876-1968), che manifesta nella resa dei volti una notevole profondità spirituale e capacità di introspezione psicologica, unita a sensibilità umana e sociale, e “Elisa” del torinese Luigi Rigorini (1879-1956), che nella sua indagine pittorica mostra un solido sentimento religioso, capace di plasmare gli sguardi dei personaggi non solo nella produzione a tema sacro, ma anche in quella profana, facendo inoltre ricorso a tecniche molto raffinate, con rimandi all’Antichità classica e biblica e all’iconografia rinascimentale e barocca. 

Paolo Barosso

Giornalista pubblicista, laureato in giurisprudenza, si occupa da anni di uffici stampa legati al settore culturale e all’ambito dell’enogastronomia. Collabora e ha collaborato, scrivendo di curiosità storiche e culturali legate al Piemonte, con testate e siti internet tra cui piemontenews.it, torinocuriosa.it e Il Torinese, oltre che con il mensile cartaceo “Panorami”. Sul blog kiteinnepal cura una rubrica dedicata al Piemonte che viene tradotta in lingua piemontese ed è tra i promotori del progetto piemonteis.org.

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