Il Santuario di Re in valle Vigezzo e il culto della Madonna del Sangue
Percorrendola con la Vigezzina, il famoso trenino blu a scartamento ridotto che dal 1923 collega Domodossola a Locarno (sul versante svizzero la linea si chiama “Centovallina”), la Valle Vigezzo, situata nel Piemonte settentrionale, appare realmente come la “valle dei pittori”, immortalata per la bellezza dei paesaggi da artisti del calibro di Giacomo Rossetti, Enrico Cavalli, Carlo Fornara.
Lasciata Santa Maria Maggiore, centro principale della valle, ci si dirige verso il confine con il Canton Ticino e, prima di giungervi, lo sguardo rimane colpito dalla maestosa cupola del Santuario-Basilica di Re, con le sue curiose linee bizantineggianti (il progettista della chiesa basilicale, Edoardo Collamarini, scrive nel 1913 di aver concepito l’edificio sulla base del “più solido ed elegante tipo chiesastico, ch’è il bizantino“).
Il santuario di Re, detto anche della Madonna del Sangue in quanto vi si venera l’effigie mariana protagonista di fatti prodigiosi, è composto da due distinti edifici, differenti per epoca di costruzione e linee stilistiche: la chiesa santuariale, risalente al principio del Seicento, e la Basilica, edificata in tempi più recenti, tra il 1922 e il 1958, e insignita del titolo di Basilica Minore.
Il Santuario seicentesco venne edificato nel luogo in cui nel 1494 un uomo, forse adirato per aver perso al gioco tradizionale della “piodella”, scagliò una pietra contro l’immagine della Madonna del Latte, affrescata nel tardo XIV secolo da pittore anonimo sotto il portico dell’antica parrocchiale dedicata a San Maurizio, comandante della Legione Tebea martirizzato alla fine del IV secolo e venerato in tutto l’arco alpino occidentale. Dall’effigie mariana sgorgò sangue per circa venti giorni, fatto documentato in una pergamena firmata dal podestà della valle, Crespi, e da quattro notai, che certificarono l’accaduto. Tale fu l’eco del fatto prodigioso che anche il successore del podestà Crespi, tale Angelo Romano, si convertì alla vista delle tracce di sangue ancora presenti sull’immagine.
La dinamica dell’accaduto, che alimentò in Piemonte un florilegio di culti della Madonna del Sangue, è simile ai fatti documentati nello stesso periodo (tra tardo Medioevo e prima età moderna) in altre zone del territorio: la figura del sacrilego che sfregia immagini sacre provocandone il sanguinamento o la lacrimazione (ad esempio giocatori colti da ira per la sconfitta al gioco o cacciatori distratti) e alimentando così la devozione popolare verso di esse è uno schema ricorrente nelle narrazioni riguardanti la fondazione di molti santuari europei.
Basti pensare, ad esempio, al Santuario della Madonna di Vico nei pressi di Mondovì, sorto attorno ad un antico pilone la cui effigie mariana venne accidentalmente colpita nel 1592 da un’archibugiata sanguinando diffusamente e attirando in seguito flussi crescenti di pellegrini. Celebre è anche il caso della Madonna dello Schiaffo a Vercelli, attorno a cui per intervento dei duchi di Savoia si formò un vero e proprio culto. Nel 1575 una statua della Vergine (risalente al XIII secolo e ricavata da un unico pezzo di marmo bianchissimo), ora conservata in Cattedrale, venne “schiaffeggiata” da un “iconoclasta e giocatore” e, di seguito al fatto, si produssero una serie di segni prodigiosi: la mano del sacrilego, poi condannato dalla giustizia sabauda, sanguinò, mentre sul volto della Vergine si formò un livido scuro, tuttora ben visibile.
Sull’altare maggiore della chiesa seicentesca incorporata nel complesso santuariale di Re è oggi possibile ammirare l’affresco trecentesco della Madonna del Latte, mentre sul retro è conservata un’ampolla, esposta ai fedeli solo in ricorrenze speciali, che contiene porzioni del sangue prodigiosamente sgorgato dall’immagine e pezzi di stoffa intrisi dello stesso.