Il torrone alla piemontese tra radici storiche e modernità
Il torrone alla piemontese deriva la propria peculiarità dall’utilizzo nell’impasto delle nocciole Piemonte IGP (Indicazione Geografica Protetta), varietà Tonda Gentile delle Langhe, in luogo delle mandorle. L’origine di questa variante, destinata a trasformarsi nella specificità che contraddistingue il nostro torrone, viene fatta risalire al talento creativo di Giuseppe Sebaste (1863-1946), fondatore dell’omonima azienda con sede a Grinzane Cavour, che nel 1885, reduce da un’esperienza come garzone in una nota pasticceria albese, mise a frutto le competenze acquisite mettendosi a produrre in proprio il torrone e sostituendo le mandorle, troppo costose, con le nocciole che crescevano in abbondanza sulle colline circostanti. A forza di sperimentazioni, Giuseppe Sebaste codificò la “dose magica”, individuando la giusta combinazione degli ingredienti del torrone, albume d’uovo, miele e zucchero, cui si aggiungevano le nocciole tostate delle Langhe.
L’origine del torrone, in piemontese chiamato “toron”, la cui preparazione era in origine appannaggio degli speziali, poi di fornai e pasticceri, è dibattuta fra gli studiosi: i linguisti fanno derivare il termine dallo spagnolo “turròn”, ricalcato sul verbo “turrar”, cioè arrostire o abbrustolire, e dal latino “torrere” nel significato di tostare, in relazione alla tostatura delle mandorle (intere o frantumate) e delle nocciole. La tradizione cremonese rivendica a sé i natali del torrone, basandosi su una pubblicazione edita nel 1914 che fissava la nascita del prodotto nell’ottobre 1441 quando il primo esemplare di questo dolce, modellato per riprodurre nella forma l’altissimo campanile della cattedrale, chiamato il Torrazzo, avrebbe fatto la sua apparizione in città sulla tavola nuziale di Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti. In realtà, se s’intende il torrone come prodotto alimentare derivante dall’utilizzo di semi o frutta secca tostata – mandorle, pistacchi, noci, pinoli, a seconda delle disponibilità e delle tradizioni – legati tra loro da una pasta dolce a base di miele, albume d’uovo e zucchero, dobbiamo concludere che questa tipologia dolciaria, con le sue declinazioni locali, è presente in diverse regioni d’Europa. In Provenza questo prodotto è chiamato “nougat”, termine ricalcato sul latino “nucatum”, riferito all’impiego delle noci, che qui venivano inserite nell’impasto al posto delle mandorle prima che la coltivazione di queste ultime si diffondesse, nel corso del Seicento, nella Francia meridionale. Oggi il torrone di Montélimar, considerato il migliore della regione provenzale, è prodotto con miele di lavanda, cotto a “bagno maria”, albume d’uovo, zucchero, mandorle e pistacchi.
Un altro termine con cui in Sicilia è denominato il torrone, in cui compaiono mandorle e sesamo (in proporzioni variabili a seconda delle zone), è “cubbàita”, mutuato dall’arabo “qubbaita”, nel significato di “dolce” e più specificamente di “dolce mandorlato”, cioè a base di mandorle, seme commestibile della pianta originaria dell’Asia Minore importata nell’isola dai Fenici. Anche in Piemonte, in Lombardia, nel Ponente ligure e altrove, esistono vocaboli ricalcati su questa radice linguistica, adoperati per designare specialità appartenenti alla tipologia dei “dolci croccanti” (come il torrone) e che impiegano nell’impasto miele, in funzione di dolcificante (in sostituzione dello zucchero o in aggiunta ad esso) e di legante, e frutta secca “a guscio” (mandorle, nocciole, noci, sesamo, pistacchi). Nel Monregalese è tradizione produrre le “copète”, composte da un impasto a base di nocciole e/o noci tostate e cotte nel miele, racchiuso tra due sottili cialde o dischi del diametro di 10 centimetri, mentre nel Tortonese si preparano per la ricorrenza di sant’Antonio Abate le coppette di Sant’Antonio, formate da due cialde tipo wafer ripiene di noci caramellate nel miele.
Aldo Paolo Rossi, docente di Storia della Scienza, segue un altro filone etimologico, ricordandoci la “cuppedo”, prelibatezza a base di semi oleosi, miele e albume, menzionata da Marco Terenzio Varrone, noto come il Reatino perché nato in alta Sabina, nelle “Satyre Menippeae” (I secolo a.C.) e attribuita ai Sanniti, ma anche in altre fonti latine vi sono descrizioni di prodotti dolciari a base di miele e frutta secca considerabili come antesignani del moderno torrone. Nel “De re coquinaria” di Apicio si cita il ”nucatum”, dolce a base di noci, miele e albume d’uovo, da cui sarebbe derivato il torrone provenzale, chiamato “nougat”, mentre nel XV libro dell’”Historia Naturalis” di Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) troviamo un passo che riguarda il Piemonte perché si riferisce a una specialità tipica dei Celti Taurini, insediati nell’area torinese e nella fascia pedemontana occidentale. Nel testo si legge: “in melle decoctus nucleos (pineos) Taurini aquicelus vocant”, descrizione di un prodotto locale ottenuto facendo cuocere i pinoli nel miele. L’aquicelus, questo il nome della specialità attribuita da Plinio ai Taurini, può essere quindi considerato il lontano progenitore dell’odierno torrone alla piemontese, prodotto però oggi con le nocciole e non con i pinoli.
Proiettandoci di nuovo in avanti nel tempo e tornando nella seconda metà dell’Ottocento, questo è il periodo in cui nacquero in Piemonte le più prestigiose aziende produttrici di torrone: oltre al già menzionato Giuseppe Sebaste, indicato dalla tradizione come il vero artefice della peculiarità del torrone con le nocciole, nel 1883 Melchiorre Barbero fondò a Mombercelli nell’Astigiano la ditta oggi conosciuta come “D. Barbero Torroneria Cioccolateria”. Come si evince dal sito aziendale l’avventura imprenditoriale della famiglia nel settore alimentare iniziò ancora prima, nel 1838, quando il padre di Melchiorre, Filippo Barbero, risultava già registrato nei documenti dell’archivio comunale di Mombercelli come esercente la professione di confetturiere e “prestinaio”, ovverosia panettiere, ma anche fornaio produttore di torte, torrone, torcetti e noisettes. Date significative sono poi il 1913, con il trasferimento dell’azienda da Mombercelli al centro di Asti, e il 1953, quando Davide Barbero decise d’insediare la produzione in via Brofferio 84, dove tuttora la troviamo, nella vecchia sede della fabbrica di biciclette Gerbi (la moglie di Davide, Paola, era figlia del ciclista Giovanni Gerbi, soprannominato il “Diavolo Rosso”).
Nocciole Piemonte IGP al 51%, miele millefiori con alta percentuale di acacia, zucchero, albume fresco d’uovo e vaniglia naturale: questo il mix di ingredienti che dà origine al “torrone d’Asti”, esclusivamente di tipo duro o friabile. Il procedimento di lavorazione prevede la cottura dell’impasto “bianco”, formato da albume d’uovo, miele e zucchero, che rappresenta il 49% del totale, all’interno di “torroniere” in rame. La lentezza della cottura, prolungata per circa 7 ore e supervisionata dall’occhio attento del “maestro torronaio”, serve ad evitare la “bruciatura” degli aromi, preservando la purezza del sapore (il torrone nella versione morbida, d’origine più recente, si ottiene riducendo i tempi della cottura). Una volta terminata la cottura e aggiunte le nocciole tostate, si procede, rigorosamente a mano (per mantenere la “friabilità” del prodotto), spolverando l’impasto di amido di mais e disponendolo successivamente, con il ricorso a “remi” di legno, dentro appositi stampi in faggio, con i bordi rivestiti della caratteristica “ostia” volta ad evitare l’incollatura. Di seguito, si esegue il taglio per ottenere le “Torronfette® ”, nate alla fine degli anni Cinquanta come sfrido di lavorazione, poi brevettate e oggi ascese a prodotto di punta dell’azienda D. Barbero.
Parametri per valutare la qualità di un torrone artigianale sono la percentuale di frutta secca rispetto alla massa (maggiore è la presenza di mandorle, nocciole, noci, più alta è la qualità del prodotto), l’utilizzo del miele in maggior quantità rispetto allo zucchero e l’impiego nell’impasto di albume d’uovo e non di gelatine alimentari, queste ultime normalmente utilizzate nelle produzioni industriali perché, oltre ad essere meno costose, consentono di accorciare i tempi di lavorazione e di aumentare la conservabilità del prodotto all’aperto.
Ci spostiamo infine nell’Alto Monferrato, nel paese di Visone, alle porte di Acqui Terme, per trovare il decano degli artigiani del torrone alla piemontese. Il pluripremiato Giovanni Verdese, giunto alla soglia dei novant’anni, prosegue l’attività nella sua bottega che reca nell’insegna, Canelin, il soprannome del bisnonno, Paolo Porta, iniziatore dell’impresa di famiglia nel 1864. La lavorazione del prodotto inizia ogni giorno alle sei della mattina, con la cottura che prosegue per oltre sei ore e, quando l’impasto arriva alla giusta consistenza, l’aggiunta delle nocciole tostate. Di seguito si provvede a rovesciarlo sul tavolo di marmo e a schiacciarlo negli stampi di legno: con l’impasto ancora tiepido si esegue poi il taglio nelle varie pezzature. Dopo un’intera notte in cui il prodotto è lasciato raffreddare, il risultato è un torrone “d’incredibile friabilità”, caratterizzato da un sapore dolce che non appare invasivo o stucchevole, ma bilanciato in modo armonico con le note tostate delle nocciole. Altissima è la percentuale di nocciole Piemonte IGP, che si aggira attorno al 65/70% del totale, mentre l’impasto bianco è costituito dai tradizionali ingredienti, selezionati con estrema attenzione alla qualità: miele, normalmente d’acacia, ma sostituibile alla bisogna con il millefiori, zucchero di canna bianco, albume d’uovo e vaniglia, spezia che, dosata al punto giusto, conferisce al torrone di Canelin il suo inconfondibile profumo.
(tutte le foto, ad esclusione dell’ultima, sono state fornite dall’azienda astigiana D. Barbero di Asti)