La Chiesa di San Rocco in Via San Francesco d’Assisi a Torino e quella statua di Sant’ Espedito in una nicchia della facciata
TORINO. Non c’è paese del Piemonte, o quasi, in cui non si trovi una chiesa dedicata a San Rocco, uno dei santi più popolari della tradizione cristiana. La devozione a questo santo, e la concentrazione di così tante chiese e cappelle a lui dedicate, registra il massimo picco in quel vasto territorio che va dalla Provenza alla Pianura Padana, e giù fino a Roma, coprendo tutte le regioni di cultura occitana, franco-provenzale, piemontese, nonché quelle dell’Italia centrale e appenninica. Ma questo, perché? Presto spiegato. Questo Santo, nativo di Mompellier, nel Sud della Francia, appena ventenne − nel 1367 (o 1368) – decise di intraprendere un pellegrinaggio dal Midi della Francia verso Roma lungo la Via Francigena. Nel corso del viaggio, un angelo gli apparve, invitandolo a prestare soccorso agli appestati. La peste in quegli anni infuriava in Europa, seminando migliaia e migliaia di vittime. Così Rocco si fermava a seppellire i cadaveri degli appestati abbandonati. Oppure, incurante del contagio, ogni qualvolta incontrava un malato, gli prestava cure e conforto, e toccandolo con la sua taumaturgica mano, lo guariva all’istante.
Nel viaggio di ritorno a Mompellier, dopo tre anni di permanenza a Roma, Rocco fu a sua volta contagiato dalla peste, nei pressi di Piacenza. Si relegò allora in una grotta presso il fiume Trebbia per non diffondere, suo malgrado, il morbo pestifero.
Le antiche agiografie narrano che un cane (sempre presente accanto al santo nelle raffigurazioni pittoriche o scultorie che lo ritraggono), durante la sua relegazione nella grotta, provvedesse ogni giorno a portargli un pezzo di pane sottratto alla mensa del suo padrone e signore del luogo.
Detto questo, anche Torino, più volte toccata dal morbo, non poteva non dedicare a San Rocco una chiesa. È in Via San Francesco d’Assisi, quasi all’angolo con Via Garibaldi.
Nel 1598 si registrarono a Torino alcuni casi di peste, e poiché il numero degli ammalati andava via via crescendo, era evidente che si stava diffondendo in città una nuova grave pestilenza. Trentacinque componenti della Confraternita di Santa Croce pensarono allora di dedicarsi alla cura e al conforto spirituale dei malati e alla sepoltura dei cadaveri abbandonati nelle contrade della città.
Ottennero così dall’arcivescovo Carlo Broglia il consenso per la costituzione della Confraternita di San Rocco, Morte e Orazione, con la facoltà di officiare presso la Cappella della Madonna delle Grazie nella Parrocchiale di San Gregorio, che si trovava all’angolo tra la Via Dora Grossa (attuale Via Garibaldi) e la Via Genova (attuale Via San Francesco d’Assisi), dirimpetto alla Torre Civica.
Nel 1617, vennero demolite sia l’originaria chiesa, sia la citata cappella, per costruire un più accogliente edificio di culto; i lavori vennero compiuti su progetto dell’ingegnere ducale Carlo di Castellamonte.
Questo nuovo edificio religioso aveva un’unica facciata, ma all’interno la struttura era separata da un muro longitudinale, con due distinte porte d’ingresso, che rispettivamente introducevano i fedeli, da un lato, all’altare della Madonna delle Grazie, e dall’altro, a quello di San Gregorio; nello spazio tra una porta e l’altra, quasi sicuramente, era già presente una statua di San Rocco.
Nel 1662, le due chiese gemelle subirono un altro radicale intervento. Con l’acquisizione di un vicino stabile, già appartenente al conte Vittorio Baratta, le due chiese furono sostituite da un unico più arioso edificio, su progetto dell’architetto Francesco Lanfranchi, egli stesso membro della Confraternita di San Rocco, coadiuvato dal figlio Carlo Emanuele. La facciata che si sarebbe dovuta realizzare in tempo breve, per vari motivi, venne ultimata oltre un secolo dopo. Nella chiesa si conserva una reliquia di San Rocco, proveniente da Arles, che la Confraternita aveva ottenuto fin dal 1620: la preziosa teca che la accoglie venne donata da Madama Cristina.
Nel 1717 venne realizzato un Altare Maggiore ligneo, a cura del “minusiere” Antonio Casanova, su disegno di Francesco Crotti, poi ricostruito in marmo nel 1755 da Bernardo Vittone.
La facciata attuale risale al 1890, data in cui venne portato a termine un ulteriore rifacimento esterno dell’edificio di culto. Come molti altri edifici religiosi torinesi, anche la Chiesa della Confraternita di San Rocco subì nel corso della Seconda Guerra Mondiale ingenti danni, che vennero ripristinati negli anni successivi al conflitto.
Prima di concludere questo articolo, vorrei soffermarmi ancora un attimo su una delle due statue accolte nelle nicchie della facciata della chiesa. Mi riferisco alla statua dedicata a Sant’Espedito.
Questo Santo, non troppo conosciuto in Piemonte, è invece molto venerato al Sud, soprattutto in Sicilia (è patrono, ad esempio, di Acireale). Il Martirologio Gironimiano fissa al 19 Aprile di ogni anno il giorno in cui celebrare questa figura salita agli onori degli altari. Espedito era un legionario, appartenente alla mitica Legio XII Fulminata, istituita da Giulio Cesare nel 58 a.C. e sopravvissuta fino al V secolo dopo Cristo: legione che partecipò a numerose campagne militari, nelle Gallie, a Gerusalemme, nel Caucaso, in Armenia, e che più tardi fu operante soprattutto ai confini orientali dell’Impero Romano, delimitati dal fiume Eufrate.
Sant’Espedito, che fu contemporaneo di Santa Filomena, si convertì al Cristianesimo e decise di abbandonare la carriera militare per praticare una vita monastica: per questo venne martirizzato nel 303 d.C. a Meritene (Anatolia), sotto Diocleziano. Il suo nome deriva dal linguaggio militare: i fanti leggeri erano appunto chiamati Expediti per le loro doti di agilità e velocità di spostamento e di azione in battaglia. Quando decise di convertirsi, il demonio gli apparve in forma di corvo per indurlo a procrastinare a domani (cras) la sua scelta, ma il santo fu risoluto e non cedette alla tentazione di rinviare la sua convinta decisione (il verso del corvo suona come le parole latine “cras-cras”, che significano “domani-domani”).
Nella iconografia cristiana, proprio come nella statua della Chiesa di San Rocco, il Santo è rappresentato come un soldato romano che regge un ramo di palma e una croce con la scritta hodie (oggi). Il suo piede schiaccia un corvo che pronuncia la parola cras (domani).
Resta da capire perché proprio questo Santo sia stato scelto per essere accolto in una delle due nicchie della facciata di questa chiesa di Via San Francesco d’Assisi, a Torino. Forse perché Sant’Espedito è considerato il Santo delle situazioni disperate, disposto ad intercedere a tamburo battente a favore dei fedeli che lo invocano, senza aspettare domani, con la stessa prontezza con cui si prodigava San Rocco a favore degli appestati, oggi considerato intercessore a favore di chi è colpito dalle malattie pandemiche: decisamente un’accoppiata di Santi da tenere presente, soprattutto di questi tempi.
Sergio Donna
Fonte bibliografica:
CHIESE, CAMPANILI & CAMPANE DI TORINO, di Sergio Donna, Piero Abrate, Francesco Albano, Luigia Casati, Raffaello Emaldi, Achille Maria Giachino, Milo Julini, Anna Perrini; fotografie di Carla Colombo, Vittorio Greco, Beppe Lachello; spartiti di Beppe Novajra; presentazione di Massimo Centini. Selfpublishing degli Autori, monografia promossa da Ël Torèt-Monginevro Cultura e ANSMI, Torino, 2020