La rivoluzionaria scoperta medica della professoressa Granata
TORINO. La professoressa Riccarda Granata e la sua équipe hanno fatto parlare molto i media italiani (e non solo quelli, ovviamente) in questi ultimi giorni. Il premio agli sforzi profusi per anni in ambito scientifico è arrivato in primis dalla prestigiosa rivista americana “Proceedings of the National Academy of Sciences” che di recente ha pubblicato uno studio sulle ricerche condotte dalla professoressa Riccarda Granata. Ricerche che hanno dimostrato come delle piccole molecole, i cosiddetti antagonisti dell’ormone growth hormone-releasing hormone (GHRH), (l’ormone noto per la sua capacità di stimolare il rilascio del GH, l’ormone della crescita), siano capaci di inibire la crescita delle cellule tumorali nel mesotelioma pleurico maligno, in diversi modelli sperimentali.
Riccarda Granata è docente universitario di endocrinologia presso il dipartimento di Scienze mediche dell’Università di Torino, diretta dal professor Ezio Ghigo, nonché di biotecnologie mediche. Dal 2000 dirige il laboratorio di endocrinologia molecolare e cellulare. Ha pubblicato oltre 80 lavori scientifici su riviste internazionali indicizzate su argomenti quali gli effetti di neuropeptidi e peptidi gastrointestinali sulla funzione e la sopravvivenza delle beta cellule pancreatiche, sulla cardioprotezione e neuroprotezione, sull’atrofia muscolare e in ambito oncologico. Tra i numerosi altri incarichi riveste anche quello di membro del comitato esecutivo della Società europea di endocrinologia .
Professoressa , quanti sono i casi accertati in Piemonte di mesotelioma pleurico maligno?
I casi osservati in Piemonte nel 2015, secondo l’ultimo rapporto del Registro Nazionale dei Mesoteliomi (ReNaM) è di 229, mentre il totale dei casi dal 1993 al 2015 è di 4531. Il Piemonte è la seconda regione d’Italia per numero di casi di mesotelioma, preceduto dalla Lombardia, con 338 casi nel 2015 e 5680 dal 1993 al 2015. Seguono la Liguria (2889) e l’Emilia Romagna (2451). Circa il 92% di questi tumori è rappresentato dal mesotelioma pleurico (polmonare), seguito dal peritoneo (addominale), pericardio (membrana che avvolge il cuore) e tunica vaginale del testicolo.
Il mesotelioma è collegato soprattutto all’esposizione prolungata all’amianto. Ma esistono altre cause scatenanti?
Le cause sono associate prevalentemente all’esposizione prolungata all’amianto (o asbesto). Secondo lo stesso rapporto ReNaM del 2018, il 70% dei casi di mesotelioma è da mettere in relazione all’esposizione professionale, circa il 5% all’esposizione familiare, il 4% ambientale, l’1.5% per attività di svago mentre per il 20% dei casi l’esposizione è improbabile o ignota. La causa principale resta comunque l’amianto.
È vero che questo tipo di tumore ha un periodo di latenza molto lungo?
Sì, è vero, il periodo di latenza può variare dai 15 ai 40 anni. Il motivo è che le fibre di asbesto (o amianto) si depositano sui polmoni o altri organi interessati come il peritoneo, creando un processo infiammatorio che lentamente porta alla trasformazione delle cellule sane in cellule tumorali.
Come si è arrivati a questa scoperta?
Anni fa avevamo iniziato uno studio per valutare gli effetti di un’altra sostanza nel mesotelioma pleurico maligno, che aveva dato risultati discreti ma non ai livelli degli antagonisti del GHRH, utilizzati in questo studio. Inoltre, stavamo già studiando le azioni del GHRH nel cuore ed in altri organi in collaborazione con il professor Schally, che era interessato ad ampliare gli studi con gli antagonisti sui tumori. Da lì il passo è stato breve e dal momento che non esistevano studi sul mesotelioma, una malattia di elevata incidenza nel nostro paese, ho ritenuto importante iniziare questo progetto.
Gli effetti antitumorali di questi antagonisti dell’ormone GHRH erano già stati dimostrati Oltreoceano in altri modelli tumorali. Quali?
Gli stessi peptidi (molecole) utilizzati in questo studio sono stati testati dal gruppo del professor Andrew Schally (premio Nobel per la medicina nel 1977, ndr) dell’Università di Miami e da altri gruppi che hanno collaborato con lui, nel tumore del polmone, della prostata, retinoblastoma, tumore della tiroide, glioblastoma, melanoma, carcinoma gastrico, carcinoma dell’endometrio e ovarico. Vorrei sottolineare il fatto che, come lei stesso ha detto, questi sono modelli tumorali, non esistono ad oggi studi o sperimentazioni nell’uomo. Quindi, per quanto si siano dimostrati efficaci nell’inibire la crescita di diversi tumori, ci vorrà ancora del tempo per poter passare ad uno sviluppo farmacologico.
Quanto sono durati gli studi?
Circa tre anni. Abbiamo iniziato a testare gli effetti degli antagonisti nelle cellule tumorali e solo successivamente, quando eravamo sicuri della loro efficacia, siamo passati ai modelli in vivo.
Chi ha collaborato con lei?
Oltre al mio gruppo di ricerca, in particolare la dottoressa Tania Villanova ed il dottor Iacopo Gesmundo, che hanno condotto la maggior parte degli esperimenti, hanno collaborato al progetto altri gruppi dell’Università di Torino, tra i quali quello della professoressa Silvia Deaglio ed il gruppo del professor Mauro Papotti. Inoltre, abbiamo collaborato con il professor Andrew V. Schally (premio Nobel per la medicina nel 1977) dell’Università di Miami e con il suo gruppo, che ha sviluppato e sintetizzato le sostanze, consentendoci quindi di fare il lavoro e dandoci importanti consigli, vista la loro lunga esperienza.
Quali saranno gli sviluppi per far sì che questa scoperta possa trasformarsi in un farmaco universale?
Come ho anticipato, i tempi sono ancora lunghi. Sono in contatto con l’ufficio di sviluppo tecnologico dell’università di Miami, per capire come procedere, dal momento che queste sostanze appartengono a questa istituzione. Occorre poi trovare industrie farmaceutiche interessate ad investire su queste molecole e capire anche la stabilità delle sostanze nell’uomo, un punto fondamentale per poter proseguire. Nel frattempo, il laboratorio del professor Schally sta producendo nuove molecole che dovrebbero essere ancora più efficaci e stabili di quelle appena testate e proveremo certamente a studiare anche queste nel mesotelioma, così come in altri tumori.