La selva regia della Val d’Orba e la bella Ovada dai muri dipinti
OVADA. La Val d’Orba si popolò, per quel che ne sappiamo, nell’Età del Bronzo finale, circa nel 1100 a.C, quando, alla confluenza del Belbo nel Tanaro, si formarono gli insediamenti dei Celti transalpini, che si intersecarono con quelli Golasecchiani (dalla località di Golasecca, in Lombardia, dove ad inizio del 1800 era stato trovato un insediamento antico che avrebbe cambiato la storia di allora) e con Liguri Occidentali e l’Etruria Padana Centrale, sino ad arrivare a Genova. Insomma quello che oggi si definirebbe un Meltin’pot, un miscuglio di persone di diversa cultura e nazionalità.
In quegli anni, dove la vita non sempre era semplice, i popoli si spostavano anche seguendo il meteo; sappiamo dalle cronache che nel 1600 a.C. l’Europa aveva attraversato un lungo periodo di calore, mentre nei secoli a seguire, la temperatura era progressivamente diminuita, sino a ricreare ghiacciai sulle Alpi e su parte dell’Europa Centrale. Sembra che nell’età del Ferro il Po, prima navigabile, iniziasse ad avere qualche problema e fosse stato in parte abbandonato a favore del Tanaro, che per sua conformazione era maggiormente navigabile, oltre che di primaria importanza proprio per i collegamenti verso Genova e il resto della penisola.
Ci sembra strano pensare oggi a quegli uomini e a quelle donne che si dedicavano al commercio, che viaggiavano e facevano probabilmente fiere e mercati per vendere i loro prodotti: le punte di selce, le pellicce, la carne degli animali, gioielli fatti di conchiglie e molto altro. Eppure presto arrivarono anche i romani, con le loro strade e le costruzioni ingegneristiche, che sottomisero i Liguri Statielli; e poi ci transitò anche Annibale, che distrusse Genova, non fidandosi di accamparsi nel suo perimetro o nelle vicinanze.
Un territorio di passaggio, quindi, anche nel passato, dove i maggiori insediamenti erano probabilmente localizzati in corrispondenza dei diverticoli della via Julia Augusta e della via Postumia, individuati a Molare (Cerriato) e alle Cappellette, vicino alla attuale Ovada, dove venne trovata una necropoli molto estesa, datata tra il II e il IV secolo, che ancora una volta attesta la diffusione commerciale di alcuni oggetti, come nel caso di un’anfora proveniente dalla Penisola Iberica, usata per il garum, la salsa romana composta da interiora di pesce fermentato.
Nel Medioevo, con la Monarchia Longobarda, la Val d’Orba divenne una selva regia, dove si poteva praticare la caccia e l’allevamento e ancora oggi, nel territorio dell’Ovadese, i boschi sono unici e conservano tracce della selvaggina di allora. Agli effetti Ovada, ultimo avamposto del Monferrato, si affaccia sul territorio costellato da castelli e roccaforti che arrivano fino a Genova e la sua collocazione tra i torrenti Orba e Stura e continua a manifestare quell’interessante mix di diverse culture, a cavallo tra il Piemonte e la Liguria. Si tratta di una cittadina accogliente, dalle strade che invitano al passeggio, dove si possono osservare le case medievali e rinascimentali dagli usci lavorati con simbolismi del passato, tutto perfettamente ristrutturato e con una capacità turistica piuttosto forte, come attestano i numerosi ristoranti, alcuni con dehor inseriti in vecchie cascine riattate, dove si può cenare accanto a un pozzo o a una edicola contenente immagini di san Rocco o della Madonna, naturalmente con menù che spesso comprendono trofie alla ligure o farinata, anche se il vino consigliato è il Dolcetto del Monferrato.
Le prime notizie storiche sull’insediamento di Ovada si hanno solo nel 991, ma era di sicuro un luogo importante, anche perché il suo nome era Guadum, passaggio obbligato per il guado dei torrenti da attraversare se si voleva arrivare alla Pianura Padana. Più avanti divenne una tappa fondamentale della via del sale e forse proprio per questo continuo passaggio, quando arrivò la peste del 1348, i quattro quinti della popolazione vennero rapiti dalla “nera signora”, come attesta un’iscrizione posta nell’attuale Loggia di san Sebastiano, che un tempo era la parrocchiale del paese. La peste tornò ad Ovada anche nel 1600, dopo che Carlo Emanuele I Savoia quasi la rase al suolo, occupandola, dopo essersi alleato con i francesi contro gli spagnoli. A seguire poi ci fu Carlo Emanuele II, che la conquistò dopo un conflitto serrato, costellato da mine fatte esplodere nei sotterranei della città, che causarono notevoli perdite tra gli attaccanti, senza però definirne la sconfitta. Nella difficile storia cittadina troviamo anche le alluvioni, legate alle piogge torrenziali dell’800, e ancora il colera e le invasioni di coloro ai quali faceva gola la cittadina posta su una delle strade più importanti per il collegamento al mare.
Tutto questo è quasi impossibile da vedere sui muri dei “caruggi” intonacati e disegnati a motivi geometrici rinascimentali, anche se in qualche vicolo s’intravede il passato, per chi sa osservare. È poi solo dagli anni ’70 che il paese ha respirato appieno il contatto con le città del nord, grazie all’apertura dei trafori, che hanno fatto diventare veloce l’importante collegamento tra il nord e le località che presto sarebbero diventate mete di vacanza per ogni ceto sociale.
Non resta quindi che esplorare Ovada e i suoi dintorni, per ricostruire la storia dei popoli che hanno abitato queste zone prima di noi, trasmettendo usi e costumi, modi di dire e tanto altro. E chissà che qualche nuova scoperta non individui altri aspetti del passato che non aspettano che di venire alla luce…
Testo di Katia Bernacci
Fotografie di Marino Olivieri ph